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La migrazione ucraina: dagli antecedenti storici alla contemporaneità

La storia ucraina da un certo punto in poi può essere declinata come una storia di dominazione e colonizzazione da parte degli imperi e stati limitrofi. Ai continui ‘aggiustamenti’ dei confini, sono seguiti anche spostamenti di ingenti numeri di persone, che qualificano questa nazione come una delle regioni migratorie principali dell’area mediterranea Euro-Asiatica (Düvell 2006: 1). L’Ucraina è, così, divenuta nel tempo scenario di migrazioni di vario genere, circostanza riflessa nella pluralità etnica e religiosa della sua popolazione.

76  Il conflitto civile in Ucraina sta producendo, nei nostri giorni, delle consistenti ondate di

migrazioni forzate e di sfollati che, secondo l’UNHCR, ha raggiunto la quota di 1.1 milione di individui, mentre 674.300 ucraini avanzano richieste d’asilo, permessi di residenza, o altre forme di soggiorno legalizzato nei paesi confinanti, tra cui la Russia (per un totale di 542.800 persone) e la Bielorussia (80.700) (World Bank 2015: 7).

Paese di emigrazione e immigrazione, dal 1991 l’Ucraina si presenta anche come una delle principali aree di transito per i flussi – sia di migranti che di rifugiati – diretti in Europa occidentale (Düvell 2006: 1; Migration Policy Centre 2013; Prybytkova 2002; Malynovska 2010), tanto da collocarsi al terzo posto (dopo l’India e la Cina) nella classifica mondiale per i flussi in uscita ed al quarto per i flussi in entrata (Düvell 2006: 1).

La migrazione contemporanea ucraina, che ha iniziato a prodursi negli anni novanta, ha dei precedenti storici importanti, il primo dei quali risalirebbe quasi a due secoli fa. Nello specifico, alcuni studiosi (Boeckh e Völkl 2009: 174-176; Subtelny 2009) hanno individuato quattro ondate migratorie, spalmate nel corso degli ultimi due secoli.

La prima, che copre l’arco di tempo che va dal 1860 al 1914, ha assunto connotazioni economiche, coinvolgendo intere famiglie contadine che dall’Ovest dell’Ucraina si sono dirette verso il Canada, gli Stati Uniti e il Brasile (la stima è di 500.000 individui). Di questa “grande emigrazione economica”, specie di quella diretta verso il Brasile che prese il nome di “Febbre brasiliana”, restano diverse tracce anche in varie opere letterarie – tra cui quelle di Ivan Franko

(1856-1916), una delle figure di maggior spicco della cultura ucraina55.

Il secondo esodo ha avuto luogo tra il 1914 e il 1945 ed è stato cagionato da problemi di natura essenzialmente politica e da questioni militari. Questo secondo flusso di circa 250.000 persone fu costituito in prevalenza da intellettuali, studenti e militari che si diedero alla fuga verso le mete individuate nella fase precedente, a cui si aggiunsero i nuovi paesi di destinazione dell’America del Sud, dell’Australia, e – in Europa – della Francia, del Belgio, dell’Austria e della Repubblica Ceca.

La terza ondata, anch’essa connotata politicamente, e identificata in quella fase che dalla fine della seconda Guerra Mondiale arriva al 1953, viene fatta coincidere nel volontario non rientro in Ucraina di migliaia di persone (studenti, intellettuali, militari, giovani deportati dai nazisti) che si trovavano per ragioni differenti al di fuori dei confini nazionali (in particolare in Germania). Più di duecentomila furono gli ucraini che si stabilirono in Germania, quasi trentamila in Austria e dodicimila in Italia. Altre decine di migliaia si spostarono in Francia, Gran Bretagna e Australia, benché il numero maggiore si mosse ancora verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Argentina e il Brasile. Al principio degli anni ottanta l’America settentrionale contava un milione e mezzo di ucraini, il Canada settecentocinquantamila ed altri centotrentamila erano i migranti residenti tra Brasile e Argentina.

