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La peculiarità di diversi modelli di imprese vitivinicole

Si è già anticipato che questo settore si caratterizza per il fatto di comprendere “un grande numero di operatori, che si collocano ai diversi stadi della filiera e che si sono strutturati giuridicamente e organizzativamente in modo completamente diverso” (Spano, 2010, p. 125), ma questo vale anche per le imprese vitivinicole intese secondo la definizione illustrata nel primo paragrafo di questo capitolo.

In sostanza, si possono individuare tre modelli di imprese vitivinicole:

- l’impresa individuale o in veste societaria non facente parte di un gruppo; - la cooperativa;

- il gruppo.

2.3.1 L’impresa individuale o in veste societaria non facente parte di un gruppo

Si tratta del modello di impresa vitivinicola più semplice poiché in genere è gestita principalmente dal viticoltore che si può avvalere della collaborazione dei propri familiari.

In realtà, questa tipologia d’impresa si avvale anche di tecnici del settore come agronomi ed enologi nei casi in cui l’imprenditore o i soci svolgano attività estranee alla vitivinicoltura, ma, essendo quest’ultimi proprietari di terreni vocati alla produzione di uva e quindi di vino, abbiano deciso di avviare un’altra attività imprenditoriale (Torcivia, 2007, pp. 2-4).

Come è stato già evidenziato nel secondo paragrafo di questo capitolo, si tratta della forma giuridica più diffusa in Italia.

Infatti, si ripete, una delle peculiarità del settore vitivinicolo italiano è la polverizzazione dell’offerta, nel senso che le imprese che includono l’attività di produzione dell’uva sono di media- piccola dimensione in ragione del fatto che mediamente coltivano terreni di ampiezza pari 1,5 - 3 ettari.

2.3.2 La cooperativa

La cooperativa è un modello d’impresa ampiamente presente in agricoltura e quindi ovviamente anche nella vitivinicoltura.

La molteplicità di imprese cooperative in Italia deriva dal fatto che tale forme giuridica è strumentale all’ “aggregazione dell’offerta a fronte di una proprietà agricola estremamente frammentata e di piccolissime dimensioni” (Ammassari e Chiodo, 2008, p. 2), ergo si tratta del modello di impresa il cui utilizzo può essere sinteticamente giustificato attraverso l’espressione ‘l’unione fa la forza’.

Facendo specifico riferimento al settore vitivinicolo, le imprese cooperative vitivinicole vengono denominate cantine sociali.

Questa tipologia d’impresa produce il vino utilizzando le uve fornite dai propri soci ed inoltre, si occupa della vendita del vino prodotto (Spano, 2010, p. 125).

La chiave di successo delle cantine sociali consiste nel fatto che, oltre ad essere una realtà più strutturata e quindi decisamente più idonea a presentarsi sul mercato rispetto ai singoli viticoltori, è in grado di diversificare l’offerta grazie alle diversità dei singoli

soci, quali le diverse tipologie varietali d’uva che gli stessi possono conferire in ragione del terreno e del vitigno che coltivano, ma anche in termini più generali relativamente alle differenti competenze, capacità che connotano ogni singolo socio (Torcivia, 2007, p. 8).

In ragione del loro ruolo fondamentale nel settore vitivinicolo italiano, vale a dire che attraverso questa tipologia d’impresa è stata possibile sostenere “una viticoltura basata essenzialmente sul binomio piccolo vigneto familiare – cantina sociale, garantendo al produttore il ritiro delle uve ed un prezzo congruo” (Ammassari e Chiodo, 2008, p. 2), la nascita delle cooperative nel panorama vitivinicolo italiano risale già intorno alla fine dell’800.

In particolare, il sistema vitivinicolo italiano fino ai primi anni ’80 era caratterizzato da circa 800 cooperative locali di dimensione molto ridotta, tanto che in alcuni territori si verificavano delle sovrapposizioni, la cui attività riguardava solamente la trasformazione di vino sfuso.

