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La graffita ferrarese nell’ambito del collezionismo ceramico

A partire dal Rinascimento ceramisti e pittori maiolicari cominciarono a firmare, datare e marcare i propri manufatti, con nuova consapevolezza e frequenza,470 partecipando alla generale promozione sociale dell’artista da artigiano ad intellettuale e/o cortigiano, innescata nel corso del XV secolo. Già alla fine del Trecento nelle maioliche ispano- moresche a lustro, decorate con gli scudi araldici delle più prestigiose famiglie italiane, erano inestricabilmente intrecciati i valori estetici e quelli funzionali. Ben presto i vasai italiani furono in grado di scalzare il primato degli spagnoli se già nel 1469 circa un elaborato vaso fiorentino (forse della manifattura di Montelupo), recante lo stemma di Lorenzo de’ Medici partito con quello della consorte Clarice Orsini, era certamente destinato alla pura esposizione.471 Lorenzo il Magnifico costituisce del resto un precoce esempio di collezionista di porcellane cinesi, alquanto ricercate fin da allora, oltre che di ceramiche islamiche e di antiche ceramiche aretine. Altri casi si registrano in Italia: Ravanelli Guidotti assegna al corredo di Ginevra Sforza Bentivoglio il ruolo di primo caso di collezionismo ceramico rinascimentale a Bologna.472 Questi oggetti, nella seconda metà del XV secolo, erano apprezzati anche in qualità di doni diplomatici, come dimostrano gli esempi del servizio pesarese offerto a Lorenzo de’ Medici da Costanzo Sforza nel 1478 o dei vasi donati allo stesso signore di Firenze da Galeotto Malatesta, nel 1490. Come sottolinea Wilson, il frequente paragone, nelle fonti dell’epoca, del vasellame in maiolica con il prezioso argento denotava una nuova struttura di valori: le ceramiche facevano concorrenza, per così dire, all’argenteria nel gusto aristocratico, a causa della loro tecnica innovativa e del loro virtuosismo artistico.473 Nei corredi da mensa dei monasteri rinascimentali, sia maschili sia femminili, la scelta della maiolica era frequente in termini di approvvigionamento e di acquisizioni dotali, come articolo maggiormente di lusso rispetto al peltro, materiale umile, meno dispendioso in quanto si poteva rifondere alla bisogna.474

Nel Cinquecento tanto le porcellane cinesi, quanto i servizi di maiolica istoriata potevano essere impiegati a tavola in opportune, speciali circostanze o esposti nelle credenze durante le feste e i banchetti, come suggerito dalle scarsissime tracce d’usura nei pezzi sopravvissuti fino a noi e dai

470 Timothy Wilson, Breve storia del collezionismo della maiolica, in Le maioliche rinascimentali nelle collezioni della

Fondazione Caripe, a cura di Timothy Wilson, Elisa Paola Sani, Perugia, 2006 pp. 11- 23

471 Ibidem. Oggi il vaso è conservato al Detroit Institute of Arts. 472

Carmen Ravanelli Guidotti, Ceramiche occidentali del Museo civico medievale di Bologna , Bologna, 1985

473 Timothy Wilson, Breve storia del collezionismo..., cit. Sia Lorenzo de’ Medici, sia l’ambasciatore di Ferrara in

Ungheria (a proposito di doni graditi a Beatrice d’Aragona, moglie del re Mattia Corvino e sorella di Elenora, duchessa di Ferrara) scrissero che i vasi in maiolica erano stimati più che se fossero d’argento.

474

Sauro Gelichi, Mauro Librenti, Senza immensa dote. Le clarisse a Finale Emilia tra archeologia e storia, Firenze, 1998

dipinti che ritraggono i conviti, sullo sfondo di sontuosi allestimenti di vasellame prezioso, non sempre distinguibile se di metallo o di maiolica.

