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La prospettiva della dimensione educativa della cooperazione internazionale è il frutto della riflessione pedagogica sugli interventi di cooperazione: tale riflessione è finalizzata a ottenere che questi non si limitino a produrre esperienze sotto forma di progetti fine a sé stessi, ma possano invece contribuire a nutrire, trasformare, evolvere il senso delle pratiche e della cornice politica, culturale, sociale ed economica nella quale si inseriscono. Nell’interpretazione della dimensione educativa della cooperazione internazionale partiamo dal presupposto che le esperienze per quanto interessanti e complesse non potranno mai diventare un patrimonio di conoscenza individuale e sociale se non sono accompagnate da un’azione di riflessione e di restituzione. In particolare, se gli operatori del settore non scelgono di assumere anche questo approccio di tipo riflessivo nell’esercitare il proprio ruolo professionale, il rischio è quello che prevalga un atteggiamento tecnocratico che vede l’operatore come un “implementatore neutro”143, incapace di sviluppare una lettura critica nei confronti degli interventi volti allo sviluppo. Al contrario, chi opera nella cooperazione dovrebbe assumere l’atteggiamento di un operatore riflessivo, per diventare consapevole delle dinamiche complesse attivate nelle azioni progettuali e delle implicazioni concrete che queste esercitano sulla realtà.

Nella definizione di dimensione educativa della cooperazione internazionale vorremmo porre l’attenzione su due concetti principali che la compongono: quello di cooperazione e quello di educazione provando a porli in una relazione dialogica. Del resto la parola “cooperazione” ha una letteratura all’interno del mondo educativo. Innanzitutto, è opportuno chiarire che la “dimensione educativa della cooperazione internazionale” non è una peculiarità dei progetti centrati sull’intervento educativo: questa dimensione infatti dovrebbe essere trasversale a tutti gli interventi perché presuppone un atteggiamento culturale, etico e operativo che, come vedremo più avanti, è tipico dei processi educativi. La dimensione educativa è divenuta progressivamente una dimensione scontata all’interno dei progetti di cooperazione e soprattutto ricondotta, erroneamente, alla presenza di

141 In base alle linee guida e programmatiche 2014-2016 (marzo 2014) della Cooperazione Italiana, El Salvador

è tra i Paesi prioritari.

142 Per un maggior approfondimento consultare il documento “Linee guida sui minori 2012” al seguente

indirizzo

http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/Documentazione/PubblicazioniTrattati/2011-12-12_Linee GuidaMinori2012.pdf

143 Tarabusi F. (2010), Dentro le politiche. Servizi, progetti, operatori: sguardi antrologici,Rimini, Guaraldi

qualche attività educativa, come se la semplice presenza del concetto “educazione” bastasse a cambiare la dimensione sostanziale dei progetti144. Invece, come sostiene Guerra, direttore scientifico degli interventi realizzati in El Salvador che sono oggetto di questo studio, “la dimensione educativa in ogni progetto di cooperazione non solo è necessaria, ma è anche una presenza rivoluzionaria”, capace cioè di cambiare radicalmente gli approcci che la cooperazione continua a mantenere al di là delle dichiarazioni. Analizzando il termine cooperazione è semplice comprenderne il significato letterale, “operare con”, vuol dire operare insieme, presupponendo “una dimensione educativa necessariamente presente perché l’insieme non può che essere mediato da una dimensione educativa”145 all’interno della quale è possibile il dialogo, l’incontro, la relazione e la condivisione. Questa interpretazione introduce anche una riflessione sul termine “educazione”, che inevitabilmente alla luce della cornice appena definita è sicuramente altro dall’ “istruzione”, che - come suggerisce ancora una volta Guerra - continua a permeare di sé la maggior parte dei progetti educativi della cooperazione internazionale”. L’educazione nel significato sopra citato viene realizzata dal basso verso l’alto e non viceversa, esce dalla tradizione dell’istruzione in cui la direzione della relazione è prevalentemente univoca, da chi sa a chi non sa. Il cooperante e l’educatore assumono invece un approccio che privilegia una partenza “dal basso” perché sono “con” e nell’esserlo riconoscono nella pratica quotidiana la pari dignità di tutti gli interlocutori coinvolti cercando di attivare quei processi di empowerment, che sono in grado di sviluppare le capacità individuali necessarie per intraprendere percorsi di autonomia collettiva. Nella logica dell’empowerment, gli operatori della cooperazione sono in grado di riconoscere e valorizzare le potenzialità dei propri interlocutori e cercano per questo di facilitare le condizioni funzionali al loro ulteriore sviluppo e potenziamento. Nel corso del tempo, l’asimmetria relazionale tra chi “dona” e chi “beneficia” nella prospettiva educativa dovrebbe trasformarsi, diventando sempre più una relazione paritaria e giocata nella dimensione della reciprocità, dello scambio e dell’apprendimento condiviso. Il progetto, da questo punto di vista, diventa una comunità di apprendimento per tutti gli attori che vi partecipano, una comunità quindi che produce conoscenza. A tal proposito si ritiene particolarmente attinente una riflessione di Gabriella Rossetti, la quale sostiene che “Gli operatori di sviluppo si considerano portatori del nuovo per gli

