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La migrazione del Pastor fido in Inghilterra

Introduzione

Questo studio prende le teorie proposte dal neostoricismo come punto di riferimento metodologico per analizzare le riletture ideologiche del Pastor fido di guarini nel contesto storico-politico inglese della prima metà del XVii secolo. che la pastorale guariniana fosse conosciuta dal pubblico inglese del primo seicento è un dato acquisito, basti pensare alle celebri battute che Ben Jonson mette in bocca al personaggio di lady-politic-Would-Be nella com- media Volpone (1606):

Which o’ your poets? petrarch? or tasso? or dante? guarini? ariosto? aretine?

cieco d’adria? i have read them all. […] Here’s Pastor Fido—

[…] all our english writers,

i mean such as are happy in th’italian, Will deign to steal out of this author mainly, almost as much as from montagnie: He has so modern and facile a vein, Fitting the time, and catching the court-ear. (iii, iv, vv. 79-81, 86, 87-92)1

meno noti sono i canali culturali attraverso i quali il dramma pastorale guariniano raggiunse l’inghilterra, riscuotendo un successo di gran lunga superiore all’Aminta del tasso. per capire questo fenomeno letterario d’oltre- manica è necessario fare un passo indietro e analizzare il contesto storico-cul- turale entro il quale maturò l’opera di guarini, al fine di coglierne il carattere programmatico di summa della tradizione teatrale di argomento pastorale che aveva dominato le scene delle corti italiane per tutto il cinquecento.

Frodella

F. Fantaccini, o. de Zordo (a cura di), Studi di Anglistica e Americanistica. Percorsi di ricerca isBn (online) 978-88-6655-317-5, 2012 Firenze university press

Questo contributo è suddiviso in una parte introduttiva, in cui si riper- corre lo sviluppo della drammaturgia pastorale italiana dalla tradizione eglogistica della fine del Quattrocento fino alla tragicommedia pastorale di guarini, e una seconda parte dedicata alla ricostruzione delle modalità di trasmissione diretta del Pastor fido in inghilterra e all’analisi di tipo neosto- ricista delle riletture politico-ideologiche dell’opera nel contesto culturale inglese.

la prima parte serve a illustrare lo status letterario del dramma pasto- rale guariniano nel contesto storico-culturale di partenza, attraverso uno studio retrospettivo che tratteggia l’evoluzione di un sottogenere dal carat- tere accessorio e subalterno in un genere drammatico misto alternativo alla commedia e alla tragedia; l’intento programmatico di guarini di elevare l’egloga a tragicommedia pastorale sarà analizzato alla luce della comples- sa relazione tra la ricerca di rigore formale del classicismo, la politica cul- turale della controriforma e la rivalità tra le corti italiane, in un momento storico in cui lo spettacolo teatrale era concepito soprattutto come manife- stazione di potere.

una volta delineato il profilo del dramma pastorale guariniano nel con- testo storico-culturale di partenza, la seconda parte si occuperà invece del- la ricostruzione cronologica dei canali attraverso i quali l’opera di guarini giunse in inghilterra dopo l’editio princeps del 1589 e, contestualmente, della sua ricezione entro l’orizzonte storico-culturale di arrivo nel periodo com- preso tra il 1591, anno della pubblicazione in inghilterra del Pastor fido, e il 1647, anno in cui uscì la traduzione più nota del dramma pastorale guarinia- no ad opera del royalist sir richard Fanshawe. in questo arco temporale il Pastor fido assume di volta in volta valenze ideologiche diverse, collegate da un lato all’evoluzione dei rapporti culturali tra italia e inghilterra, dall’altro alle svolte epocali nella storia inglese della prima metà del seicento.

1. Dall’egloga rappresentativa alla tragicommedia pastorale 1.1 Le origini del dramma pastorale

le antenate dei fortunati drammi pastorali della seconda metà del cinquecento italiano sono le egloghe rappresentative in volgare, brevi dialo- ghi tra pastori costruiti sul modello virgiliano delle Bucoliche e recitati come intrattenimenti accessori o intermezzi nelle feste signorili a partire dalla fine del Quattrocento. il recupero della tradizione eglogistica classica risponde all’esigenza del nascente teatro profano di trovare un repertorio alternativo a quello religioso, e coincide con il rapido affermarsi della bucolica volga- re accanto alla lirica petrarchesca come linguaggio cortigiano per eccellen- za; gli idilli pastorali di Virgilio, teocrito, mosco e Bione trovano così una rielaborazione prosimetrica nella malinconica e raffinata Arcadia (1504) del sannazzaro. intanto, tra la fine del Quattrocento e il primo cinquecento,

