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La decisione: dal delitto di “caporalato”…

Le nuove manifestazioni della prevenzione patrimoniale: amministrazione giu- giu-diziaria e contrasto al “caporalato” nel caso Uber

3. La decisione: dal delitto di “caporalato”…

158 Sulla base degli elementi evidenziati nella proposta, il Tribunale ritiene innanzitutto sussistenti i “suffi-cienti indizi” di cui all’art. 34 cod. ant. in relazione al “delitto catalogo” costituito dall’art. 603-bis c.p., che abilita la conseguente valutazione circa la sussistenza del presupposto dell’agevolazione, in ipotesi da parte della società Uber nei confronti delle attività economiche degli indagati per il citato reato15. Com’è noto, la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 603-bis c.p. è stata introdotta dal D.L. n. 138/2011 al fine di reprimere il fenomeno del c.d. “caporalato”, peculiare metodo di sfruttamento dell’altrui attività lavorativa contraddistinto per essere attuato con me-todi illegali e, segnatamente, in violazione delle norme in materia di lavoro, igiene e sicurezza dei la-voratori16. Poi, il reato è stato sensibilmente riformu-lato dall’art. 1 della L. n. 199/2016, recante “Disposi-zioni di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallinea-mento retributivo nel settore agricolo”, costituente or-ganico intervento di riforma degli strumenti, penali-stici e non, in materia di lavoro agricolo17.

In particolare, viene comunemente definito “capo-rale” quel soggetto – di sovente appartenente a qualche forma di organizzazione criminale – che, alle prime luci dell’alba, recluta manodopera irregolare nelle piazze dei paesi o nelle periferie delle città per condurle nei campi, nei cantieri o nei laboratori ma-nifatturieri, pretendendo – a titolo di compenso a fronte della propria opera di intermediazione – una percentuale, che spesso raggiunge il 50-60% della paga giornaliera corrisposta al lavoratore, già di norma retribuito in misura inferiore rispetto a quanto previsto dagli accordi sindacali, oltre che “in nero”18. A dispetto di questa immagine particolarmente evo-cativa e nitidamente esplievo-cativa del grave disvalore e della profonda offensività veicolata dalla condotta di “caporalato”, la fattispecie incriminatrice, nella sua attuale formulazione, mira ad “intercettare” un’ampia classe di condotte dotate di differenti gradazioni e sfumature, dalle più alle meno intense, ma comun-que incidenti sulla dignità del lavoratore.

Bene giuridico tutelato dalla fattispecie incrimina-trice, infatti, è precipuamente la dignità della persona che lavora, come si evince agilmente dai requisiti della condotta tipica, consistenti nello sfruttamento dei lavoratori e nell’approfittamento del loro stato di bisogno.

Accanto alla dignità, il reato salvaguarda altresì la li-bertà personale dell’individuo ed il suo inviolabile status libertatis, inteso quale coacervo dei diritti, delle libertà e delle prerogative che definiscono e

integrano la nozione di uomo libero; ciò nella misura in cui la condotta penalmente rilevante è idonea a comprimere siffatte manifestazioni della persona, conducendo alla “reificazione” del soggetto, il quale viene ridotto ad oggetto dell’agire altrui.

Coerentemente con la vasta portata della tutela affi-data all’incriminazione, la cui oggettività giuridica rinviene fondamentali referenti normativi tanto nella Carta costituzionale quanto nelle Carte sovranazio-nali di tutela dei diritti fondamentali, destinatari del rimprovero penale sono non soltanto gli intermedia-tori che reclutano la manodopera (co. 1, n. 1, dell’art. 603-bis c.p.), ma altresì i datori di lavoro che se ne servano (co. 1, n. 2, che parla di utilizzo, assunzione o impiego).

Venendo alla struttura della fattispecie, modalità ti-pica della condotta, da un lato, è l’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, la cui nozione va al di là della mera commissione del reato “in danno” di un soggetto particolarmente vulnerabile, quale è il lavoratore in stato di bisogno, postulandosi un quid pluris, cioè che l’autore sfrutti scientemente tale condizione di debolezza19.

Dall’altro lato, si richiede che il lavoro venga prestato in condizioni di sfruttamento, i cui indici di manife-stazione sono forniti all’interprete dallo stesso terzo comma dell’art. 603-bis c.p., che, come anticipato e come si avrà modo di vedere più diffusamente, per la loro ampiezza dilatano incisivamente la portata in-criminatrice della fattispecie.