      

L’ultima ondata, che è ancora in corso e ha avuto avvio agli inizi degli anni novanta in seguito alla dissoluzione del blocco sovietico, ha visto defluire circa sette milioni di individui

(Keryk 2004: 1; Shostak 2006: 186; Düvell 2006: 3)56 in prevalenza verso l’Europa occidentale per

motivi sostanzialmente economici.

Questa ondata, definita novitnja, ossia ‘contemporanea’, ‘recente’ o novejščaja, ‘moderna’ (Godovanska 2011) corrisponde alla fase attuale della quale ci stiamo occupando. Essa presenterebbe delle specificità: la migrazione si realizza in un momento storico particolare, in cui il paese ha conseguito cioè la propria indipendenza e libertà, a differenza degli stadi migratori antecedenti, in cui gli ucraini non avevano (e non vivevano uniti in) un proprio Stato. Ciononostante, si rintracciano in questa fase gli stessi elementi costitutivi del primo esodo: il mantenimento della lingua madre, un forte vincolo con la Chiesa Greco-cattolica, un irrecidibile legame spirituale con la patria e un’organizzazione di tipo transnazionale e sistematica. Elementi che costituirebbero l’essenza della sua “diasporicità” (Ibidem).

La ‘diaspora’ nella migrazione ucraina

Sia le narrative migranti che la letteratura sull’argomento nel Paese d’origine e nel

continente americano57 usano definire questa migrazione pluricentenaria una ‘diaspora’58

(Godovanska 2011; Malinovska 2010; Subtelny 2009; Satzewich 2003; Düvell 2006; IOM 2008). Come abbiamo visto, da più di un trentennio il termine ‘diaspora’ è piuttosto invalso nella letteratura delle migrazioni, specie per le connessioni che lo legano al paradigma del transnazionalismo.

La migrazione ucraina, originata nel tempo da motivazioni diverse, non presenta caratteri

      

56 I numeri dei migranti ucraini all’estero sono discordanti: secondo una fonte del 2011 gli ucraini emigrati

all’estero (calcolati in base ai censimenti effettuati nei paesi stranieri di residenza) sarebbero stati sei milioni e mezzo (IOM Settembre 2011: 3). Un'altra fonte, invece, con riferimento all’anno 2012, fornisce due dati nettamente differenti – dai 5.335.840 ad 1.869.2555 – a seconda che si privilegi l’aspetto del paese di nascita o della cittadinanza: la quota migratoria più corposa, infatti, potrebbe essere costituita dagli individui di origine russa nati in Ucraina – i cosiddetti russi etnici, generalmente percepiti come emigranti ucraini – rimpatriati in Russia dopo il collasso del blocco comunista (Migration Policy Center June 2013: 1).

57 La maggior parte degli Ucraini all’estero risiedono tra la Russia, il Canada e gli Stati Uniti. Seguono gli

altri stati (IOM 2008: 29).

58 Anche sotto il profilo politico sono state implementate dallo Stato ucraino delle iniziative a favore della

‘diaspora’ in corso: negli anni 1996-2000 è stato predisposto il progetto “La diaspora ucraina” e per il quinquennio 2001-2005 un Piano d’Azione Nazionale “Ucraini stranieri”. Il fine di entrambi i progetti – senza voler entrare nel merito della loro reale sostanza, ma solo per sottolineare l’autoidentificazione della migrazione ucraina in un soggetto ‘diasporico’ – era di fornire un supporto adeguato allo sviluppo delle relazioni con la Diaspora, coinvolgendola nel processo di costruzione nazionale ed incoraggiandola a preservare l’identità etnica e il patrimonio culturale di cui è portatrice (Migration Policy Centre June 2013: 13).