altri, ma è raro che si aspettino qualcosa di nuovo per sé, ovvero per il sapere di cui si fanno tramite, anche se tutti diranno, dopo qualche mese o qualche anno di lavoro sul “campo”, di avere “fatto un’esperienza importante”146. Sempre secondo l’antropologa citata, il lavoro del cooperante è responsabile se aperto al nuovo, se capace di dialogare con i suoi partner, per i quali, in tal caso, diventa un interlocutore interessante. Un altro elemento tipico della relazione educativa che ritroviamo nella cooperazione internazionale è quello del “mediatore”, un ruolo che appartiene al cooperante, e di cui spesso, in assenza della riflessione pedagogica cui si è accennato precedentemente, ne è totalmente inconsapevole. Eppure, gli esiti delle relazioni tra esperti internazionali e attori locali è estremamente condizionata dal ruolo mediatore giocato da chi gestisce i progetti, da chi dovrebbe saper contestualizzare eventuali proposte nella cornice culturale sociale ed economica locale. Continuando ad attingere suggerimenti e parallelismi dalla relazione educativa, Guerra sottolinea come il fine di un intervento di cooperazione educativamente fondato è il fine anche di qualsiasi intervento educativo di qualità: “cioè, far sì che il figlio non abbia più bisogno di te, che ti possa liberamente scegliere come interlocutore, senza subirti in un legame che rimane o diventa progressivamente di dipendenza”147. Quindi da un punto di vista radicalmente educativo, il fine della cooperazione è smettere di farla, contrastando le logiche di sopravvivenza delle organizzazioni che talvolta appaiono eccessivamente connesse alla ricerca di finanziamenti. Alla luce di quanto appena affermato, risulta paradossale progettare e implementare un intervento che abbia come fine quello di non esistere più e di trasformare la partnership in una relazione sempre più paritaria, in cui i cosiddetti

144 Guerra L. (2014), Para una escuela de la inclusiòn: la propuesta de la Universidad de Bolonia, in Caldin

R., Guerra L., Taddei A. Cooperacion e Inclusion Escolar. Proyecto “Apoyo a la Promocion y al desarrollo de la escuela inclusiva en El Salvador”, San Salvador C.A. Impresos Multiples, p. 53-70.

145 Ibidem, p.59.

146 Rossetti G. (2004), Terra incognita. Antropologia e cooperazione: incontri in Africa, Rubettino, Soveria

Mannelli. Gabriella Rossetti è un’antropologa che ha maturato una lunga esperienza in ricerche e progetti di cooperazione internazionale in Africa.

“destinatari”, per usare un linguaggio tecnico, diventano sempre più portatori di un’esperienza propria, arricchente anche per il Paese promotore proprio per l’originalità maturata all’interno del contesto locale in una prospettiva di utopia e insieme di sostenibilità.