inizia a circolare un gusto, evidente a livello letterario e iconografico, im- prontato a un edonismo erotico e naturale, e l’arcadismo, adatto a mediare simbolicamente le contraddizioni dell’ambiente di corte, diventa «il trave-

stimento alla moda dell’alta società»2. È dall’innesto del linguaggio bucolico

sannazzariano sul nascente teatro profano di argomento mitologico che si svilupperà il dramma pastorale di ambientazione arcadica.

mentre all’inizio del cinquecento il sottogenere dei dialoghi tra pastori, strutturati in un’esile fabula, viene assorbito nell’eclettica e confusa categoria di ‘egloga’, i primi classicisti desiderosi di rigore filologico e di emulazione dei classici si indirizzano verso il restauro antiquario della commedia lati- na e della tragedia greca; relegate in secondo piano rispetto ai due generi drammatici classici, le egloghe rappresentative continuano tuttavia a fiori- re e i primi decenni del cinquecento vedono comparire un gran numero di opere di argomento mitologico-pastorale dai confini strutturali incerti, che nelle edizioni a stampa vengono denominate genericamente ‘egloghe’, ‘favo- le’, ‘acti scenici’, ‘comedie’ o ‘feste’: ad accomunarle sono la brevità, la forma rimata, l’elegante veste pastorale, il mitologismo d’ispirazione ovidiano-apu-

leiana e le «brusche intrusioni di elementi comici e rusticali»3. nella Pastoral

(1520) il ruzzante denuncia per primo i limiti di un intrattenimento vaga- mente erudito e disimpegnato come quello delle egloghe rappresentative, che ripropongono stancamente infinite variazioni sullo stesso tema pastorale perpetuando così il loro status subalterno rispetto ai due generi drammatici regolari; in polemica con l’elegante Arcadia del sannazzaro, il rude linguag- gio villanesco di ruzzante mette infatti a nudo l’artificiosità della lingua let- teraria in cui si esprimono i satiri e le ninfe, contrapponendo il vero mondo

dei campi a quello idealizzato e arcadico immaginato dai letterati4.

l’esigenza di coerenza stilistica e rigore normativo spinge progressiva- mente il teatro di argomento pastorale verso l’uniformità linguistica e la ricerca di strutturazioni più organiche e verosimili dell’intreccio. lo spet- tacolo pastorale si trova dunque a dover scegliere se rinnovarsi in chiave colta e classicheggiante, andando ad occupare «uno spazio franco fra com- media e tragedia», oppure cedere a una definitiva «involuzione cabaretti-

stica»5. ne deriva una serie di componimenti che spianeranno la strada alla

graduale nobilitazione dell’egloga a genere drammatico regolare in grado di contendere con i due generi classici della tragedia e della commedia; un esempio di questa fase intermedia tra egloga rappresentativa, relegata allo spazio scenico minore dell’intermezzo o dell’intrattenimento conviviale, e dramma pastorale strutturato secondo i principi costitutivi del genere è la Mirzia (1535) dell’epicuro, divisa in tre atti e divenuta un archetipo per i più tardi autori di drammi pastorali grazie all’impiego di tre coppie di in- namorati, il gioco della moscacieca, oracoli, metamorfosi, interventi divini e un satiro. gradualmente si giungerà a uno schema drammaturgico divi- so in cinque atti introdotti da un prologo, rispettosi delle unità di tempo e di luogo, contraddistinti da elementi ricorrenti quali la spensieratezza

silvestre e l’edonismo primitivo di un’arcadia innocente. Questo genere di spettacolo di evasione, definibile più per difformità dalla tragedia e dalla commedia che per caratteristiche autonome, pare trovare una legittimazio- ne nello spazio teatrale satiresco che già Vitruvio aveva menzionato nel trattato De architectura (25-23 a.c.) accanto allo spazio cittadino della com- media, deputata a denunciare i problemi urgenti e contingenti della polis, e a quello aristocratico della tragedia, chiamata a far riflettere su questioni di

ordine ideologico e morale6.