Il primo indice attiene all’aspetto economico del rap-porto di lavoro, primariamente sintomatico delle condizioni alle quali è sottoposto il lavoratore, e pre-vede la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme da quanto previsto dalla contrattazione collettiva o, comunque, spro-porzionato (per difetto) rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Il secondo concerne la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria ed alle ferie. Viene in con-siderazione, poi, la sussistenza di violazioni della nor-mativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro. Infine, si attribuisce rilievo alla sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sor-veglianza o a situazioni alloggiative degradanti20. Coerentemente con tali coordinate ermeneutiche, il decreto in commento valuta il compendio investiga-tivo offerto dall’organo proponente, invero molto vasto, costituito da: plurime e convergenti dichiara-zioni dei lavoratori impiegati quali “rider”; intercetta-zioni telefoniche e ambientali; analisi delle memorie

159 e delle conversazioni inserite nei dispositivi informa-tici sequestrati agli indagati nel procedimento penale “genetico”; verifica della documentazione cartacea ed informatica acquisita; accertamenti bancari sui conti correnti dei soggetti coinvolti nella vicenda giu-diziaria; rinvenimento della somma in contanti di euro 547.400,00 (da ritenersi profitto dei reati di ap-propriazione indebita in relazione all’omesso versa-mento delle ritenute d’acconto effettuate e di sfrut-tamento del lavoro) risultata nella disponibilità degli indagati21.

E, sulla scorta di tale vaglio, viene ritenuto sussistente un quadro gravemente indiziario in ordine alla fatti-specie di cui all’art. 603-bis c.p. in capo ai prevenuti, con un ulteriore profilo di concorsualità, quanto-meno a titolo di favoreggiamento, da parte dei di-versi manager e/o dipendenti riconducibili alla “ga-lassia Uber” e, segnatamente, alla divisione italiana Uber Italy S.r.l., indicati dalla società Uber Portier B.V. quali referenti per la gestione dei “rider” sul territorio nazionale.

Con precipuo riferimento all’ipotesi di reato di cui all’art. 603-bis c.p., correttamente il Tribunale reputa sussistere tutti gli indici di un regime di sopraffazione retributiva e trattamentale, attuato nei confronti di una molteplicità di lavoratori, reclutati in una situa-zione di emarginasitua-zione sociale e di conseguente fra-gilità, sul piano della tutela e della rivendicazione dei diritti minimi, non mancando di soggiungere che sif-fatta situazione è risultata acuita dall’emergenza sa-nitaria CODIVD-19, a seguito della quale l’utilizzo dei ciclo-fattorini è progressivamente aumentato in ma-niera direttamente proporzionale al progressivo ridi-mensionamento della libertà di circolazione della po-polazione.

Ancora, il decreto in commento evidenzia che il re-clutamento dei lavoratori è avvenuto scegliendo so-prattutto soggetti in stato di bisogno, il cui paga-mento a cottimo è avvenuto a prescindere dalle con-dizioni di luogo (durata del tragitto) e di tempo (ora notturna, condizioni atmosferiche), oltre che in viola-zione delle regole contrattuali. Ciò, peraltro, con la richiesta di elargizione di un numero di prestazioni non compatibili con la tutela delle condizioni fisiche del lavoratore e con la contestuale prospettazione, in caso di mancato adempimento, della futura disatti-vazione dell’account utilizzato per lo smistamento delle consegne e, quindi, con la minaccia sostanziale di non potere più lavorare per la piattaforma Uber. A tali già dirimenti “spie” di caporalato, prosegue il Tribunale, si sommano, altresì, la violazione di tutte le norme contrattuali in tema di lavoro autonomo

(gestendosi, di fatto, un rapporto di lavoro subordi-nato alterato), la non corresponsione della mance dovute al lavoratore (in quanto corrisposte dal cliente nell’ambito del sinallagma contrattuale), in ta-luni casi l’omesso versamento delle ritenute previ-denziali pure effettuate sulla retribuzione, nonché l’attuazione di un sistematico inserimento di malus nel trattamento economico dei “rider”, strumentale alla contestazione di (inesistenti) comportamenti non conformi al fine di ulteriormente decurtarne il salario.

Si tratta, all’evidenza, di una lettura trasversale degli indici di sfruttamento tipizzati dal legislatore, che di-mostra un’apprezzabile autonomia motivazionale capace di andare oltre il dato testuale, mediante un’attività interpretativa di attribuzione di significato concreto alla lettera della legge posta in essere attin-gendo, con consapevole sensibilità, da un contesto socio-economico in tumultuosa evoluzione, contrad-distinto dall’utilizzo sinergico di tecnologia e web per animare nuove forme di lavoro, difficilmente inqua-drabili nelle categorie tradizionali, il cui sfruttamento si presta a dare vita ad una inedita forma di c.d. “ca-poralato digitale”22, a fronte del quale solo una sa-piente lettura del dato normativo vigente è in grado di fornire adeguate risposte di tutela.