Fino a questo punto, abbiamo affrontato il tema della dimensione educativa della cooperazione internazionale in generale, vorremmo aprire adesso una breve parentesi sui progetti di cooperazione in ambito educativo, che proprio per la loro identità richiederebbero un approccio specifico se veramente orientati allo sviluppo. Innanzitutto, intervenire in questo campo significa operare per processi, perché l’educazione è un processo che necessita periodiche revisioni e modifiche. E’ un processo inoltre che implica il prevedere un’evoluzione del ruolo del soggetto promotore/implementatore del progetto: se l’obiettivo è l’autonomia (intesa nell’accezione precedentemente illustrata) allora il ruolo del soggetto promotore cambia in rapporto al soggetto partner a seconda delle fasi dell’intervento e dei risultati, in base cioè a quella “flessibilità” positiva cui si è già fatto menzione in altre parti di questo lavoro. Tutto ciò può accadere solamente nella cornice di un intervento di cooperazione che valorizza i contesti partendo dal presupposto che esiste sempre un patrimonio pregresso presente nei Paesi partner che deve rappresentare il punto di partenza su cui cominciare a costruire insieme. Inoltre, la sperimentazione di eventuali innovazioni pedagogiche necessita di una partecipazione consapevole e responsabile da parte di insegnanti o di altre figure educative nonché di adeguate condizioni temporali e contestuali, altrimenti rischia di rimanere un’importazione di modelli destinata a fallire nel breve periodo. Il lavoro in campo educativo prevede una tempistica diversa da quella di altri interventi di cooperazione allo sviluppo, probabilmente più complessa perché maggiormente influenzata dalla combinazione di molteplici fattori contestuali (culturali, sociali, politici) generalmente soggetti ad un alto rischio di modificazione. L’impatto di un intervento di cooperazione di questo tipo è misurabile solo a distanza di tempo perché dipende dall’evoluzione variabile di diverse fasi: la fase di avvio, in cui vengono introdotti i cambiamenti all’interno del sistema valorizzando le risorse locali, una fase di maturazione dell’esperienza che ne permetta un consolidamento ed infine un tempo per la formalizzazione dell’esperienza, che ne consenta cioè una effettiva assunzione e condivisione diffusa. Sempre riguardo al tema della valutazione dell’impatto dell’intervento è importante tener conto dei tempi necessari affinché i cambiamenti raggiunti riescano a permeare le istituzioni politiche, le culture e le pratiche del contesto educativo, cui contribuiscono profondamente gli atteggiamenti, i valori e le esperienze vissute dagli attori coinvolti.

Quale cooperazione allo sviluppo? Possibili scenari futuri.

Nel prospettare nuovi possibili scenari di sviluppo nell’ambito della cooperazione traiamo alcuni spunti dalle riflessioni di Andrea Canevaro ed in particolare dalla sua pedagogia della cooperazione nella quale ancora una volta la dimensione educativa aiuta a ripensare allo sviluppo: secondo questa prospettiva educativa il problema, o la difficoltà, che inevitabilmente si incontrano nei contesti di cooperazione, rappresentano la possibilità di imparare e di crescere; inoltre, nella prospettiva educativa ritroviamo quasi sempre il futuro e la speranza specialmente se accompagnata da esperienze di resilienza. Innanzitutto è necessario, sulla base di quanto argomentato fino a qui, recuperare il concetto secondo cui è la pluralità a garantire lo sviluppo: dovremmo quindi abituarci a pensare alla pluralità degli sviluppi ed alla possibilità che non esista una sola pace, ma tante “paci” purché capaci di garantire i diritti fondamentali dell’uomo. Guidati dal paradigma della pluralità dovremmo riscoprire anche la relazione tra globale e locale. La globalizzazione, infatti, in una logica prevalentemente consumistica ha annullato nel tempo e nello spazio le diversità e le originalità dei contesti locali, a volte sembra che i Paesi abbiano smarrito le proprie origini insieme alla loro memoria. Aprirsi a nuovi scenari di sviluppo nella cooperazione significa anche sfuggire dal rischio di essere travolti dalla frenesia del “progettismo” e dall’ossessione di rincorrere finanziamenti perdendo il tempo necessario per la riflessione e la restituzione che possono invece contribuire a qualificare gli interventi di cooperazione. Tutti i dati dimostrano che se si vuole perseguire uno sviluppo globale sostenibile e capace di garantire a tutti la pace e il benessere non si possono applicare i modelli che fino ad ora ha adottato la cooperazione. Come suggerisce Carrino “è necessario, anzi cambiare le modalità correnti di produzione, commercio, consumo, amministrazione, gestione (…) è necessario un grande sforzo d’innovazione per umanizzare le tecnologie, i saperi in tutti i campi: la produzione

di energia, i trasporti, le comunicazioni, l’industria, l’agricoltura etc.”148Fatta questa premessa, ecco alcuni aspetti strategici per la cooperazione allo sviluppo.

Uno sviluppo partecipato. Come già detto nella parte dedicata all’excursus storico sulla cooperazione internazionale, la causa fondamentale del suo sviluppo fallimentare è stata l’esclusione sociale. Una delle sfide della cooperazione è quindi quella di cercare e avviare nuovi meccanismi partecipati capaci di ridurre gli squilibri, rendendo i contesti facilitanti per una effettiva partecipazione sociale degli attori coinvolti. Per far questo è importante che i professionisti della cooperazione diventino competenti nel saper analizzare le dinamiche di esclusione nei contesti di intervento e nella stessa cooperazione, e nello scegliere ed applicare di volta in volta gli strumenti adeguati per affrontare eventuali atteggiamenti ed approcci elitari che purtroppo si rilevano sia nel mondo governativo ed istituzionale, sia in quello dell’associazionismo e nel no profit149. Insito nel concetto di partecipazione vi è anche quello di responsabilizzazione delle comunità locali e dei loro attori sociali che implica il decentramento di molte procedure gestionali rispetto agli organi centrali del Paese donante.

