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La famiglia come volontà e come pratica quotidiana

Quali sono i segreti della maternità, Sylvie? Bisogna procreare per poterli conoscere?

No, ci vuole solo pratica …268 To become kin is to desire kin269

Nei primi mesi in cui frequentavo il campo – le case della (“mia”) rete di famiglie adottive – avevo più volte annotato un certo disorientamento nell’osservare, come in uno specchio, qualcosa di assolutamente ordinario e familiare, uno spazio delle relazioni dove molto spesso il dispiegarsi quotidiano dei gesti, delle parole, delle battute di spirito o delle discussioni mi ricacciava indietro, allo scenario tanto conosciuto e dunque “invisibile” del mio personale spazio domestico.

Tuttavia, con il passare del tempo e l’intensificarsi delle frequentazioni, cominciò ad essermi evidente che quel quotidiano osservato e partecipato era continuamente attraversato dagli effetti del particolare “assemblaggio” da cui scaturivano queste nuove famiglie, il quale, lavorando secondo schemi originali e contemporanei, andava a rendere soggettivamente e collettivamente distintiva la vita di coloro che condividevano quello spazio. Non si trattava semplicemente di un

268 Moonlight & Valentino, regia di DAVID ANSPAUGH, USA 1995. 269

Precetto diffuso tra il popolo Wari (Pakaa Nova, Amazzonia pluviale, Brasile). Cfr. A. VILAÇA, Making kin out of others, in “Journal of the Royal Anthropological Institute”, vol. 8, 2002, pp.347-65

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rimescolamento delle carte della mobilità sociale, come era avvenuto con l’adozione

“tradizionale”270

, ma di tagliare e congiungere in modo tale che le singole parti lavorassero in relazione le une con le altre in modi specifici, come se, scomponendo pezzi della genitorialità e della filiazione, fosse possibile ricomporli secondo modalità stra-ordinarie, sia sul piano degli immaginari generativi che delle pratiche di

allevamento271.

L’arrivo del bambino – dal paese di origine o dall’istituto – e il suo collocamento nella casa dei neo-genitori segna la definitiva consacrazione di una nuova famiglia che nasce a partire da una particolare interpretazione giuridica dell’identità familiare e della parentela in cui l’estensione del diritto di cura e protezione fonda il

principio della custodia legale del bambino272.

L’effetto congiunto di legittimazione giuridica e presenza fisica del figlio desiderato spinge i membri della neo-famiglia verso le transizioni significative della genitorialità e della filiazione, mobilitando l’azione intersoggettiva. Infatti, se il desiderio protratto di un figlio in carne e ossa produce una potente tensione verso l’essere genitori, tuttavia il desiderio in sé non rende genitore né figlio se non nell’immaginario costruito a partire dalla sua forma attesa, mimetica al modello della

270

Mi riferisco soprattutto alle pratiche di trasferimento dei bambini provenienti dai rami economicamente più deboli della parentela verso i rami più abbienti, una pratica storicamente diffusa nelle società europee e mediterranee (e non solo) e fino a pochi decenni fa ancora attiva, seppur in modo informale, in alcune aree rurali dell’Italia. Tuttavia non bisogna pensare che gli effetti sociali dell’adozione “tradizionale” siano stati del tutto modificati dal dispositivo adottivo contemporaneo. Infatti, per quanto oggi il trasferimento avvenga tra “estranei”, il flusso resta in ogni caso unilaterale, sia nell’adozione nazionale che transnazionale, cioè dalle categorie di genitori/famiglie più povere e/o socialmente marginali alle famiglie di ceto medio o medio-alto assunte come più conformi. Cfr. J.

GOODY, Adoption in cross-cultural perspective, cit. Per una suggestiva narrazione sulle pratiche di adozione informali nelle comunità rurali italiane a metà Novecento cfr. anche M. MURGIA, Accabadora, Einaudi, Torino 2009.

271 M.STRATHERN, Kinship, law and the unexpected, cit. p. 25. 272

La logica dell’adozione è modellata dalle categorie legali della parentela, ma una volta che l’adozione è giunta al suo compimento giuridico la logica iniziale della parentela risulta talmente tirata da risultare irriconoscibile. Infatti i principi fondamentali della parentela, ovvero discendenza/alleanza e consanguineità/affinità non contribuiscono in alcun modo a modellare la decisione del giudice, ma vi è un nuovo principio al lavoro, un’estensione del diritto del prendersi cura di coloro che sarebbero “logicamente” esclusi da questa protezione. Cfr. J. FAUBION, The Ethics of Kinship: Ethnographic Inquiries, Rowman&Littlefield, Boston 2001. Sul medesimo principio in atto nelle pratiche locali si veda anche J. SCHACHTER, “International Adoption: Lessons from Hawaii”, in L. BRIGGS, D. MARRE (a cura di) International Adoption: Global Inequalities and the Circulation of Children, New York University Press, New York 2009 [Kindle Edition, pos. 1103].