Tra i primi servizi di maiolica italiana destinati all’estero figurano quello per Mattia Corvino, re d’Ungheria, prodotto a Pesaro verso il 1480- 90 e i due istoriati realizzati da Guido Durantino ad Urbino, uno per Anne de Montmorency, illustre mecenate del rinascimento francese (1535), l’altro per il cardinale Antoine Duprat, cancelliere di Francia.475

I duchi della Rovere di Urbino, oltre a patrocinare la produzione locale di maioliche nella seconda metà del XVI secolo, commissionarono interi corredi da inviare a principi e sovrani d’Europa, come doni diplomatici, ad esempio il famoso servizio spagnolo del 1562, disegnato da Taddeo e Federico Zuccari.

Le maioliche veneziane erano molto ricercate a Norimberga ed Augusta, mentre i bianchi di Faenza si affermarono a livello internazionale, come testimoniano i pezzi dei servizi di corte tramandati a Dresda e a Monaco di Baviera.476

Durante il XVII secolo la maggiore diffusione delle porcellane estremo- orientali, dovuta all’attività commerciale delle Compagnie delle Indie Orientali, sembrò oscurare in parte l’interesse per le maioliche italiane in Europa, tuttavia in quest’epoca avvenne un passo cruciale per la storia del collezionismo ceramico: le maioliche vennero progressivamente traslate dalla Guardaroba alla

Kunstkammer e cominciarono a passare dalle credenze alle pareti, appese come quadri. Vere e

proprie opere d’arte da contemplare o curiosità per suscitare meraviglia? Difficile dare una risposta univoca, ciò che appare certo è che esse cominciarono ad uscire dal circuito degli oggetti d’uso per entrare in quello degli oggetti che Pomian chiama semiofori, rappresentativi dell’invisibile e dotati di significato, il quale si svela «quando si espone allo sguardo [...] un semioforo accede alla pienezza del suo essere semioforo quando diviene un pezzo da collezione; [...] l’utilità e il significato sono reciprocamente esclusivi: più un oggetto è carico di significato, meno utilità ha, e viceversa».477

Gli esempi in questo senso riguardano un ecclesiastico di Palermo, che nel 1658 esponeva due piatti istoriati di Urbino entro cornici dorate.478 I beni del card. Mazarino, inventariati nel 1661, comprendevano tredici piatti di maiolica, decorati con soggetti mitologici e religiosi, valutati complessivamente 1200 libre e, aspetto più interessante, erano collocati in una delle camere dei dipinti, con cornici dorate, alcune delle quali à la chinoise.479 E’ possibile che tali pezzi venissero

475

Timothy Wilson, Breve storia del collezionismo..., cit.

476 Ibidem

477 Krzysztof Pomian, Collezionisti, amatori e curiosi, Milano 1989, p. 42 478 Ibidem

479

A. Vesey B. Norman, Wallace Collection, catalogue of ceramics I, Pottery, maiolica, Faiance, Stoneware, Londra, 1976

considerati dipinti su maiolica, per di più pittura di storia, narrativa ed erudita, pittura d’immaginazione, adatta al culto della personalità del committente, la più apprezzata in ambiente accademico, dove vigeva una rigida gerarchia dei generi artistici.

Il consigliere e medico del re di Francia, Pierre Borel (1620- 1671) descrisse la propria collezione nel 1649, annoverando diverse, rare ceramiche italiane, in forma di bacini, vassoi, pigne, galli, delfini e vasi, oltre che un raffinato piatto di maiolica in cui era rappresentata la storia di Andromeda.480 Il marchese Ferdinando Cospi (1606- 1686) incaricò nel 1677 Lorenzo Legati di redigere il catalogo della propria collezione, contraddistinta dalla convivenza di naturalia ed

artificialia, reperti naturalistici ed archeologici, poi donati al Museo civico di Bologna. La maggior

parte dei materiali ceramici erano collocati nella dimora privata del Cospi: «pendono dalle pareti della ricchissima Galleria di Casa del Sig. marchese».481

L’attribuzione delle maioliche istoriate a Raffaello ed alla sua cerchia ne consolidarono il prestigio erudito e classicheggiante. Un precoce riferimento al Sanzio per i vasi in maiolica risale al 1650, quando John Evelyn documentò la sua visita al cabinet di curiosità parigino di Jean Lincler; l’etichetta un po’ pretenziosa di Raphael Ware si perpetuò fino alla metà del XIX secolo in Gran Bretagna.482