Successivamente in risposta ai cambiamenti imposti dal mercato, dalla base sociale e soprattutto dalla necessità di assicurare un reddito congruo a quest’ultima, la cooperativa ha dovuto assumere dimensioni maggiori mediante operazioni di fusioni ed incorporazioni abbandonando sempre più la caratterizzazione locale che le distingueva prima.

Nello specifico, negli ultimi anni le cantine sociali ricoprono circa l’1,4% rispetto al totale delle imprese ma, come evidenziato precedentemente, la quantità di vino che queste producono rappresenta quasi la metà di tutto il vino prodotto in Italia (Ammassari e Chiodo, 2008, p. 2).

Deve essere precisato che il processo di evoluzione delle cantine sociali è stato anche dettato negli anni più recenti dalla grande distribuzione organizzata (GDO), in quanto tale canale nel settore del vino ha assunto un peso davvero considerevole, infatti la distribuzione moderna ormai veicola oltre il 70% delle vendite in volume di vino da tavola (Spano, 2010, p. 127).

2.3.3 Il gruppo

impresa operante nel settore vitivinicolo.

L’art. 2359 del codice civile specifica che devono intendersi come imprese controllate: « 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili

nell’assemblea ordinaria;

2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria»

Inoltre ai sensi del D. Lgs. 127/91 sono da considerarsi imprese controllate quelle imprese « a) su cui un’altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b) le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto ».

Considerando il settore vitivinicolo si possono individuare due tipi di gruppi:

- orizzontale, quando le imprese facenti parte del gruppo sono tutte integrate verticalmente e quindi sono presenti al medesimo stadio della filiera;

- verticale, quando le imprese del gruppo appartengono a stadi della filiera differenti (Torcivia, 2007, p. 14).

A conferma della diversità dei modelli di impresa vitivinicola in Italia, sono presenti gruppi che comprendono imprese vitivinicole in forma di cooperativa.

Alla luce di quanto descritto in questo capitolo, risulta chiara la complessità del settore vitivinicolo tale da rendere oggettivamente “molto difficile comporre un aggregato omogeneo di imprese e poterle confrontare in maniera adeguata, studiarne comparativamente «le performance»” (Spano, 2010, p. 125).

Sebbene non sia stato semplice, nell’ultimo capitolo si è svolta un’analisi delle performance economiche – finanziarie di un campione di imprese vitivinicole con veste societaria a responsabilità limitata (S.r.l), quindi si tratta di imprese rientranti nel primo modello.

E’ stata necessaria la scelta di analizzare delle imprese vitivinicole in forma giuridica di società a responsabilità limitata, perché, volendo indagare le imprese del primo modello tramite la tecnica di analisi di indici di bilancio in qualità di analista esterno, ampiamente illustrata nel prossimo capitolo, si dovevano avere a disposizione dei bilanci pubblici da poter rielaborare.

CAPITOLO III

L’analisi economico-finanziaria attraverso il

bilancio civilistico

SOMMARIO: 3.1 Le finalità dell’analisi di bilancio per indici. – 3.2 Le riclassificazioni dello stato patrimoniale civilistico. – 3.2.1 Il criterio finanziario. – 3.2.1.1 I limiti della riclassificazione in qualità di

analista esterno. – 3.2.2 Il criterio funzionale. – 3.2.2.1 I limiti della riclassificazione in qualità di analista esterno.- 3.3 Le riclassificazioni del Conto Economico civilistico. – 3.3.1 La riclassificazione a valore della produzione e valore aggiunto.- 3.3.1.1 I limiti della riclassificazione in qualità di analista esterno.- 3.3.2 La riclassificazione a ricavi e costo del venduto.- 3.3.2.1 I limiti della riclassificazione in qualità di analista esterno. – 3.4 Focus sugli indici di bilancio. – 3.5 L’analisi della dinamica finanziaria

attraverso il rendiconto finanziario della variazione delle disponibilità liquide a partire dal bilancio civilistico.