Verso il co-sviluppo. Questo concetto è fortemente legato al precedente e presuppone un

superamento della dicotomia paesi donatori e paesi beneficiari che sottintende una logica di subordinazione. Nella prospettiva del co-sviluppo a prevalere è la valorizzazione del dialogo tra Paesi e culture che insieme possono contribuire a creare le condizioni funzionali per garantire la pace e il benessere di tutti gli esseri umani, in cui le politiche e i soggetti governativi locali possono veramente esercitare un ruolo da protagonisti mettendo inevitabilmente in discussione il ruolo dei paesi donatori. Operare nella prospettiva del co-sviluppo significa non adottare più scelte assistenziali, ma incoraggiare il ruolo attivo di tutti promuovendo in questo modo anche il concetto di cittadinanza attiva, tema importantissimo ma non privo di difficoltà.

Cooperare per processi. Spesso lo sviluppo diviene la somma di progetti realizzati senza un adeguato coordinamento e sinergia. Progetti spesso destinati a compiacere agli interessi ed alle priorità dei paesi donatori piuttosto che a saper rispondere ai reali bisogni rilevati nei paesi in cui si interviene. La logica dei progetti tradizionali risponde prevalentemente ad un approccio individualistico e competitivo i cui risultati sono quelli che hanno caratterizzato gli interventi della cooperazione internazionale allo sviluppo per oltre 40 anni. Uscire dalla logica della cooperazione per progetti ed aprirsi a quella per processi implica sviluppare un approccio sociale e non più individualista in cui i tempi di realizzazione possono essere diversi da quelli previsti a tavolino ed in cui la sinergia con le azioni di altri interlocutori, in primis quelli locali, è fondamentale. Per superare la logica del “progettismo” è necessario che le procedure di cooperazione smettano di alimentare questa pratica per niente produttiva e comincino a prediligere invece programmi-quadro il cui impatto positivo è già stato rilevato in diverse esperienze. Solamente una cooperazione per processi può ricercare gli strumenti adeguati per affrontare e risolvere situazioni molto complesse.

Approccio territoriale allo sviluppo. Questa prospettiva permette di favorire la collaborazione e la sinergia tra professionisti della cooperazione e diversi attori della società locale per riuscire ad intervenire in maniera costruttiva in contesti caratterizzati da problematiche molto articolate. Inoltre questo approccio può contribuire alla responsabilizzazione delle diverse istituzioni soprattutto nell’ambito delle politiche del welfare. Chiaramente tutto questo richiede l’attivazione contemporanea di processi di capacity-building funzionali alla costruzione di professionalità autonome e qualificate negli attori e nelle istituzioni locali150.

Nuovo multilateralismo politico. Riguarda la necessità di un profondo rinnovamento delle relazioni internazionali caratterizzato dal tentativo di costruire un sistema delle Nazioni Unite più libero dall’influenza decisionale dei Paesi ricchi e più capace di avvicinarsi e di rispondere ai bisogni della gente, di gestire le crisi e di indicare soluzioni pacifiche in cui un ruolo più importante dovrebbe

148 Carrino L. (2005), Perle e pirati…op.cit. p.184

149 Canevaro A. (2008), Pietre che affiorano. I mediatori efficaci in educazione con la «logica del dominio»,

Trento, Erickson, p.65.

150 Il concetto di capacity building agevolmente fatto rientrare nelle logiche di valorizzazione dei contesti locali

in prospettiva di empowerment in quanto presuppone la formazione di competenze locali qualificate che assicurino la sostenibilità e l’autonomia dei processi. Si veda in proposito: Natalini A.(2010), Capacity Building. Come far passare le riforme degli altri, Roma, Carrocci.

essere assunto dai governi locali.

Alla luce di quanto appena esposto, tutti gli attori che a vario titolo sono coinvolti in processi di cooperazione internazionale si assumono implicitamente anche la responsabilità di offrire un contributo critico e competente per poter apportare dei reali cambiamenti positivi nell’ambito delle teorie generali e degli strumenti della cooperazione internazionale allo sviluppo.

CAP. II

LA PROMOZIONE DELLA SCUOLA INCLUSIVA IN EL

SALVADOR: ANALISI DELL’INTERVENTO