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prevalenti, tali per cui possa essere definita in maniera ‘monotematica’59. Tra tutti gli attributi

destinati alle diverse diaspore del mondo quella ucraina contemporanea potrebbe essere in parte definita, nei termini di Cohen, una diaspora da lavoro, sebbene c’è chi ritenga che questo ideal-tipo non sia assimilabile alla diaspora in senso stretto, perché non è originata da un trauma (Faist 1998:

222)60. Oppure, in termini appaduriani, una diaspora della speranza, in cerca di condizioni di vita

migliori altrove (Appadurai 2007: 19-20). Ma, a questo riguardo, verrebbe da chiedersi quali delle diaspore o migrazioni contemporanee non siano mosse dall’attesa di un futuro migliore.

Benché riconosciamo l’importanza numerica dei flussi migratori che nel corso degli ultimi tre secoli si sono riversati fuori dai confini dell’Ucraina ed intravediamo in essi alcuni caratteri tipici del fenomeno diasporico, riteniamo altresì che l’adozione di questo termine sia per molti versi inappropriata e che vada mantenuto un discrimine tra questo e una migrazione che, al limite, può assumere tratti transnazionali o diasporici. Forse, nel caso della migrazione ucraina sarebbe più opportuno parlare di diaspora, come ha suggerito Brubaker, nei termini di una categoria della pratica (più che di analisi), utile per prendere coscienza della situazione in essere, che vede (e ha visto) la nazione segnata da importanti deflussi di risorse umane al di là dei suoi confini. E come atteggiamento culturale ed emotivo, che si riflette in un forte legame di appartenenza e di identificazione con la patria ancestrale (di cui si sente forte la nostalgia), declinandosi in una modalità di rivendicazione atta ad articolare progetti, a mobilitare energie e a formulare istanze di identità di una intera popolazione (Brubaker 2005: 12).

Ancora più appropriato, poi, sarebbe parlare delle “diaspore” al plurale e non al singolare, dando rilievo al loro differenziarsi nel tempo e nello spazio, assumendo caratteri peculiari a seconda del contesto e al momento storico di immissione. Non a caso alcuni autori sottolineano il netto contrasto tra le diaspore ucraine oltremare e quelle europee (il riferimento è a quella polacca), ancora poco sviluppate e istituzionalmente deboli per dare vita ad organizzazioni influenti che siano in grado di costituirsi in lobby (IOM 2008: 30). Le diaspore ucraine presenti nel continente

americano hanno dato vita a centinaia di organizzazioni61 coinvolte in diverse attività, il cui fine è

quello di promuovere l’immagine dell’Ucraina all’estero, in tal modo mantenendo con essa legami significativi (Ivi: 12). Le uniche attività che emergono, invece, dalle ricerche condotte sulle diaspore presenti in Polonia, sono l’organizzazione di eventi culturali, tradizionali e religiosi che fungono da elemento di attrazione per i new comers, costituendo un importante sostegno nel       

59 Ci si riferisce alla classificazione ideal-tipica delle diaspore elaborata da Cohen, in base al carattere

peculiare da loro espresso (diaspora delle vittime, da lavoro, commerciale, imperiale e deterritorializzata) (2008:18).

60 Questa teoria è, tuttavia, discutibile, in quanto la perdita del lavoro e di tutti i riferimenti certi che la vita

in un determinato contesto è in grado di offrire non può che produrre un profondo trauma, che non tutti possono essere in grado di accettare e affrontare, non trovando in sé le risorse umane, emotive e professionali necessarie per contrastarlo.

61 Secondo un articolo pubblicato sul settimanale “Ukrainian Weekly” il 24 agosto 2003 relativamente al

Congresso Ucraino Mondiale con sede a Kiev, il numero delle organizzazioni sarebbe ammontato ad un centinaio, distribuite in venticinque paesi, i cui membri raggiungevano approssimativamente i venti milioni (http://ukrweekly.com/archive / 2003 /The_Ukrainian_Weekly_2003-34.pdf).

processo di integrazione tra i membri della diaspora. Di importanza primaria il ruolo svolto dalla Chiesa Uniate che, oltre a fornire informazioni e supporto per trovare lavoro, costituisce anche uno dei luoghi privilegiati in cui si sviluppano i networks degli stessi migranti (Ivi: 12, 31).

