• Non ci sono risultati.

La politica internazionale e gli equilibri continental

Nel documento I Savoia. Quattro storie per una dinastia. (pagine 56-102)

Introduzione.

Tra la cosiddetta «Prima restaurazione» dello Stato sabaudo – nel- l’ambito del più ampio trattato di pace stipulato a Cateau-Cambrésis nel 1559, ritenuto, in genere, conclusione delle cosiddette «Guerre italia- ne» iniziate nel 1494 – e la «Seconda Restaurazione», avvenuta nell’am- bito di un accordo di pace che ridisegnò la cartina d’Europa dopo le guerre della Francia rivoluzionaria e quelle napoleoniche (1792-1815), lo Stato sabaudo subì una serie di notevoli trasformazioni sia interne, sia esterne. Lo Stato fu rimodellato territorialmente, acquisì una nuova identità (fu denominato regno di Sardegna dal 1720 sino all’integrazio- ne nel regno d’Italia nel 1861) e subì un processo di ampia ristruttura- zione interna. In linea teorica, questi sviluppi furono la conseguenza del- l’abilità dello Stato sabaudo a inserirsi, traendone notevoli vantaggi, nel mondo spesso pericoloso della politica delle potenze europee, e nelle lot- te delle potenze più o meno grandi per l’ottenimento di ulteriori risor- se, status e territorio. Questo successo di uno Stato, per altro verso pic- colo e abbastanza debole, è sorprendente e richiede di essere spiegato. Le grandi linee della storia della partecipazione sabauda alla diplo- mazia europea e alla lotta internazionale, come i dettagli di alcuni epi- sodi specifici, innanzitutto la guerra di Successione spagnola, che han- no dato vita a una magnifica serie di volumi, sia di fonti dell’Archivio di Stato di Torino, sia di saggi, relativi all’esercito sabaudo, alle finan- ze, ecc., sono indubbiamente chiare1. La comprensione di tali avveni-

menti, tuttavia, e di quella che potremmo chiamare l’«ascesa dei Sa- voia», è stata fuorviata, in primo luogo, dalla mentalità risorgimentale che ha condizionato un gran numero di storici, la cui opera rimane fon- damentale per conoscere e capire l’evoluzione dello Stato sabaudo in questi secoli, e come s’inserì nel sistema degli Stati europei. Per molti

1Per una visione d’insieme della politica estera sabauda tra 1684 e 1798, cfr. d. carutti, Sto-

ria della Diplomazia della Corte di Savoia, Torino 1875-80, voll. III-IV (1675-1773); n. bianchi, Storia della Monarchia Piemontese dal 1773 sino al 1861, Torino 1877, voll. I-II.

di questi storici, Domenico Carutti e altri, l’attività diplomatica sabau- da e la partecipazione ai maggiori conflitti europei dei secoli xvi, xvii e xviii, non fu in pratica altro che un progressivo avvicinamento all’uni- ficazione dell’Italia: vero destino dello Stato sabaudo e dei suoi princi- pi. Visione invero troppo semplicistica. Le politiche dei duchi di Savoia, lungi dall’essere ispirate a una concezione nazionalistica (almeno nell’ac- cezione ottocentesca e novecentesca del termine) o «italiana», furono, in primo luogo, dinastiche; ossia, finalizzate al potenziamento (in termi- ni di acquisizioni territoriali e di status) della famiglia regnante o dinastia, la «Casa sabauda». Tra gli esempi di questa politica che più colpiscono, si può citare la determinazione con cui si volle affermare lo status regale di casa Savoia. Nella nostra epoca, preoccupazioni del genere possono apparire strane; occorre tuttavia tenerle nel debito conto se vogliamo cogliere il senso della politica sabauda e dei suoi conseguimenti nel pe- riodo in esame.

Occorre, però, anche riconoscere che la politica estera, o politica di- nastica, fu oggetto di costante dibattito nello Stato degli inizi della mo- dernità, come lo è, del resto, oggigiorno. All’interno della corte ducale, gruppi diversi erano favorevoli ad alleanze diverse e, spesso, traevano vantaggi, sotto forma di pensioni o altro, dalla corte straniera con la qua- le caldeggiavano l’alleanza. Finora, gli storici hanno considerato la po- litica estera un settore in cui risultava evidente l’assolutismo ducale. Og- gi, però, non si è più così sicuri della monoliticità dell’assolutismo ed è chiaro che le scelte di politica estera creavano forti divisioni tra le élite interne. Forse, la divisione più significativa in proposito, in seno allo Stato sabaudo, sebbene non la si debba considerare con troppa rigidità o determinismo, fu quella tra Savoiardi, che, a causa, tra l’altro, della loro vulnerabilità all’invasione francese, tendevano a favorire le relazio- ni con la Francia, e i piemontesi, filospagnoli o, se non altro, meno fa- vorevoli alla Francia.