negli anni ‘40 il rigore dell’aristotelismo si afferma anche in campo teatra- le, come attesta il tentativo del teorico e drammaturgo ferrarese giambattista giraldi cinzio di riscattare l’egloga rappresentativa dalla condizione subal-

terna di intermezzo attraverso ilrecupero antiquario del dramma satiresco

euripideo. il classicismo filologico del giraldi cinzio ammanta lo spettacolo pastorale di suggestioni classiche: la sua Egle (1545), composta da un prologo seguito da cinque atti e scritta in endecasillabi sciolti nel rispetto delle unità di tempo e di luogo, prende a modello il dramma satiresco euripideo Ciclope, unico esemplare sopravvissuto della tipologia di dramma che chiudeva le te- tralogie tragiche negli agoni ateniesi, e applica lo schema aristotelico alla ma- teria teatrale sregolata e subalterna dell’egloga rappresentativa. nella Egle si mescolano vari topoi del repertorio satiresco classico, come il tentato stupro delle ninfe, la scena di ubriachezza dei satiri, la schermaglia su amore e casti- tà, il monologo dell’amante disperato, il racconto di caccia; tuttavia la formu- la del dramma satiresco non attecchisce, sia per le difficoltà nel maneggiare una materia scopertamente erotica in un clima di incipiente controriforma, sia per l’epilogo infelice che tradisce le attese edonistiche stimolate dalla fa- vola. così l’Egle resta un fenomeno isolato, ignorato ad esempio da angelo ingegneri nel trattato Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche (1598).

in opposizione al classicismo antiquario del giraldi cinzio, il ferrarese agostino Beccari si propone di rinnovare l’egloga rappresentativa di matri- ce bucolica moltiplicando i personaggi e conferendo complessità all’intrec- cio romanzesco d’ispirazione ovidiana attraverso la narrazione di tre storie di amori a lieto fine; il drammaturgo adatta la materia pastorale alla forma drammatica della commedia divisa in cinque atti e prende in prestito situa- zioni burlesche tipiche della forma comica, mentre dalla tragedia desume il metro dell’endecasillabo sciolto e il tono dell’eloquio. il Sacrificio (1555), mes-

so in scena per la prima volta nel 1554 a Ferrara in casa di Francesco d’este7,

rappresenta qualcosa di innovativo nel panorama teatrale del cinquecento italiano, come rivendica lo stesso autore nel prologo:

una favola nova pastorale magnanimi et illustri spettatori, oggi vi s’appresenta, nova in tanto ch’altra qui non fu mai forse più udita

di questa sorte recitarsi in scena, e nova ancor perché vedrete in lei cose non più vedute: e il Sacrificio

Vogliam si chiami, poich’oggi è quel giorno nel qual si fanno i sacrificii e i giochi a pan liceo […]. (vv. 73-82)8

ma è nel prologo della seconda edizione, scritto dal guarini in occasio- ne della recita ferrarese per le nozze tra girolamo sanseverino e Benedetta pio, avvenute nell’estate del 1587, che il Sacrificio del Beccari viene indica- to a posteriori come il capostipite del nuovo genere drammatico pastora- le sviluppatosi dall’egloga classica attraverso l’egloga rappresentativa in volgare:

già gli antichi poeti aveano in uso d’introdurr’i pastori, che a vicenda scopriano i propri amori, quando col canto, Quando col suon de la sampogna, forse per mitigar il duol, le pene interne, ch’apportar suol amor seco e i suoi strali, e ciò da un sol pastor, talor da due in versi si spiegava, o in dolci note, o in lamentevol suon, conforme a punto a la felice o a la perversa sorte

che gli porgea nei lor amori il cielo, e quindi altro piacer mai non si trasse che col legger talor simil poemi.

ma perché ognor più l’uom col bell’ingegno che dio gli diè va investigando sempre nov’arte, novi modi, e nova industria per star al paragon non sol di quelli, ma, se fatto gli vien, per trapassarli, però il poema pastoral si vede a questi dì da quel costume antico molto diverso, che non più si scorge un pastor sol, né due, ma quattro e cinque, con belle ninfe or compagnate or sole, comparir in spettacoli et in scene. (vv. 1-24)9

dopo il Beccari altri seguiranno nel tentativo di creare una forma dram- matica pastorale a lieto fine, come il ferrarese d’adozione alberto lollio, che nell’Aretusa (1563) riprende il modello plautino del tragicomico ‘bor- ghese’ tentando un calco boschereccio della commedia d’agnizione; il prologo dell’Aretusa, scritta in endecasillabi sciolti, collega in chiave enco- miastica l’ambientazione arcadica con la nuova età dell’oro resa possibile dagli este, ma presenta pastori/proprietari imborghesiti, riduce la musica e le suggestioni sensuali e si risolve in agnizioni sbrigative e convenziona-

li. la formula vincente resta dunque quella del Beccari, superato in artifi- ciosità dal ferrarese agostino argenti, che nello Sfortunato (1567) riprende l’endecasillabo sciolto e mescola gli elementi consueti dell’egloga pastorale e della commedia classica, adottando il modello artificioso del linguaggio aulico cortigiano, esasperatamente retorico e pieno di riferimenti mitologi- ci e citazioni petrarchesche.