Dei tre requisiti che Brubaker (2005) considera come fondanti il fenomeno della diaspora – la dispersione forzata o traumatica dalla madrepatria, il mantenimento di un forte orientamento verso di essa e di propri confini identitari che in un certo senso la isolerebbero dal contesto di arrivo – solo i primi due possono essere rinvenibili nei pattern migratori ucraini.

Che abbiano fatto leva motivi economici o politici, di certo ha avuto luogo un fenomeno di espatrio corposo che ha coinvolto milioni di individui, forzandoli ad una dispersione territoriale in numerosi altri luoghi del continente – Israele, Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina, Brasile a cui vanno aggiunti i paesi Nord europei e, di recente, i paesi del Mediterraneo –, che ancora oggi recano le tracce della loro presenza. La diaspora ucraina si è, dunque, dipanata nel tempo e nello spazio, diffondendosi in molti paesi del mondo (Migration Policy Centre June 2013: 2-3). Il

Congresso Mondiale Ucraino del 200362 ha stabilito, al riguardo, che essa include circa venti

milioni di individui, segno ineludibile dell’intenso dinamismo migratorio che ha caratterizzato questa nazione nel corso dei secoli (Düvell 2006: 5).

Irriducibile resta il legame con la madre patria che, malgrado le delusioni di ordine politico a cui i cittadini sono andati costantemente incontro, si conferma essere una “fonte autorevole di valori, identità e lealtà” (Ivi: 5). La patria è idealizzata, specie da un punto di vista del patrimonio

storico-culturale, naturalistico e paesaggistico, di cui si mantiene assai viva la memoria63. Forte è la

coscienza di un destino comune che lega tra loro i membri etnici dispersi nei vari stati: in questo

senso oltre al patrimonio culturale l’elemento religioso si rivela fortemente connettivo64. A tal fine

la comunità ucraina mette in campo delle iniziative, su base individuale o collettiva, tese a sostenere la madrepatria economicamente e culturalmente per mezzo di rimesse in denaro dirette non solo ai propri nuclei familiari, ma anche ad istituzioni religiose, per la costruzione o il restauro di chiese, o a fini puramente solidali, come il sostegno economico e materiale della popolazione in guerra.

      

62 Dal 20 al 23 marzo 2003 l’Harvard Ukrainian Research Institute, istituito nel 1973 grazie al supporto

finanziario della comunità ucraina all’estero, ha organizzato un seminario dal titolo “Diaspora and Homeland in the Transnational Age: the Case of Ukraine”, che ha raccolto sociologhi dal Canada, dagli Stati Uniti e dalla stessa Ucraina per discutere dell’attuale stato delle diaspore ucraine nel Nord America e delle sue relazioni con l’Ucraina indipendente. Le conclusioni tratte sono state che tali relazioni si presentano “multi- dimensional, complex, and often emotionally charged”, e che l’influenza esercitata dalle diaspore, sia a livello nazionale che territoriale, sulla politica, il comportamento delle elite, la cultura e la formazione identitaria è assai significativa (IOM 2008: 30).

63 Tutte le migranti da noi intervistate tessono le lodi della loro cultura, serbando un ricordo estatico degli

odori e dei profumi che emanano dalla natura incontaminata dei paesaggi della loro terra.

64 Durante uno dei miei viaggi in Ucraina, ho assistito ad una veglia di preghiera collettiva transnazionale

che metteva in comunicazione attraverso skype centinaia di migranti residenti in diversi paesi del mondo. La veglia, dedicata ad uno dei preti missionari in Italia, ammalato di tumore, che più si era speso a favore delle migranti e delle loro necessità materiali e spirituali, era stata organizzata a staffetta, in modo che i gruppi di preghiera potessero alternarsi durante tutta la notte senza mai interrompere il flusso della preghiera.