Diverse maioliche ritenute di produzione italiana risultano anche nell’inventario delle curiosità presenti nella Biblioteca Reale francese (1684); numerose altre facevano parte della collezione della regina Maria Cristina di Svezia (1626- 1689), provenienti dal saccheggio della collezione di Rodolfo II nel palazzo Hradcăny a Praga ed oggi al Museo nazionale di Stoccolma. La passione della regina scandinava per le maioliche nostrane è al centro dell’aneddoto riportato dalla Giacomotti, secondo cui, ormai in esilio in Italia, ella si sarebbe offerta di acquistare il corredo da farmacia della S. Casa di Loreto per tanto oro quanto pesava.483 Da sottolineare il fatto che a Loreto le maioliche erano già esposte ai viaggiatori e ai visitatori nel 1639, quando lo scultore inglese Nicholas Stone scrisse nel suo diario che nella farmacia vide diversi vasi, dipinti su disegno di Raffaello da Urbino.484 La fama del corredo doveva crescere costantemente, perchè il viaggiatore inglese Richard Lassel scrisse pochi anni dopo che quelle maioliche erano dipinte «dalla mano» di Raffaello da Urbino. In Inghilterra questa idea si diffuse capillarmente, determinando nel XVIII secolo un incremento significativo dell’interesse collezionistico per le maioliche italiane. Come sottolinea Wilson, la questione del presunto coinvolgimento di Raffaello Sanzio nella produzione ceramica urbinate era controversa: quando il Malvasia chiamò il pittore «boccalaio urbinate» nella

480 Ibidem

481 Carmen Ravanelli Guidotti, Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Bologna, 1985 482 A. Vesey B. Norman, Wallace Collection..., cit.

483

Jeanne Giacomotti, Catalogue des Majoliques des Musées Nationaux, Parigi, 1974

sua Felsina Pittrice suscitò un vespaio; François M. Misson in Voyage en Italie (1681) ironizzava sul fatto che «qui appena un piatto è macchiato di giallo e blu, voilà, diventa dipinto da Raffaello!». Anche il grande conoscitore di disegni Pierre- Jean Mariette era scettico sull’attribuzione al grande artista, propendendo giustamente per una derivazione dai suoi modi e dalle sue iconografie, tramite le incisioni; questo il suo giudizio nel presentare le ventotto importanti maioliche della collezione di Louis François Crozat, marchese di Chatel (1691- 1750), andata dispersa alla sua morte. A dispetto di queste autorevoli opinioni, a cui va aggiunta quella dell’erudito pesarese Giambattista Passeri (1694- 1780), il nome di Raffaello e di altri artisti, come Perin del Vaga, Giulio Romano, Enea Vico, Giorgio Vasari, Marcantonio Raimondi, continuarono ad essere chiamati in ballo dai venditori che mettevano all’asta le proprie collezioni di maiolica, come l’antiquario romano Bernardo Sterbini (vendita di Londra, 1733), il pittore Charles Jarvis (vendita di Londra, 1740), la casa d’aste Langford (vendita di Londra, 1757).485

In Gran Bretagna nel XVIII secolo il mercato della ceramica era in fermento. Le definizioni inglesi della maiolica andavano da quella di Raphael Ware a quella di Roman Earthern Ware a quella di

Albano Enamel’d Ware, categorie non ancora chiaramente distinte, a causa delle scarne descrizioni

fornite dai cataloghi d’asta dell’epoca.486 Norman ricorda che la maiolica era conosciuta da tempo in Inghilterra anche grazie agli scavi condotti a Londra ed a Southampton, che misero in luce reperti di origine italiana, databili tra la metà del XV ed il XVII secolo, probabilmente importati tramite i vascelli mercantili veneziani.