pur non avendo grandi meriti letterari, la cosiddetta ‘trilogia ferrare- se’ Sacrificio-Aretusa-Sfortunato sortì l’effetto di conferire dignità colta ad un genere come quello drammatico pastorale, che esprimeva irrequietezze manieristiche e idilliache evasioni in tempi di incipiente controriforma e di assolutismo, mettendo da parte la solennità impegnata della tragedia e l’aggressività critica della commedia e allacciandosi invece a mode ge- orgiche e campagnole. l’elegismo dei pastori sannazzariani e il patrimo- nio scenico della tradizione eglogistica della prima metà del cinquecento trapassavano così nella forma moderna e regolare del dramma pastorale ambientato in arcadia, il cui schema prediletto alla fine degli anni ‘60 ri- sultava costituito dall’intreccio di sequenze auliche e patetiche con scene comiche di repertorio e da innamoramenti a catena fra pastori e ninfe. lo Sfortunato, rappresentato a Ferrara nel maggio del 1567 sotto la direzione del Verato e con la musica di alfonso della Viola, ebbe tra i suoi ascoltatori

il giovane tasso, allora addetto alla casa del cardinale luigi d’este10.

1.2 La favola boschereccia del Tasso

la prima rappresentazione certa dell’Aminta, scritta nel 1573, risale al carnevale del 1574, in occasione del quale tasso fu chiamato dalla prin- cipessa lucrezia d’este presso la corte del suocero guidobaldo ii della rovere a pesaro, dove l’egloga venne messa in scena e recitata da un grup-

po di giovani dilettanti11. il dramma pastorale del tasso era molto diverso

da quelli che proliferavano sulle scene delle corti italiane o nell’ambiente universitario nella seconda metà del cinquecento; seppur maturata entro la tradizione drammatica ferrarese, l’Aminta venne infatti avvertita come una cesura per la trama semplice, né bozzettistica né avviluppata come quella delle precedenti pastorali, per l’attenzione ai concetti e ai sentimen- ti, e per l’uso dei cori che conferivano maestà all’egloga proiettandola in

una sfera che normalmente non le competeva12. nella lettera del pesarese

tiberio almerici al cugino Virginio, all’epoca studente a padova, si legge a proposito della prima rappresentazione dell’Aminta:

il terzo spettacolo che s’è goduto questo carnevale è stato d’un’egloga del tasso, che fu recitata questo giovedì, primo di Quaresima passato, da al- cuni giovani d’urbino, ed è stata tenuta per una delle vaghe composizioni che siano fin ora uscite in scena in tal genere, perché ci erano bellissimi e piacevolissimi concetti, e l’azione ancora che semplice, è molto piacevole e affettuosa. È ben vero che, per la verità, non è stata in alcune parti e princi-

pali così ben rappresentata come meritava, massime negli affetti, da’ quali nasceva il principale diletto dell’egloga: pure, da quelli che n’hanno gusto, è stata giudicata per cosa rara. e quel che di grazia s’è aggiunto a quest’egloga, e c’ha piaciuto più che mediocremente, è la novità del coro fra ciascun atto, che rendeva maestà mirabile, e recava co’ piacevolissimi concetti infinito di- letto agli spettatori ed ascoltatori.13

rispetto alla soluzione drammatica offerta dalla triade ferrarese Beccari- lollio-argenti, l’Aminta si presentava dunque come qualcosa di nuovo agli occhi del pubblico: una sintesi della tradizione eglogistica in volgare la cui semplicità d’azione permetteva di concentrarsi sull’introspezione psicologica dei personaggi, la cifra lirica dei dialoghi e la compattezza dell’effetto dram- matico. Quando guarini iniziò a comporre il Pastor fido, nel 1580, non poteva prescindere dalla lezione tassiana: il confronto tra la favola boschereccia del tasso e la tragicomedia pastorale del guarini è pertanto indispensabile per comprendere il processo di nobilitazione del dramma di matrice eglogistica a genere drammatico regolare messo in atto nel Pastor fido.