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famiglia biologica273, poichè l’esperienza è ancora priva della densità fornita dalla

sedimentazione temporale delle pratiche e dei sentimenti familiari quotidiani che concretizza il legame di parentela. Diversamente dalle potenzialità della parentela

“genetica”274

, dunque, nel caso adottivo la conoscenza dei parenti per legge non costituisce la relazione. In parte perché la parentela sociale non può poggiare sulle

categorizzazioni e le simbologie fornite dalla contingenza culturale275, in parte perché

una relazione familiare “in embrione” non è ancora in grado di dare corpo alle connessioni in modo tale da produrre il sentimento familiare, dal momento che solo attraverso le pratiche protratte di reciprocità solidale e gratuita la relazione familiare può essere dimostrata.

Ciò che intendo discutere in questo capitolo riguarda proprio come i neoparenti estranei – in primo luogo genitori e figlio/i, ma non solo – riescano a generare nuove relazioni di parentela spostandosi avanti e indietro tra ciò che è dato e ciò che deve essere deliberatamente creato. Un movimento che, come vedremo, non coinvolge solo il piano concettuale/rappresentazionale dell’esistenza relazionale delle persone coinvolte, ma anche il piano interpersonale/emozionale.

273

Tanto nel discorso giuridico che nelle retoriche delle cosiddette “scienze psy”, particolarmente attive nel campo dell’apparentamento adottivo, la famiglia adottiva è restituita come mimetica al modello dominante della famiglia biologica. Di conseguenza, l’addestramento cui sono sottoposti gli aspiranti genitori adottivi tende a forgiare in loro un’attesa ideazionalmente conforme al modello.

274

M. STRATHERN, Kinship, law and the unexpected, cit., p. 69.

117 CAPITOLO PRIMO

Criticità di una congiuntura “vitale” La natura sdrucciolevole del futuro possibile

Una delle specificità della “transazione”276 che fabbrica la parentela adottiva

contemporanea è l’immediatezza con cui trasforma repentinamente lo scenario delle relazioni in essere, sia quelle in cui è immersa la coppia di qua che quelle in cui è immerso bambino di là. Questa caratteristica impone un rimaneggiamento veloce di tali relazioni attraverso un complesso (e simultaneo) lavoro di disconnessione e connessione

che interessa numerosi ambiti della vita delle persone coinvolte277 e che si avvia nel

momento in cui la congiuntura prodotta dall’evento dell’arrivo del bambino (e delle sue relazioni appena disconnesse) incontra, nel contesto di accoglienza, lo scenario delle relazioni in essere.

I neo-genitori non sono inclini a parlare spontaneamente del “prima”, della loro precedente condizione di coppia, e quando, sulla spinta di una precisa sollecitazione, lo fanno, tendono a tornare facilmente al “presente”. Le note di campo riportano a questo riguardo come le coppie stesse sembrassero non comprendere la mia attrazione per una fase della loro vita che in alcun modo avrebbe potuto competere con la vivacità,

276 Con il termine “transazione” intendo qui quell’addensato di relazioni di scambio che si produce nel campo dell’adozione globale al fine di trasferire il bambino.

277 Il concetto di “disconnessione” o “disgiunzione” sembra inerire “naturalmente” il trasferimento adottivo prodotto dal dispositivo occidentale attraverso il principio del clean-break e il tema ha trovato ampio spazio di discussione in letteratura, soprattutto in riferimento al legame con la madre di nascita. Cfr. J. TRISIELOTIS, Intercountry adoption: global trade or global gift?, in “Adoption & Fostering Journal”, vol. 24, 2, 2000, pp. 45-61; C. FONSECA, The politics of adoption: child rights in the Brazilian setting, in “Law & Policy”, vol. 24, 3, 2002, pp. 199-227; J. MURPHY, “Intercountry adoption”, in ID, International dimensions in family law, Manchester University Press, Manchester 2005, pp. 183-207; L.

KENDALL, “Birth Mothers and Immaginary Lives”, cit. Tuttavia, la prospettiva etica spesso utilizzata da queste analisi ha quasi del tutto opacizzato le disconnessioni che i neo-genitori si trovano ad agire e a vivere nello spazio domestico di accoglienza, un argomento a cui intendo prestare attenzione nel prosieguo della discussione.

