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La Famiglia della persona in Stato Vegetativo

4. La Vita della Persona in Stato Vegetativo

4.3 La Famiglia della persona in Stato Vegetativo

Lo SV e lo SMC rappresentano le condizioni croniche che si differenziano per alcuni aspetti dalle note malattie croniche, come ad esempio la Sclerosi Laterale Amiotrofica e l’Alzheimer. La prima differenza è data dalla causa che ha condotto alla grave celebrolesione: un evento drammatico e improvviso. Non c’è stato nessun segno premonitore, nessun sintomo, nessun malessere sottovalutato, in un momento tutto si capovolge e il familiare si trova, impotente, fuori dalla porta di una terapia intensiva ad aspettare. Nelle malattie croniche generalmente la diagnosi arriva dopo una valutazione di luoghi, persone, tempi. Spesso il paziente è ancora in grado di comprendere le sue condizioni e la famiglia si interroga su cosa dire, rimanendo accanto al paziente per lungo tempo. Tutto questo non avviene nello SV, dove la subitaneità dell’evento non lascia il tempo e non dà pace.

La prospettiva temporale ha una rilevanza importantissima dal punto di vista psicologico quando si affronta questa condizione e questo deve essere ben tenuto presente dal personale sanitario che, partendo proprio da questo elemento basila- re, dovrebbe modulare il proprio stesso intervento, le modalità di comunicazione, l’approccio ai familiari.

Fuori dalla terapia intensiva, i familiari vivono il dolore, lo shock, l’ansia, la rabbia, la paura, l’angoscia per quello che ritengono sia il dramma peggiore, l’irreversibilità della morte. La vita dopo la dimissione dalla terapia intensiva, costituita da una quotidianità fatta di impegni e doveri spesso accantonati o af- frontati con sbrigativa attenzione e il tempo dedicato all’assistenza ospedaliera. I familiari risultano frastornati da richieste e moduli burocratici da compilare che diventano una ulteriore fonte di tensione e stress, contribuendo a determinare nel

Università Cà Foscari Venezia Facoltà di Lettere e Filosofia

familiare una reazione di sovraccarico emotivo con gravissime ricadute nei ter- mini di sintomatologia fisica e reazioni ansioso-depressive. Disturbi del sonno, dell’alimentazione, abbassamento delle difese immunitarie e conseguente espo- sizione a patologie virali e infettive, uso di psicofarmaci, reazioni psicogene di varia intensità si uniscono al dolore per la situazione e alla frustrazione per quei miglioramenti del quadro clinico che sono tanto attesi, ma che tardano a venire. Successivamente, il dolore e il senso di impotenza lasciano i posto alla rabbia che da la forza per affrontare qualcosa di inaffrontabile a livello fisico ed emo- tivo. Una rabbia che si intravede nei comportamenti di assoluta dedizione, nella rinuncia a uno spazio di vita propria, nella negazione di desideri e aspirazioni sanamente rivolte anche a se stessi. E una rabbia e una aggressività altre vol- te rivolta agli altri, medici, operatori, parenti e amici tutti accusati di non fare abbastanza, di aver perso le speranze, di non chiedere o di chiedere troppo per curiosità.

Spesso i familiari di pazienti in SV rimangono intrappolati per molto tempo (anche anni) in una condizione emotiva di non elaborazione e non re-investimento, vivono bloccati in un limbo indefinito che drammaticamente riflette quello del pa- ziente. Né vivo, né morto, né moglie né vedova, né figlio né orfano. A differenza di coloro che sopravvivono alla persona cara e che vivono una elaborazione del lutto normale, i soggetti con Disturbo da Dolore Prolungato6sono essenzialmen- te bloccati, cristallizzati in una condizione di lutto sospeso. Senza quella perso- na si sentono vuoti e privi di prospettive per il futuro. Alcuni sono sopraffatti dai rimpianti, con frequenti ruminazioni mentali e incapacità nel concentrarsi su qualunque cosa che non riguardi la perdita del proprio congiunto. La sensazio- ne di non sentirsi emotivamente capiti dagli altri alimenta ulteriormente il senso di alienazione e di isolamento sociale. Questa condizione emotiva si riflette sulle modalità comportamentali e relazionali messe in campo. A volte per anni la visita al proprio congiunto inizia alla stessa ora, è scandita dagli stessi gesti, dalle stesse parole, o in modo opposto alcuni perseguono tenacemente degli obiettivi, facendo

6Prolonged Grief Disorder, nuova categoria diagnostica per indicare l’impatto emotivo sul singolo.

di proprie convinzioni personali battaglie sociali. In queste modalità comporta- mentali apparentemente opposte si ritrova una radice comune che affonda nelle difficoltà di accettare la situazione in cui il proprio congiunto vive e in cui, in- volontariamente, ci si trova a vivere. Il momento della dimissione rappresenta il passo in cui si è costretti a lasciare un luogo che si è imparato a conoscere, in cui ci si sentiva rassicurati nella presenza costante del personale sanitario. Una delle difficoltà principali, da parte dell’equipe multiprofessionale, è il comprendere e rendere consapevole la famiglia stessa che lei è parte integrante del percorso di riabilitazione, non uno spettatore in attesa, ma un attore co-protagonista con il paziente e come tale deve lavorare su di sé e per sé. Una scelta molto ardua che deve valutare la famiglia è se effettuare un rientro a domicilio oppure optare per una struttura. Questa decisione dovrebbe essere presa dalla famiglia, consigliata, guidata, sostenuta dagli operatori sanitari che hanno avuto modo di conoscere il paziente, le sue attuali condizioni cliniche, le caratteristiche e le risorse dei suoi familiari, le possibilità dei servizi domiciliari, e le opportunità sul territorio. Ri- sulta banale pensare che chi sceglie un ricovero è perché non se ne vuole curare, mentre chi opta per il rientro a domicilio sia maggiormente legato affettivamente. Al di la delle eccezioni in negativo presenti su entrambi i fronti molte sono le ragioni che spingono verso una direzione piuttosto che a un’altra. La scelta tra la struttura residenziale o rientro a domicilio dovrebbe essere fatta serenamente da familiari informati, formati e sostenuti dalla società e dalle istituzioni. Ma quello che in entrambi i contesti permette davvero di ricostruire un rapporto con il proprio congiunto è il riuscire a vivere accanto a colui che si è sempre amato e conosciuto ritrovandolo in quella nuova persona che è stata riconsegnata dopo un percorso ospedaliero. Per poter affrontare questa sfida è necessario riuscire a ricostruire una nuova relazione con il proprio congiunto, cambiare se stessi prima ancora di pretendere di cambiare colui o colei che il danno celebrale ha costretto a vivere in una dimensione diversa.

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