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La componentistica piemontese: un sistema non omogeneo

2 A NALISI DELLA FILIERA DAGLI A SSEMBLATORI AI

3. L A COMPONENTISTICA I TALIANA E M ONDIALE

3.5 Il Piemonte: e se in realtà fosse un’arancia?

3.5.2 La componentistica piemontese: un sistema non omogeneo

Le esportazioni stanno quindi risolvendo tutti i nostri problemi e la componentistica può rappresentare una risposta per il territorio valida al punto da sopperire al progressivo indebolimento del restante tessuto industriale? Sarà bene non farsi prendere dall’entusiasmo e fornire una risposta articolata. Premettiamo subito che una forte base produttiva legata alla realizzazione di autovetture e veicoli commerciali non solo costituisce una spinta eccezionale per tutto l’indotto, così come ci mostrano tutte le regioni europee dell’auto se non mondiali, ma è anche fondamentale al mantenimento di una taglia critica e di funzioni fondamentali. Ecco perché.

Le imprese nostrane non sono tutte eguali, non producono gli stessi manufatti per i medesimi clienti, ma hanno storie, politiche e grado di tecnologia del prodotto e dipendenza dal cliente differenti le une dalle altre. Tenendo conto di variabili come il

La risposta della filiera agli input della testa non è omogenea

Tabella 3.5 La griglia della fornitura

Costo del trasporto

Alto Basso

Alto Codesign (sotto lo stesso tetto)

Prodotto perfettamente esportabile Grad o di co m p lessità del p rodotto Bas s

o Da produrre in prossimità del sito di assemblaggio, competizione sul costo

Global sourcing, gare internazionali

valore aggiunto, il grado di complessità, il costo di trasporto e la dipendenza geografica dal cliente finale, OEM o Tier one che sia, abbiamo suddiviso le imprese piemontesi in cinque categorie formate da: modulisti, sistemisti, engineering & design, specialisti e subfornitori20.

Al centro delle nostre riflessioni sta il progressivo disimpegno del costruttore locale sia in termini di minori volumi prodotti, ma anche nel segno di una diversificazione del portafoglio clienti. La domanda che ci poniamo è: essendo presente sul territorio un tessuto di fornitura che per definizione si era sviluppato attorno a Fiat, nel momento in cui essa ridimensiona la sua produzione e quindi la sua domanda di componenti e diversifica il suo portafoglio fornitori rivolgendosi sempre maggiormente a società esterne al territorio, quali attori saranno in grado di mantenere tutta o parte della produzione in Piemonte? Per rispondere a questa domanda possiamo innanzitutto far entrare in gioco due variabili riguardanti il prodotto: il suo grado di complessità e quindi il suo valore aggiunto e il costo di trasporto. Avremo quindi una griglia a quattro quadranti entro i quali poter classificare le nostre imprese.

Appare quindi chiaro che le aziende con un prodotto competitivo e facile da esportare, pensiamo soprattutto a categorie come l’engineering & design e gli specialisti, ma anche a molti sistemisti, sono avvantaggiate rispetto alla maggior parte dei modulisti e dei subfornitori che necessitano per giustificare i loro investimenti, di operare in stretto contatto con l’assemblatore finale. Pensiamo a un modello ideato da uno dei nostri designer, ad un disco freno in ceramica di ultima generazione o ad un sofisticato sistema di infomobility e confrontiamoli con un sedile, una cappelliera o anche un cruscotto di un’auto. È indubbio quindi che per due spicchi dell’arancia come modulisti e subfornitori, ai quali noi attribuiamo lavorazioni a contenuto di valore aggiunto relativamente limitato o insieme di pezzi che per definizione vengono prodotti ed assemblati in prossimità della linea di produzione della casa automobilistica, sia necessitano che questa mantenga delle linee di assemblaggio sul territorio. Non è un caso se un’azienda come la Lear Italia, con un fatturato di circa 600 milioni di euro quasi interamente realizzato con Fiat per sedili, padiglioni e pannelli, ha perso una percentuale di giro d’affari intorno al 10 per cento sia nel 2002 che nel 2003.

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Dividiamo gli OEM in modulisti e sistemisti a seconda che forniscano moduli e lavorano a stretto contatto con l’assemblatore finale o sistemi. Vi sono poi i fornitori di parti complesse, che chiamiamo specialisti, che possono avere tecnologie e prodotti di eccellenza per qualità o innovazione e di parti semplici, che

chiameremo sub-fornitori. Infine vi è la categoria delle aziende di Engeneering & design, che progettano parti o disegnano ed ingegnerizzano l’intero prodotto auto e le sue linee di produzione.

Non tutte le aziende hanno l’export nel DNA

I modulisti ed i subfornitori sono oltretutto le categorie meno impermeabili alla concorrenza dei cosiddetti Paesi emergenti che una volta acquisite le capacità tecniche che gli permettono di riprodurre le più semplici, ma ormai non solo, lavorazioni occidentali, possono far leva su un sistema, che per svariate ragioni non sempre virtuose, può vantare costi minori.

Per queste imprese le alternative alle commesse Fiat sono, nel migliore dei casi, principalmente due: una delocalizzazione intelligente e guidata verso i paesi low cost, come ad esempio hanno fatto gli Statunitensi in Messico per le cinture di sicurezza o in prossimità dei nuovi impianti di assemblaggio.

Dall’altra parte esistono quelle società che per caratteristiche proprie e di mercato sono maggiormente al riparo dalla concorrenza internazionale ed anzi possono trarre vantaggio dal global sourcing, anche perché le nuove inchieste delle principali agenzie di consulting internazionale indicano un rallentamento dello slancio entusiastico verso il rifornimento ad Oriente, per i prodotti che presentano un certo grado di complessità tecnica.

Preoccupazioni arrivano anche da lontano: i Paesi low cost

Figura 3.7 L’arancia della componentistica piemontese, il suo grado di esportabilità e le azioni da intraprendere

È naturale chiedersi ora quanto valgano i diversi spicchi dell’arancia in termini di fatturato ed occupazione. Nel prossimo capitolo, dopo averne approfondito l’analisi, non ci sottrarremo a questo esercizio.