4. (Segue) …al presupposto agevolativo.

Dipanato il nodo della sussistenza di sufficienti indizi del reato presupposto, il decreto in commento passa in rassegna gli elementi sulla scorta dei quali giunge a ritenere che la multinazionale Uber, nelle sue di-verse articolazioni, giuridiche e di fatto, operanti sul territorio italiano, quali Uber Italy S.r.l. e Uber Eats Italy S.r.l., fosse pienamente consapevole dell’attività di sfruttamento dei lavoratori utilizzati nelle conse-gne. E ciò malgrado la formale presenza di accordi contrattuali, apparentemente di segno contrario, conclusi con le imprese degli indagati.

A supporto di tale conclusione, si constata come le numerose conversazioni informatiche intercorse fra gli indagati del procedimento penale “genetico” ed i dipendenti di Uber Italy S.r.l., riscontrate dalle som-marie informazioni e dagli elementi documentali e contabili offerti dall’organo proponente, rivelino un solido contributo agevolativo, rilevante ai sensi dell’art. 34 cod. ant., da parte della divisione italiana di Uber a favore di tutti i soggetti indiziati del delitto di cui all’art. 603-bis c.p., che più direttamente gesti-vano e sfruttagesti-vano la flotta di “rider”; agevolazione ritenuta, quantomeno, sotto il profilo dell’omesso

160 controllo da parte di Uber ovvero sul versante di una grave deficienza organizzativa.

La condotta agevolatrice addebitata ad Uber Italy S.r.l., attraverso il concreto comportamento tenuto dai suoi dipendenti, è valutata dal Tribunale di parti-colare rilevanza sia per la sua diffusività sia per la rea-lizzazione di uno schema contrattuale formale fina-lizzato a “schermare” la multinazionale, sebbene tra-volto dalla documentata realtà fattuale.

Peraltro, malgrado l’intervenuta risoluzione contrat-tuale con le attività economiche facenti capo agli in-dagati, al momento dell’emissione del decreto i di-pendenti di Uber Italy S.r.l. coinvolti nella vicenda erano ancora in servizio presso tale società con qua-lifiche di operatori amministrativi, sollecitando a for-tiori l’intervento del Tribunale sull’assetto dell’ente, in un’ottica di prevenzione finalizzata alla conserva-zione della stessa unità societaria.

In proposito, con ampio respiro motivazionale, il de-creto reputa che, laddove il soggetto agevolatore sia una persona giuridica – il cui contributo agevolatore va parametrato ed apprezzato sulla scorta dei com-portamenti posti in essere dalle persone fisiche do-tate al suo interno dei poteri di decisione, rappresen-tanza e controllo –, a questi deve potersi imputare una condotta censurabile almeno sotto il profilo col-poso, in termini di negligenza, imprudenza o imperi-zia, senza postularsi una consapevolezza piena della manifestazione agevolatrice23.

Segnatamente, la necessità di individuare un profilo di censurabilità del comportamento del terzo agevo-latore, che necessariamente deve rimanere nell’am-bito di un perimetro colposo (sconfinandosi, in ipo-tesi di condotte dolosamente orientate a favorire l’espansione dell’economia illegale, in fattispecie di natura concorsuale o di favoreggiamento all’attività criminale), deriva da una lettura costituzionalmente orientata del presupposto applicativo della misura di prevenzione, tendente a comprimere il diritto fonda-mentale e costituzionalmente garantito alla libertà di impresa, come suggerito da una risalente decisione della Corte costituzionale che, in tema di valutazione dell’istituto allora denominato “sospensione tempo-ranea”, ha ritenuto che non si potesse comprimere il libero esercizio dell’attività imprenditoriale in pre-senza di un regime di “sostanziale incolpevolezza”24. Per l’effetto, laddove l’ente che abbia posto in essere l’agevolazione ambisca al proprio risanamento, esso è chiamato ad identificare una nuova finalità impren-ditoriale caratterizzata dalla individuazione, condi-visa con l’organo tecnico del Tribunale (i.e. l’ammini-stratore giudiziario), di modelli virtuosi ed efficaci

che impediscano nuove infiltrazioni o cointeressenze illegali. In altri termini, l’imprenditorialità privata deve cogliere l’occasione dell’intervento dell’autorità giudiziaria (seppur invasivo e compressivo della li-bertà di impresa) per ripensare i propri strumenti di governance aziendale al fine – appunto – di prevenire future commistioni con aree d’interesse illecito, at-traverso la realizzazione di condotte non più rimpro-verabili sul piano della negligenza o dell’imperizia professionale25.