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l’interesse, e soprattutto il senso di pienezza278

che si trovavano a sperimentare con la presenza del bambino. Ma un’indagine in profondità ha fatto lentamente emergere l’estenuante fatica che distingue la “messa in opera” della relazione adottiva, da un lato nello sfidare la concretezza di una “nascita” improvvisa, dall’altro nel fronteggiare l’ingovernabile frammentazione del legame coniugale. Aspetti che tendono il più delle volte a restare nell’ombra, quasi che le coppie si sentissero, paradossalmente, colte di sorpresa dalla presenza fisica del bambino che li ha intrappolati tra due imperativi

valoriali ed emozionali279, il “noi” della coniugalità e il “noi” della famiglia280

, entrambi frutto di una scelta deliberata e desiderata. Spesso impossibilitate, secondo la doxa prevalente, ad una pacifica e costruttiva complementarietà, queste due condizioni dell’esistenza quotidiana richiedono di essere velocemente riposizionate in una cornice di pratiche e sentimenti congiunturalmente più appropriati.

Nel corso di un dopo cena a casa di Sara e Nicolò avevo orientato la conversazione sul “prima che lui arrivasse” e sulla differenza rispetto al presente. Sara era parsa, tra i due, la più impaziente ad affrontare l’argomento, soprattutto in merito alla loro coppia. Descrivendo i suoi stati d’animo durante il periodo di congedo per

maternità281 trascorso insieme con il figlio appena arrivato aveva detto:

vabbè, adesso mi sono quasi abituata, però nei primi mesi io piangevo in continuazione perché Nicolò non lo vedevo più! Ero davvero in crisi perché

278

La difficoltà dei neo-genitori di focalizzare il “prima”, quasi che la vita precedente fosse un semplice interludio, qualcosa di incompleto che attendeva di essere completato, richiama le numerose metafore discorsive che hanno impregnato l’addestramento pre-adottivo e che ruotavano tutte attorno alle metafore generative della pancia vuota di essenza e del cuore pieno d’amore. Cfr. S. HOWELL, The Creation of Life Trajectories in Transnational Adoptive Families, in “The Journal of the Royal Anthropological Institute”, vol. 9, 3, 2003, pp. 465-484.

279 Mi riferisco qui ad emozioni e valori socialmente costruiti ed articolati, incorporati nelle disposizioni soggettive, che “parlano” attraverso condotte simboliche attese e che acquistano una particolare densità nello spazio delle relazioni familiari o di parentela. Cfr. C. LUTZ, G. WHITE, The Anthropology of Emotions, in “Annual Review of Anthropology”, vol. 15, 1986, pp. 405-436.

280 Come afferma Strathern, scoprire connessioni e costruire connessioni possono avere entrambe il potere di un imperativo morale, da un lato per conservare ma anche riconoscere il mondo per quello che è, dall’altro per “far funzionare la vita umana come vita sociale”. M. STRATHERN, Kinship, law and the unexpected, cit., p. 11.

281 Le coppie che hanno adottato possono accedere ai benefici di legge previsti per la maternità e la paternità, quindi nel periodo iniziale cui questa coppia si riferisce Sara aveva beneficiato del congedo trimestrale post-partum.

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dicevo: ci stiamo perdendo! … Ero proprio immersa in Mikhail, nelle sue problematiche … Cioè, voglio dire per me non è stato tanto il fatto dell’accudimento di un bambino, perché questo l’ho sempre desiderato, io non mi stanco, lo faccio volentieri, ma quanto di avere sempre la testa piena di … di contattare quell’ospedale e quell’altra struttura, quel medico e quell’altro, e cosa avrà e cosa non avrà, e quindi … quindi io e lui ci siamo quasi annullati, come coppia ...

