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La necessità del nuovo modello societario Una critica

Nel documento La società benefit (pagine 92-95)

IV. LE FORME ORGANIZZATIVE, L’ATTIVITÀ D’IMPRESA E LE FINALITÀ

7. La necessità del nuovo modello societario Una critica

precedente paragrafo sembrerebbe potersi sostenere che, a prescindere dalla novità legislativa apportata dalla l. 208/2015, nel nostro ordinamento l’istituto societario già poteva accomodare, quando i soci lo desiderassero, un utilizzo anche in chiave idealistica e altruistica, seppur nel rispetto di uno scopo lucrativo generale.

Considerato che legislazione sulla società benefit non importa modificazioni all’ordinaria disciplina civilistica delle società, credo dunque opportuno esaminare più approfonditamente quale sia la reale portata innovativa dell’introduzione del nuovo modello. Ma procediamo ordinatamente, riconsiderando i singoli tratti della disciplina della società benefit italiana e se risultati analoghi potessero essere ottenuti anche senza il recente intervento normativo.

Quanto al perseguimento del general public benefit e dell’uno o più specific public

benefit, ho già avuto modo di sostenere l’opinione che ai soci delle società tradizionali

non fosse precluso di connotare queste ultime come società che «nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse»46. Tuttavia, a differenza che nella società

44 Si veda il cap. II, al par. 8.

45 Non volendosi qui aderire all’orientamento più estremo della dottrina che fa capo a G.SANTINI, Tramonto

dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 151 ss., secondo cui l’indicazione

dello scopo lucrativo nell’art. 2247 cod. civ. non osta alla configurazione di una neutralità funzionale dell’istituto societario; nell’opinione di questo autore, anzi, «il diritto del socio o, se si vuole, l’obbligo degli amministratori a che la società persegua un utile in tanto sussistono in quanto lo statuto preveda tale perseguimento» (Ivi, a p. 163).

benefit47, ai soci delle società tradizionali non sarebbe stato imposto di perseguire cumulativamente un beneficio comune di natura generale e almeno una finalità di beneficio comune specifica, dato che essi avrebbero potuto tranquillamente prevedere anche una sola tra le due cose. Di conseguenza, alle società tradizionali sarebbe stato consentito di perseguire una o più finalità che arrecassero beneficio a determinate categorie di soggetti, trascurando però la ricaduta complessiva dell’attività48.

A seguire, se si accetta l’orientamento secondo cui alle società tradizionali era già consentito di prevedere finalità ulteriori oltre a quella meramente lucrativa, coerentemente si deve ritenere anche che tali finalità sarebbero state vincolanti per gli organi sociali e in particolare per l’organo amministrativo, perciò la società sarebbe comunque stata «amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi [degli stakeholder] […], conformemente a quanto previsto dallo statuto»49 e l’eventuale inosservanza di tale obbligo avrebbe

potuto «costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto»50.

Quanto al regime delle modificazioni statutarie introduttive, modificative o rimoventi le finalità di beneficio comune, si è già visto che la disciplina della società benefit non ha introdotto deviazioni dalla normale disciplina applicabile alle varie tipologie societarie51, sicché le stesse norme avrebbero trovato impiego per il caso della società tradizionale che avesse inserito degli elementi ideali nel proprio statuto o atto costitutivo.

Tra le previsioni che possiedono un carattere innovativo, oltre a quella già considerata che prescrive il perseguimento cumulativo del general public benefit e dell’uno o più specific public benefit, si possono collocare quelle che: rendono obbligatoria la nomina del responsabile del perseguimento delle finalità di beneficio comune52; dispongono la redazione annuale, la pubblicazione e i contenuti del benefit

report53; consentono l’utilizzazione e la spendita delle parole «Società benefit» o

47 In proposito cfr. il cap. I, al par. 4. 48 Vedi il cap. I, al par. 6.

49 art. 1, comma 380, primo periodo, l. 208/2015. 50 art. 1, comma 381, primo periodo, l. 208/2015. 51 Vedi in particolare il cap. II, ai parr. 2 e 7.

52 Vedi l’art. 1, comma 380, ultimo periodo, l. 208/2015. 53 Vedi l’ art. 1, comma 382, l. 208/2015.

l’abbreviazione «SB» nella denominazione sociale e nei traffici giuridici54; prevedono i poteri di controllo esterno dell’AGCM55.

Peraltro, nel caso della nomina del responsabile per il perseguimento delle finalità benefit, il carattere innovativo si rinviene nell’obbligatorietà di tale nomina, mentre in via facoltativa anche le società tradizionali avrebbero potuto conferire le competenze in materia di promozione delle finalità sociali ad un soggetto specifico.

Circa il benefit report, la nuova disciplina ha il merito di renderne obbligatoria la redazione annuale e di approntare un quadro strutturale e contenutistico entro il quale predisporre la relazione, ma anche le società tradizionali avrebbero già potuto far uso degli strumenti di rendicontazione non finanziaria, i quali erano ben noti ai cultori delle scienze economico-aziendalistiche56.

In merito alla possibilità di utilizzare le locuzioni «Società benefit» o «SB», si rileva che senz’altro essa non costituisce l’unico modo con cui segnalare al pubblico il proprio impegno sociale, per cui anche le società tradizionali con finalità ideali avrebbero potuto distinguersi dai concorrenti facendo uso di altri sistemi57, non ultima la certificazione B- Corp di BLab58.

A proposito, infine, dei poteri di vigilanza dell’AGCM cui è sottoposta la «società benefit che non persegua le finalità di beneficio comune»59, non si può escludere che poteri analoghi potessero configurarsi in relazione all’ipotesi in cui una società tradizionale decettivamente presentasse sé stessa e i propri prodotti come socialmente responsabili, traendo in inganno il mercato.

In conclusione, poiché tutto sommato nel contesto delle società tradizionali sarebbe stato possibile ottenere risultati analoghi o comunque equivalenti alla disciplina contenuta nei commi da 376 a 384 dell’art. 1 della l. 208/2015, a me pare che non vi fosse in realtà una necessità impellente di trapiantare il modello della società benefit nell’ordinamento italiano.

54 Vedi l’art. 1, comma 379, ultimo periodo, l. 208/2015. 55 Vedi l’art. 1, comma 384, l. 208/2015.

56 Si veda il cap. II, specificamente il par. 12.

57 Il tema del green marketing e del societal marketing è già stato brevemente toccato nel corso del cap. II,

al par. 12.

58 Sulla certificazione B-Corp, si veda il cap. I, al par. 1. 59 art. 1, comma 384, primo periodo, l. 208/2015.

In un’altra prospettiva, non credo si possa negare che la novità legislativa in questione abbia comunque una sua funzionalità, a prescindere da possibili difetti redazionali che se ne sono evidenziati, in quanto delinea un modello di for-profit social

enterprise in cui sono finalmente inquadrati in una prospettiva globale vari profili prima

scollegati come quelli dell’impegno civico, del bilanciamento tra scopo lucrativo e finalità sociali, della rendicontazione non finanziaria, del societal marketing e del suo monitoraggio . Dal punto di vista dei fautori della RSI, della Progressive Corporate Law e della Social Enterprise, quindi, anche il semplice riconoscimento legislativo della società benefit rappresenta un traguardo non da poco, poiché costituirebbe un primo passo verso il progressivo ed epocale cambiamento di paradigma nel modo di fare impresa60.

Nel documento La società benefit (pagine 92-95)

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