Sulla scorta di tali coordinate ed in una prospettiva interpretativa informata al principio di proporziona-lità e di adeguatezza della misura di prevenzione adottanda, il decreto in commento constata come la vigente formulazione dell’art. 34 cod. ant. consenta un intervento nella gestione societaria non necessa-riamente assorbente e totalizzante, sul piano del pieno impossessamento dell’attività di impresa, e ciò al fine di essere commisurato agli obiettivi di ricon-duzione alla legalità della compagine sociale propo-sta.

In particolare, il Tribunale valorizza l’espressione uti-lizzata dal legislatore nel testo vigente dell’art. 34 cod. ant., laddove il designato amministratore giudi-ziario ha la facoltà di esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e altri organi sociali se-condo le modalità stabilite del tribunale, non già l’ob-bligo di assunzione anche dell’attività tipica dell’im-presa.

Per l’effetto, il decreto in rassegna reputa che le con-crete modalità dell’intervento dell’amministrazione giudiziaria debbano tenere conto di diversi fattori, in primis il grado di infiltrazione delittuosa nell’attività economica proposta, in questo caso accertata su un numero tutto sommato contenuto di dipendenti (pari a cinque su ventisei unità addette), i quali sem-brerebbero avere realizzato – su indicazioni prove-nienti dalla società madre – una sorta di “ramo azien-dale di fatto” deputato alla gestione diretta della flotta di “rider”.

Nella medesima ottica della progressività dell’inter-vento preventivo, il Tribunale rapporta, inoltre, il set-tore societario “contaminato” al normale svolgi-mento dell’attività di impresa dell’ente, che nel caso di specie ha un oggetto sociale del tutto estraneo al tema dello sfruttamento dei lavoratori della conse-gna a domicilio, atteso che Uber Italy S.r.l. ha, quale formale scopo societario, il marketing e la consu-lenza nel settore dei trasporti privati.

Di talché, in ragione delle finalità e della connessa proporzionalità della misura ablativa richiesta, non si

161 all’amministrazione giudiziaria l’ordinario svolgi-mento dell’attività economica nella sua interezza, considerando altresì che gli obiettivi di bonifica aziendale da intraprendere risultano compatibili con un impossessamento parziale, anziché totale, degli organi gestori. E ciò, non si sottace, prendendo in schietta considerazione la necessità di salvaguardare professionalità e livello occupazionale dell’attività economica interessata dalla misura, non ignorandosi – con apprezzabile onestà intellettuale – i rischi con-nessi al passaggio di consegne all’amministrazione giudiziaria in un settore di mercato caratterizzato da una precipua professionalità e governato da un pe-culiare know how.

L’intervento ablativo viene conseguentemente mo-dulato dal Tribunale in modo tale da consentire sì un controllo effettivo e penetrante da parte dell’Autorità Giudiziaria sugli organi gestori, anche in sostituzione dei diritti spettanti al socio proprietario, ma al con-tempo rinunciando ad avocare il normale esercizio dell’impresa, che viene lasciato in capo agli attuali or-gani di amministrazione societaria26.

Ciò in quanto la misura di prevenzione, nel caso di specie, si pone in rapporto di strumentalità rispetto alla verifica delle posizioni dei dipendenti implicati nella vicenda giudiziaria “genetica”, nonché all’accer-tamento dell’effettivo ruolo giocato da Uber Italy S.r.l. ed ai rapporti intrattenuti con le ulteriori società della “galassia Uber” in relazione al reclutamento ed alla gestione dei “rider”, dovendosi all’uopo verificare l’esistenza di rapporti contrattuali in corso e la piena conformità degli stessi alle regole di mercato. In definitiva, il Tribunale dispone l’amministrazione giudiziaria di Uber Italy S.r.l. al fine di analizzarne i rapporti intrattenuti con le altre ramificazioni del gruppo societario e con i lavoratori operanti nel set-tore della distribuzione a domicilio, per verificare se esistano altre forme di sfruttamento di lavoratori esterni, nonché per riscontrare l’esistenza e l’idoneità del modello organizzativo ex D.Lgs. n. 231/200127 teso a prevenire fattispecie di reato riconducibili nell’area del penalmente rilevante ex art. 603-bis c.p.. Attività che andrà espletata, secondo quanto dispo-sto dal decreto, ove possibile d’intesa con l’organo amministrativo di Uber Italy S.r.l., riservandosi l’auto-rità giudiziaria decidente ogni futura determina-zione, in caso di mancato accordo, circa l’espansione dell’intervento ablativo, potenzialmente con un to-tale impossessamento delle compagini societarie coinvolte.