Il fatto che nel catalogo d’asta della collezione di Edward Harley, II conte di Oxford e noto antiquario, venduta nel 1741- 42, comparissero quattro piatti di Roman Earthern Ware provenienti dalla celebre raccolta di Thomas Howard, conte di Arundel († 1646) implica che la maiolica fosse collezionata in Inghilterra già dal secolo precedente.487

Un esempio straordinario di collezionista di antica ceramica è costituito da sir Andrew Fountaine (1676- 1753): egli soggiornò per anni a Firenze e a Roma, divenne amico di Cosimo III granduca di Toscana, da cui sembra che abbia acquistato buona parte della collezione di Lorenzo de’ Medici.488 La notizia è riferita nell’inventario dei beni di famiglia datato 1835 ed è avvalorata dalla somiglianza dei pezzi Fountaine con quelli conservati oggi al museo fiorentino del Bargello, in origine nelle raccolte granducali. La collezione inglese in questione fu ulteriormente arricchita dal discendente omonimo Andrew Fountaine (1808- 1873), che effettuò acquisti alle vendite Walpole (1842) e Bernal (1855), finchè fu dispersa all’asta tenutasi a Londra nel 1884.489

485 Ibidem

486 A. Vesey B. Norman, Wallace Collection..., cit. 487 Ibidem

488

Timothy Wilson, Breve storia del collezionismo..., cit.

Comunque quando la maiolica compariva nel catalogo di una ‘normale’ collezione inglese del Settecento era inserita in un insieme assortito di vari oggetti d’arte e in media i pezzi si aggiravano attorno alla decina, come fa notare Norman a proposito delle raccolte di James West (undici pezzi), della duchessa di Kingstone (dodici pezzi), di Gustavus Brander (una dozzina di pezzi). Più ingente la presenza di maiolica nelle collezioni del medico e naturalista sir Hans Sloane (1660- 1753), in parte confluita nel neonato British Museum e nella collezione di James Manner, venduta nel 1791 (quarantadue pezzi).

La distinzione tra maiolica e ceramica ingobbiata all’epoca non era diffusa, per di più talvolta le maioliche italiane potevano essere confuse con produzioni Palissy; le smaltate italiane da collezione erano per lo più cinquecentesche o successive e non raggiungevano cifre elevate nelle aste (da 1 a 10 sterline circa al pezzo, anche se spesso erano vendute in interi lotti).490

Quando erano intese come arredo ornamentale di una stanza e non come pezzo da cabinet di curiosità o di cineserie, era frequente che le maioliche venissero montate in bronzo dorato e adattate alla cornice, livellandone il piede. Questo, secondo Norman, sarebbe indice di una parificazione nel gusto corrente del valore dei due materiali.

Un caso di particolare interesse nella storia del collezionismo ceramico inglese settecentesco è rappresentato dalla vendita di una superba collezione di antica Roman Ware, tenutasi da Christie’s nel 1777, di grande importanza sia per la qualità e la quantità dei pezzi (sessantaquattro in cinquanta lotti), sia per la modernità del catalogo, corredato da descrizioni precise e dettagliate. Nonostante si trattasse di una vendita anonima, è probabile che i pezzi provenissero da un erede dell’ammiraglio Broderick († 1767) e in ogni caso una parte del materiale confluì nella collezione di Ashton Lever (1806).491

La descrizione della villa neogotica di Strawberry Hill, di proprietà dello scrittore Horace Walpole (1717- 1797), offre la possibilità di conoscere i criteri di allestimento delle maioliche nell’insieme degli arredi ed in relazione ai vari ambienti della casa, nel 1784 (fig. 84): una parte era esposta negli scaffali e sul pavimento della cosiddetta stanza cinese, a fianco di ceramiche di altri tipi e diverse epoche, senza apparente sistematicità. Una brocca il cui disegno era attribuito a Giulio Romano faceva bella mostra di sè entro una nicchia su un caminetto in stile neogotico, vicino a quattro tazzine assegnate a Pietro da Cortona; una grande giara di maiolica era posta sotto ad un tavolo nella sala da pranzo, mentre nella sala Holbein (una stanza da letto) una maiolica a forma di nave, attribuita a Palissy, sormontava il camino ed altri pezzi erano esposti sulla tavola. Ulteriori maioliche comparivano nella Galleria e nella Rotonda dei disegni, associati talvolta a mobili laccati

490

Ibidem

giapponesi. In una camera da letto una brocca, due bicchieri, dieci piatti e dei vassoi in maiolica, riposti in un armadio e forse anche appesi alle pareti in cornici individuali.