Interviene Nicolò:

che differenza c’è? Beh, parliamo di una domanda fatta a due persone che non vivono una situazione normale, cioè non è diventare genitori . Voglio dire, se tu fai una domanda a chi diventa semplicemente genitore probabilmente quello ti dice: “Sì, è vero, i primi tempi ci siamo un po’ allontanati, ma d’altra parte è giusto che lui dovesse avere tutte quante le sue belle attenzioni, doveva essere integrato, doveva sentirsi accolto, quindi è giusto che … eccetera eccetera”. Questa è la risposta che può darti chiunque. Noi avevamo in più, ed abbiamo tutt’ora in più un problema aggiuntivo, che è stato quello di ricostruire tutto quanto, che è stato quello di sistemarlo un attimino, che è stato quello di capire quali sono le sue problematiche. E noi, costantemente, tutti i giorni, abbiamo la testa rivolta in una direzione. Per questo ti dicevo prima: la domanda fatta ad una coppia che ha un proprio figlio ti dà una risposta, che poi è la stessa risposta che vorrebbe darti una coppia che adotta un bambino, ma che sicuramente non sarà la stessa risposta. In più, per noi c’è anche l’aggravante dello stato di salute del bambino e sicuramente la cosa ha fatto in modo che io e lei ci siamo concentrati al cento per cento su di lui. Questo essere stati così uniti, noi due, anche in passato, il fatto di aver vissuto tutto per tanti anni come coppia, di fidanzatini alla fine, anche se sposati, certo sicuramente cambia, cambia tanto … Quello che ci siamo detti è: mi manchi … ma sì, anche adesso – conclude lanciando uno sguardo affettuoso alla moglie282

.

282 Mi è sembrato interessante riportare un segmento abbastanza ampia della conversazione perchè, a mio avviso, consente di individuare come il valore della nuova connessione, la relazione con il bambino, sia costruiti all’intersezione tra il piano concettuale/rappresentazionale incorporato riguardo l’infanzia e l’essere genitori e il piano dei sentimenti personali definiti dalla intenzionalità.

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La consapevolezza di essere diventati genitori chiama la responsabilità e spinge verso connessioni impensate (e a volte rifiutate): Sara e Nicolò si sono trovati in qualche modo s/travolti dalla supplementare responsabilità di non essere genitori “come tutti gli altri, con una storia piuttosto lineare”, e dalla scelta iniziale di “accettare questa differenza”. Tuttavia dalla “differenza”, intesa come attivazione intenzionale di relazioni al di fuori di quelle “naturalmente” date, possono derivare connessioni nuove, e le famiglie adottive rendono questo fatto piuttosto evidente. Secondo Strathern, infatti, le persone agiscono modi diversi di pensarsi, e dunque possono gestire modi diversi di essere in relazione283. Così, valorizzando o devalorizzando le loro relazioni (o parti di esse), le persone non solo diventano consapevoli del modo in cui sono connessi o disconnessi, ma si rendono anche capaci di creare nuove relazioni, utilizzando le innumerevoli permutazioni offerte dagli aggiustamenti domestici e dalla loro capacità di agire tali trasformazioni in modo creativo.

Gabriella e Max, ad esempio, hanno adottato un bambino di quasi dieci anni, e la

sua presenza284 ha sicuramente cambiato qualcosa nella loro relazione di “prima”. Da

una vita molto tranquilla, loro due soli in casa, l’impegno del lavoro, certo, ma comunque un ritmo pacato già consolidato,

adesso con lui, non ti dico! Beh, con mio marito litighiamo più spesso chiaramente - confessa Gabriella sorridendo - una cosa che non conoscevo moltissimo prima. Io sono abbastanza accomodante, detesto tutti queste discussioni, litigi, non metto il muso … Adesso continuo a farlo, però vedo che … cioè con mio marito c’è più vivacità diciamo …

“Chiaramente” Gabriella e Max “litigano” per via del figlio, o meglio per lo stile diverso di stare nella relazione con il figlio. In altre parole, l’aggiustamento richiesto

283 M. STRATHERN, Kinship, law and the unexpected, cit., p.26. 284

Il termine “presenza” va qui inteso soprattutto come il patrimonio delle relazioni e delle disposizioni che il bambino ha portato con sé.

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dalla presenza di Slavko alla loro relazione ha comportato, anche sul piano ideazionale, la disconnessione da alcuni attributi “distintivi” con cui individuavano (e veniva individuata) la loro precedente relazione di coppia. La ri-negoziazione reclamata da questa nuova fase della loro vita, e dai ruoli ad essa conformi, ne ha tuttavia “rinfrescati” altri, che sono stati funzionalmente integrati nella inedita connessione in corso d’opera. I nuovi sentimenti emergono, infatti, da uno specifico milieu ideologico condiviso sull’essere genitori e sull’etica di cura che reclama l’esercizio quotidiano del

confronto e della riflessione285, perché, dice Gabriella parlando della loro

neo-genitorialità,

è più una cosa che rielabori, che ci pensi, della quale hai paura, che però la vuoi … perché è bello!

Ed è in questo modo, negoziando, che le persone vanno a creare nuovi tipi di connessioni tra le loro vite e il mondo in cui si trovano a vivere ad un certo punto della vita286.