80  Diverso appare, invece, rispetto alla teorizzazione di Brubaker, l’orientamento verso il

mantenimento dei propri confini identitari nei confronti della società d’arrivo. Brubaker riteneva l’attributo della distintività dei caratteri etnici e della resistenza della comunità ad integrarsi nella società d’approdo, un criterio ineludibile affinché si potesse parlare di diaspora. Il mantenimento di relazioni significative solo all’interno, in un gioco di legami intersoggettivi a carattere triangolare – che leghino cioè i loro membri tra di loro e tra loro e la madre patria – non è peculiare di questa migrazione. La migrazione ucraina non appare autoreferenziale, ma mostra chiari segnali di apertura verso dinamiche di sincretismo e creolizzazione delle proprie pratiche culturali ed identitarie. Se non altro per “l’emergere di un certo grado di propensione ai matrimoni misti, che evidenzia una decisa tendenza da parte di questa comunità verso la pratica esogamica. […] Ciò si traduce in una chiara e strategica scelta di ancoraggio al contesto di arrivo da parte delle migranti e in una loro piena accoglienza da parte della popolazione autoctona, specie di genere maschile, in pieno accordo con la teoria che senza inter-matrimoni non c’è integrazione (Braudel 1986)” (Salvino 2014: 154). Se è vero, infatti, che “la mixité – sia essa rappresentata da matrimoni o convivenze – indica il grado di integrazione delle comunità straniere con quella autoctona (Peruzzi 2008: 59) o, per dirla utilizzando i termini della letteratura, “l’indice della volontà degli stranieri di

radicarsi nella società ospite e della capacità della società ospite di accettarli totalmente (Jocelyne

Streiff-Fenart 1989: 9)” (Ivi: 160), allora possiamo escludere per la comunità femminile ucraina la scelta della pratica endogamica auto-imposta che Brubaker ritiene essere peculiarità diasporica. Ciò può essere confortato dal seguente dato: nel 2005 il 94% del totale delle migranti ucraine che hanno contratto matrimonio in Italia ha optato per un partner italiano (Torre 2008: 11).

Delle esplicazioni concettuali proposte da Cohen (2008), e non contemplate nella versione di

Brubaker65, solo alcune possono essere rintracciabili nella migrazione ucraina. Se possiamo

rinvenire tra le spinte migratorie questioni a carattere economico, non altrimenti possiamo dire delle ambizioni commerciali o a sfondo coloniale, completamente assenti tra i moventi alla partenza. Sulle motivazioni di questo movimento migratorio campeggiano i bisogni economici. Tale dato è supportato dalla bassissima incidenza di attività imprenditoriali ad opera dei membri della collettività ucraina sull’intero territorio nazionale (Dossier Statistico Immigrazione 2014: 293-295; e 2013: 315-320): nel 2012 i titolari di impresa, secondo Unioncamere, ammontavano complessivamente a 3.451, con una incidenza maschile del 45,2% (Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico 2014: 4).

      

65 Si tratta dell’abbandono della patria per questioni commerciali o ambizioni coloniali; del mantenimento

di una memoria collettiva e della costruzione di un mito sulla madrepatria; della sua idealizzazione e del tentativo di spendersi collettivamente per il suo mantenimento o la sua eventuale creazione; dell’orientamento verso un movimento di ritorno; di una forte coscienza etnica di gruppo basata sulla percezione di un carattere distintivo e la trasmissione di un comune patrimonio culturale e religioso e l’idea di un comune destino; di una relazione difficile e sofferta con la società di destinazione; di un senso di solidarietà nei riguardi dei connazionali dispersi altrove e della possibilità di condurre una vita migliore in un paese più aperto alle istanze multiculturali (Cohen 2008: 17).