il primo elemento che colpisce nella trama dell’Aminta, ambientata in un generico «luogo di passo» (iii, i, v. 1212), è il reiterato ricorso al rac-

conto a scapito dell’azione14. in alcuni casi la scelta del racconto per far

conoscere le vicende della trama è giustificata dall’impossibilità di mette- re in scena l’azione (ad esempio, l’episodio del bacio di aminta fanciullo a silvia può essere solo narrato come antefatto poiché appartiene al pas- sato; l’episodio della liberazione di silvia non può essere recitato sul pal- coscenico per via del nudo integrale della ninfa; la caduta di aminta dalla rupe presenta evidenti difficoltà di rappresentazione), ma in altri casi questa impossibilità di resa scenica non sussiste. in particolare, l’episo- dio finale in cui silvia corre ad abbracciare aminta ferito e i due giovani sono finalmente uniti da reciproco amore avrebbe potuto essere recitato in scena, invece di essere raccontato da elpino. il modulo del racconto sembrerebbe una caratterizzazione stilistica volutamente perseguita dal tasso; ad ogni personaggio viene infatti assegnato un episodio in cui è chiamato a svolgere la funzione di narratore: ad aminta tocca il racconto dell’antefatto, a tirsi quello della liberazione di silvia nuda, a nerina la prima parte dell’avventura venatoria di silvia, a silvia la seconda parte, a dafne il primo tentato suicidio di aminta, a ergasto il secondo tentato suicidio, infine a elpino la narrazione del lieto fine.

il tasso ricorre ai racconti, non perché non fosse possibile scegliere al- tre formule (lo dimostrerà la decisa opzione guariniana per la rappresen- tazione diretta nel Pastor fido), ma perché il modulo della narrazione gli permetteva di ricavare effetti teatrali particolari che esprimevano la sua concezione del rapporto tra lo scenario pastorale e il mondo degli spet- tatori. infatti, il mondo pastorale dell’Aminta riflette con immediatezza il mondo cortigiano in cui vive il pubblico: tirsi è l’alter ego dell’autore, elpino è il pigna, una figura letteraria di spicco nella corte ferrarese, dafne

rappresenta la tipica dama di corte mondana e spregiudicata. nei dialoghi tra i personaggi non manca inoltre una serie di allusioni che riguardano il mondo degli spettatori, come l’evocazione della polemica anticortigia- na di sperone speroni, la celebrazione del duca alfonso d’este, il richia- mo ai passati amori di tirsi per licori (ispirati alla vicenda di tasso con la Bendidio), e al presente amore di elpino per licori (dove è riconoscibile un riferimento al legame tra il pigna e la Bendidio):

Quando, perciò, accanto ai discorsi sulla corte o su licori, si apre una discus- sione sui casi d’amore di aminta, essa verte, certo, su una vicenda immagi- naria, ma si presenta come analoga alle discussioni su vicende reali che il comune scenario pastorale ha potuto accogliere.15

in altre parole, sul palcoscenico vengono rappresentati direttamente gli ideali e i pettegolezzi del pubblico. se i discorsi di tirsi e di elpino sono il prolungamento dei discorsi del tasso e del pigna nella realtà, i pastori del coro sono gli interpreti dei sentimenti e dei sogni degli spettatori, in parti- colare del sogno di libero amore espresso nel celebre coro dell’atto i:

o bella età de l’oro, non già perché di latte

sen’ corse il fiume e stillò mele il bosco; […] ma sol perché quel vano

nome senza soggetto,

quell’idolo d’errori, idol d’inganno, quel che dal volgo insano

onor poscia fu detto,

che di nostra natura ‘l feo tiranno, non mischiava il suo affanno fra le liete dolcezze

de l’amoroso gregge; né fu sua dura legge

nota a quell’alme in libertate avvezze, ma legge aurea e felice

che natura scolpì: “s’ei piace, ei lice”. (i, coro, vv. 656-658, 669-681)16

i racconti sprigionano una tensione teatrale particolare, in quanto essi sono rivolti, sì, ai personaggi in scena, ma suonano come destinati diret- tamente agli spettatori, dato che i personaggi sono gli interpreti del pub- blico, chiamato a diventare complice della finzione drammatica. nella

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