3.1 Le finalità dell’analisi di bilancio per indici

La tecnica dell’analisi di bilancio viene svolta al fine di poter formulare una valutazione sulla situazione economico-finanziaria di un’impresa.

In particolare tale metodo si divide in due fasi:

- una prima fase ‘operativa’, costituita dalla riclassificazione dei bilanci d’esercizio che consente di calcolare gli indici di bilancio ossia dei rapporti aritmetici su valori di bilancio significativi;

- una seconda fase ‘interpretativa’, nella quale l’analista, attraverso l’utilizzo degli indici volti ad analizzare le dinamiche della gestione, giunge a un giudizio circa l’equilibrio economico (Bozzolan, 2001, p. 199).

Il motivo principale della prima fase operativa risiede nel fatto che non è sufficiente il bilancio d’esercizio per studiare in maniera esaustiva la gestione dell’impresa, ma è necessaria la rielaborazione dei documenti che lo compongono per riuscire a capire determinati profili della gestione.

L’aspetto finanziario riguarda i fabbisogni di capitale e le relative coperture, quindi esamina la gestione dal punto di vista della liquidità. L’aspetto economico, invece, studia la redditività dell’impresa osservando i costi e i ricavi. Infine, l’aspetto patrimoniale rappresenta l’analisi dalla solidità dell’impresa ponendo l’attenzione sul capitale proprio e i debiti (Dezzani, Ferrero, Pisoni e Puddu, 1998, p. 5).

Movendo in tale direzione, è importante distinguere le analisi di bilancio interne, vale a dire le analisi che sono condotte da soggetti interni all’impresa, da quelle esterne ossia le analisi svolte da soggetti che non lavorano all’interno dell’impresa. Ciò in quanto le analisi interne sono molto più complete e corrette giacché l’analista ha disposizione tutte le informazioni, sia contabili che non, a differenza dell’analista esterno che può eccepire le sole informazioni contabili.

I limiti derivanti da quest’ultimo tipo analisi saranno approfonditi nei prossimi paragrafi di questo capitolo.

I soggetti esterni interessati a svolgere l’analisi di bilancio per indici, a titolo esemplificativo, possono essere:

- i finanziatori in quanto devono comprendere la solvibilità dell’impresa oggetto di indagine;

- gli operatori del mercato finanziario, quali gli analisti finanziari o i risparmiatori o investitori istituzionali che devono valutare la redditività di società quotate in mercati regolamentati in modo da stabilire la convenienza ad acquistarne le azioni;

- gli analisti finanziari di settore, al fine di studiare un determinato settore (Dezzani, Ferrero, Pisoni e Puddu, 1998, p. 4)

- i fornitori per comprendere la capacità dell’impresa di pagare i debiti nei loro confronti;

- i concorrenti in quanto potrebbero essere interessati al confronto verso un’impresa concorrente che considerano come benchmark;

- altri creditori;

-clienti e anche l’amministrazione finanziaria (Bozzolan, 2001, p. 202).

I soggetti interni sono rappresentati soprattutto dal management della medesima impresa (Dezzani, Ferrero, Pisoni e Puddu, 1998, p. 4).

Pertanto, data la molteplicità di soggetti che possono essere interessati a utilizzare la tecnica dell’analisi di bilancio per indici, è chiaro che sono diversi gli scopi che portano

al calcolo degli stessi come per esempio effettuare delle comparazioni spazio-temporali, esaminare la gestione mediante l’osservazione dell’impiego di risorse in ordine ai risultati ottenuti, definire gli obiettivi futuri (Torcivia, 2007, p. 24), oltre alla finalità principale di valutare il rispetto del principio di economicità mediante l’osservazione della gestione dell’impresa (Airoldi, Brunetti e Coda, 2005, p. 247).

Nei paragrafi successivi si descriverà la tecnica dell’analisi di bilancio svolta da un’analista esterno, le cui uniche informazioni che ha a disposizione sono il bilancio d’esercizio civilistico.