Anche la questione del ritorno è controversa. La percezione è che, a fronte delle delusioni delle aspettative circa un cambiamento strutturale complessivo (economico, sociale, politico e culturale) delle condizioni in cui versa la madrepatria, la più parte delle donne migranti non mostri un deciso orientamento al ritorno. Il ritorno risulta essere condizionato dalle specifiche contingenze familiari e personali: si ritorna laddove si sia in presenza di figli o mariti che a gran voce reclamano la presenza della migrante o allorché ci siano ancora genitori anziani bisognosi di cure. In assenza di questi presupposti, si tende a restare, o, nel caso si sia già in un’età avanzata e non si sia trovato un compagno nel contesto di arrivo, si tende a procrastinare il più possibile il rientro. Ciò è legato alla convinzione di poter condurre una vita qualitativamente migliore nel paese di destinazione. Parte di questa migrazione tende poi ad assumere le connotazioni di una mobilità circolatoria, caratteristica che non appartiene a nessuna diaspora sinora studiata.

Infine, per ciò che concerne l’instaurazione di una relazione sofferta col paese in cui si è stati accolti, la sensazione è che questa sia limitata all’estraniazione iniziale – l’arrivo e le difficoltà di ambientazione linguistiche e socio-culturali – o che investa la sola relazione di lavoro, qualora questa abbia comportato condizioni eccessivamente pesanti da tollerare. In genere, però, anche coloro che ammettono di aver esperito situazioni lavorative difficili, relegano questo ricordo in un angolo della loro memoria di ‘viaggio’, facendo prevalere gli aspetti più luminosi dell’esperienza (l’aver vissuto in Italia, che resta un paese dai contorni fiabeschi per il suo straordinario patrimonio artistico-culturale, l’aver potuto visitare tante città d’arte italiane ed europee, l’aver instaurato relazioni significative con gli autoctoni e l’aver potuto confrontarsi con persone provenienti da paesi diversi).

II.4. La migrazione contemporanea ucraina

La migrazione contemporanea ucraina – o “quarta ondata” – ha avuto inizio nel corso degli anni novanta, a seguito della dissoluzione dell’impero sovietico e della introduzione del sistema economico capitalista in sostituzione dell’apparato socialista. Diversi gli effetti negativi innescati da questo delicato passaggio: un crescente tasso di disoccupazione, la svalutazione della moneta locale e dei risparmi dei cittadini, la perdita improvvisa di garanzie sociali e un’inflazione galoppante connessa ad una (sempre più) accentuata corrosione del potere d’acquisto (ETF 2011).

Tali situazioni hanno prodotto un processo spinto di pauperizzazione della popolazione, per risolvere il quale sono state messe in campo alcune strategie, tra cui l’emigrazione, divenuta praticabile in seguito all’apertura delle frontiere: “uno dei modi più efficaci per sopravvivere” (Pribytkova 2004: 137). Come scrive Alissa Tolstokorova: “La transizione post-sovietica con l’illusione di una vita migliore attraverso la democratizzazione di tutti gli aspetti della vita quotidiana, ha trasformato l’Ucraina in un paese fornitore di manodopera all’interno del sistema

82  economico mondiale, esponendolo ad una serie di perdite: brain drain, e skill drain, female drain e

care drain…convertendo la nazione in un “prodotto da esportazione”” (2010: 85).

Durante il periodo sovietico gli unici movimenti consentiti alle popolazioni delle Repubbliche socialiste erano quelli interni allo spazio dell’Unione (Migration Policy Centre April 2013: 1). Gli spostamenti erano dovuti al reclutamento di lavoratori ai fini delle necessità produttive o all’ingaggio di individui (sovente forzato) da impiegare nella costruzione di grandi opere infrastrutturali (dighe, industrie pesanti) in territori vergini, situati in zone di frontiera (in

genere la Siberia), in cui le condizioni di vita e di lavoro erano durissime66; all’arruolamento di

uomini da destinare al servizio militare, che solitamente si svolgeva al di fuori dei confini del proprio paese (Malynovska 2004: 3-4); allo spostamento coatto di interi gruppi etnici verso nuove regioni della Federazione, tra cui il Kazakhstan.

La migrazione, intesa come scelta individuale o familiare di trasferimento della propria residenza in un luogo diverso da quello di nascita (di tipo bottom up), non era contemplata. Esisteva solo un movimento, esercitato dall’alto verso il basso (del tipo top down) – di uomini-

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