Dunque, se c’è un figlio sei genitore, e la coniugalità diventa una condizione quasi subalterna nella vita quotidiana della famiglia. Tuttavia, l’etica della cura che sottende le pratiche dell’essere genitore come categoria socialmente costruita non genera automaticamente uno stato interno riconducibile ad un reciproco idioma emozionale conforme (come afferma Gabriella, “non è che scatta appena ti vedi …”).

285 L’etica di cura riguarda un particolare approccio morale, affermatosi a partire dalla fine del XX secolo, che fonda il suo potenziale sulla presunta universalità dell’esperienza di cura e protezione, in primo luogo verso la prole, poiché trasforma l’astratto impraticabile della moralità in un “oggetto” di pratiche morali concrete (l’altro). Cfr. V. HELD, The Ethics of Care: Personal, Political and Global, Oxford University Press, Oxford 2006. Inoltre, l’esercizio quotidiano di confronto e riflessione in cui sembrano immersi questi neo-genitori richiama il concetto foucaultiano di etica inteso come lavoro di sè su di sè, come pratiche specifiche entro cui il soggetto si costruisce. M. FOUCAULT, La cura di sé, trad. it. Feltrinelli, Milano 1984. Come molte altre persone, Gabriella e Max creano il loro “stile” di cura genitoriale a partire da ciò che hanno a disposizione in termini di inclinazioni ed esperienze, che, nel loro caso, li aveva già condotti all’impegno del volontariato sociale. Sul recente dibattito attorno al bambino e alle pratiche di cura, cfr. anche: S. HOLLAND, Looked after Children and the Ethic of Care, in “British Journal of Social Care”, vol. 40, 6, 2010, pp.1664-1680.

286

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Viceversa, nelle descrizioni dei testimoni, tale sentimento sembra progressivamente

scaturire da una intensa e prolungata negoziazione di senso287 tra genitore e genitore e

tra genitore e figlio sulle condotte agite in reciprocità e reciprocamente riconoscibili, andando progressivamente a configurare l’essere parenti secondo ciò che Sahlins

chiama la “mutualità dell’essere”288. D’altro canto, se nella parentela biologica la

relazione tra genitore e figlio viene individuata come fatto dato e immediato, nella parentela adottiva il legami mutuali appaiono inevitabilmente mediati da molte altre cose, primi fra tutte i fatti disconnessi della vita di ciascuno, ma anche la conoscenza di questi fatti. Ecco che allora, qualche volta, la nuova connessione resta come sospesa nell’aria, legata al piano dell’attesa, del desiderio, ma mai completamente rivelata, e nonostante l’apparentamento giuridico sia giunto al suo compimento, sembra che il valore di ciò che va tagliato non solo permanga ma acquisti un effetto via via crescente e divaricante.

In realtà, l’elevata fluidità delle relazioni che caratterizza in modo particolare le

famiglie “assemblate”289

attraverso l’adozione, rende in ogni caso il processo di apparentamento essenzialmente fragile, se non addirittura azzardato. Ad esempio, Giovanna esprime con grande partecipazione l’imprevedibilità della condizione di partenza nel farsi parenti adottivi. Lei e il marito erano andati in Polonia con l’idea di portare a casa un solo bambino:

Noi all’inizio ci siamo un po’ spaventati, perché poi lì al Tribunale ci hanno chiesto per il secondo … Perché, sai, finchè ne hai uno, come dire? si affronta

287 Considerato il diverso patrimonio disposizionale dei soggetti coinvolti, la relazione tra negoziazione e reciprocità è in questo caso non solo necessaria, ma evidentemente circolare, poiché l’una non fa altro che implementare l’altra, andando progressivamente a modellare una specifica reciprocità negoziata propria di quella famiglia. Infatti, come vedremo, il “fare” e lo “stare” insieme consentirà ai neo-parenti di condividere le esperienze quotidiane ordinarie e dunque di con-prendere quei sentimenti che tali esperienze evocano negli uni e nell’altro.

288 Per“mutuality of being” Sahlins intende quell’idea di parentela secondo cui le persone sono intrinseche l’una all’esistenza dell’altra. M. SAHLINS, What Kinship Is (Part One), in “Journal of the Royal Anthropological Institute”, vol.17, 1, 2011, pp. 1.

289 Come ho già ricordato, le famiglie “assemblate” dall’adozione transnazionale si trovano a fronteggiare, nella loro esperienza viva di parenti neofiti, sia la completa estraneità tra entrambi i genitori

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