Secondo Giacomotti, in Francia nel XVIII secolo l’interesse per le maioliche italiane era scarso, surclassato dalla moda dilagante delle porcellane di Sèvres, di Meissen, cinesi, ecc. In effetti se l’importante raccolta di Louis François Crozat comprendeva ventotto istoriati assegnati ad Urbino ed una parte dell’illustre servizio appartenuto ad Anne de Montmorency, la successiva collezione del duca de Caylus, nel 1772 ne era priva. Ancora nel 1826, poco prima della sua vendita, la collezione del barone Dominique Vivant Denon (1747- 1825), studioso di storia dell’arte, direttore del Louvre, che soggiornò a lungo in Italia, comprendeva solo tre piatti attribuiti a Faenza ed un

bassorilievo assegnato a Luca della Robbia.492

I principi tedeschi nel XVIII secolo si dedicarono con voracità alla raccolta di maioliche italiane: il duca Anton- Ulrich di Braunschweig- Wolfenbüttel (1633- 1714), nel palazzo granducale allestì un’eterogenea collezione di opere d’arte, tra cui milleduecento oggetti in maiolica cinquecentesca, in parte acquistati direttamente in Italia. Collocato nei cabinets di naturalia e artificialia dello stesso palazzo entro il 1768, l’insieme fu razziato dagli emissari di Napoleone e riconsegnato con la Restaurazione, per essere musealizzato quasi intatto nell’attuale sistemazione dell’Herzog Anton

Ulrich- Museum di Braunschweig (Brunswick).493

Nel “palazzo giapponese” di Neustadt l’elettore di Sassonia conservava porcellane e maioliche italiane; altri istoriati cinquecenteschi si trovavano nelle collezioni reali sassoni a Dresda (1721), alcune delle quali si trovano nel vicino Schloss Pillnitz. Presumibilmente i pezzi venivano esposti

su piccoli sostegni a diverse altezze, raggruppati sui muri per tipologie.494 Un’altra notevole

collezione appartenne al duca di Württemberg intorno al 1770 ed oggi si conserva a Stoccarda.495

Infine Johann Wolfgang von Goethe (1749- 1832) collezionò maiolica nella propria dimora a

Weimar, non acquistata durante il suo viaggio in Italia nel 1786- 88, ma nel 1825, all’asta Derschau

di Norimberga; attualmente i pezzi si trovano nel Goethe National Museum di Weimar.496

Anche in Italia nel secolo dei lumi diversi amatori proseguirono lo studio e la raccolta delle maioliche: Giambattista Passeri, autore dell’Istoria delle pitture in majolica fatte in Pesaro...

(1852), conservava una quindicina di lustri ed istoriati e diede notizia di altri collezionisti italiani.497

Tra essi, a Pesaro, il cav. Annibale degli Abbati Olivieri (1708- 1789), fondatore del museo archeologico e della biblioteca civica a lui intitolati, raccolse reperti da antiche botteghe scavate

492

Jeanne Giacomotti, Catalogue des Majoliques des Musées Nationaux, cit.

493 Ibidem

494 A. Vesey B. Norman, Wallace Collection..., cit 495 Timothy Wilson, Breve storia del collezionismo..., cit. 496

Jeanne Giacomotti, Catalogue des Majoliques des Musées Nationaux, cit.

sotto a Castel di Mezzo e sul monte Ardizio, nonché altri in località S. Venere; Giorgio Giorgi, medico e filosofo, trovò altri resti di lavorazione della maiolica presso il Convento dei Servi; e ancora il marchese Marcello Ardoino, Carlo Gavardini, Roberto Buffi, il card. Giovanni Francesco Stoppani, promotore della rinascita delle manifatture di Urbania, il cancelliere vescovile Giangiacinto Tassini, Giuseppe Padovani, Lucia Giordani, la famiglia Ardizj. In queste collezioni lustri ed istoriati erano la netta maggioranza. A Siena, continua il Passeri, il card. Zondodari a Villa Chigi possedeva una collezione di maioliche; a Gubbio il marchese Fonti, Giuseppe Cecchetti, le famiglie Tondi, Conventini, Ranghiasci, Elisei, Andreoli, Piccardi; ad Urbino il cav. Giovanni Abati; a Bologna le collezioni Biancani e di padre Savorgnani dell’oratorio di S. Filippo Nerio in Galliera; ad Ancona la collezione del conte Giambattista Ferretti; a Roma il museo privato di Leone

Strozzi (1657- 1722) è stato descritto nell’Arcadia del Crescimbeni del 1711.498 La collezione

ceramica di questa famiglia è descritta anche nell’inventario post- mortem dei beni di Maria Teresa Strozzi (1748), che fornisce interessanti indicazioni sull’allestimento: in un appartamento destinato soprattutto alla vita signorile dei padroni di casa «alcune stanze presentavano un arredo dedicato a un genere specifico di oggetti, dalle porcellane ai buccheri». Per buccheri non si intendevano solo gli antichi vasi etruschi di colore nero, ma oggetti ceramici di vario colore e provenienza (America, Portogallo, Spagna, Italia...), contraddistinti dal profumo dell’argilla in cui erano plasmati. Il profumo era più importante sia della forma, sia della decorazione. «Nella stanza dei buccheri gli oggetti erano disposti dentro mobili di legno dipinti e dorati, ornati da intagli in forma di foglie, nastri e conchiglie, chiusi da cristalli per permettere di vedere il prezioso contenuto: decine e decine di vasi, spesso ornati da filettature d’oro e d’argento, di tutti i colori. La collezione dei buccheri era un vanto della famiglia e su essa si soffermano alcuni autori del primo Settecento, in particolare il Magalotti e il Crescimbeni [...]. Questa speciale collezione apparteneva alla Marchesa Ottavia Strozzi, anche se è probabile che altri membri della famiglia l’abbiano incrementata [...]. La Marchesa ebbe anche vasi antichi [...]. Accanto alla stanza dei buccheri c’era quella delle

“porcellane fini”»499 in cui gli arredi erano ornati in stile cinese, in omaggio al Paese d’origine della

porcellana. Il Crescimbeni specificava che le porcellane migliori erano quelle appunto cinesi, seguite dalle olandesi e dalle francesi, citando anche quelle di Atri e Siena, ma lodando soprattutto le maioliche di Urbino, di gusto raffaellesco.

La collezione Strozzi Sacrati, pur essendo di rilevanza nazionale, verrà trattata nel seguente capitolo, per la sua stretta attinenza con la città di Ferrara.

498 Ibidem 499

Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Gli Strozzi a Roma. Mecenati e collezionisti nel Sei e Settecento, Roma, 2004, pp. 110- 111

Nel Settecento non era infrequente che le manifatture di terraglie, porcellane o maioliche fossero di proprietà di aristocratici collezionisti, che talvolta le gestivano direttamente, come ricorda Nepoti, che cita Ferniani a Faenza, Ginori di Doccia, il marchese Ghisilieri a Colle Ameno ed il conte Carlo

Aldrovandi a Bologna.500

La rivalutazione delle arti applicate tra XVIII e XIX secolo, secondo Ferdinando Bologna, ha un suo primo nodo nevralgico nell’affermazione del nesso tra «lo stato storico di una società e la

levatura dell’arte che la rapppresenta»,501 enunciato dall’architetto e decoratore inglese Augustus

W. N. Pugin (1812–1852), tra i promotori del Gothic Revival. Il precedente era però settecentesco, molti trattatisti avevano teorizzato che l’arte fosse frutto dell’etica di una società, come la bellezza

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