Altrettanto semplicistico il punto di vista ampiamente diffuso e con- solidato secondo cui i principi di casa Savoia erano abili tessitori, maestri nei machiavellismi della diplomazia internazionale, che si limitavano a sfruttare l’importanza strategica dei loro territori, avvantaggiandosene ci- nicamente, per garantirsi la successione territoriale e altri tornaconti. Questa visione denota una totale incapacità di comprendere la situazio- ne in cui si trovavano lo Stato sabaudo e i suoi sovrani che, molto sem- plicemente, non potevano permettersi, né di fatto avrebbero avuto la possibilità, di tenersi fuori dai grandi conflitti europei. Al contrario, i vari duchi di Savoia furono talvolta vittime, o vittime potenziali, di una situazione internazionale pericolosa, e rischiarono di essere inghiottiti

4 Christopher Storrs

da un vicino aggressivo, più potente e vittorioso, come in effetti si ve- rificò prima del 1559 e si ripeté dopo il 1798, e come accadde, del re- sto, a molti altri staterelli europei, concorrenti dello Stato sabaudo, agli inizi dell’età moderna: per esempio, al ducato di Mantova. Non si può certo affermare, d’altra parte, che l’«ascesa» dei Savoia sia stata linea- re o inesorabile: in alcuni periodi il principe, la dinastia e lo Stato ebbe- ro successo; in altri, meno.

Nel prosieguo vorrei focalizzare: 1) quella che chiamiamo èra spagno- la, compresa tra circa il 1560 e il 1610/20; 2) l’èra francese, circa 1630- 1690; 3) l’èra «eroica», in cui Vittorio Amedeo II (1675/84-1730) si li- berò dalla tutela francese conquistando una reputazione europea per sé e per i suoi Stati (1690-1713/20), cui seguì la partecipazione di suo fi- glio Carlo Emanuele III (1730-73) quale attore importante tra il 1730 e il 1748; 4) il periodo di relativa inattività, e addirittura di declino, sul- lo scenario europeo, nella seconda metà del regno di Carlo Emanuele III e in quelli dei suoi successori, Vittorio Amedeo III (1773-96) e Carlo Emanuele IV (1796-1802), culminato nella scomparsa dello Stato sabau- do con la sua incorporazione, nel 1798, nell’Impero francese in espan- sione; prima della sua ricostituzione nel 1814-15. Dopo quest’ampia nar- razione, considererò, in maniera più analitica, l’esercito e la diplomazia sabaudi, due strumenti fondamentali grazie ai quali lo Stato sabaudo s’inserì nell’arena internazionale.

parte prima

Emanuele Filiberto.

Nei cent’anni e oltre successivi alla pace di Cateau-Cambrésis, lo Sta- to sabaudo agì in un mondo dominato da due potenze, la Francia e la Spagna, o monarchia spagnola, ossia Castiglia e Aragona e suoi territo- ri non spagnoli, in particolare: Fiandre, Napoli, Sardegna, Sicilia, Mi- lano, domini americani. Gli anni ’80 del secolo xvi segnarono, per mol- ti aspetti, una svolta per la Spagna: espansionista e dominatrice, addi- rittura egemone, fu, in seguito, frenata da crescenti difficoltà. Rimase, ciò nondimeno, la potenza dominante per buona parte del secolo xvii. Un motivo della posizione dominante della Spagna fu la debolezza del- la Francia, nella quale l’autorità del monarca fu minata dalla guerra ci- vile di matrice religiosa. La Francia si riprese dal 1598 circa col regno

La politica internazionale e gli equilibri continentali 5

di Enrico IV. Il secolo compreso tra 1559 e 1659 è comunque ancora considerato, a ragione, un periodo di egemonia spagnola; tra l’altro in Italia. Qui, a causa della sconfitta della Francia nelle guerre italiane, pre- valse largamente una pax hispanica, e i vari duchi di Savoia, al pari dei governanti degli altri Stati italiani indipendenti – repubblica di Geno- va, repubblica di Venezia, granducato di Toscana, ecc. – dovettero bar- camenarsi alla meglio. Inoltre, nel periodo compreso tra la metà del se- colo xvi e la metà del xvii, sorsero alcune questioni religiose, tra cui, in primo luogo, la cosiddetta Controriforma, ossia il tentativo del cattoli- cesimo militante di contrastare l’espansione della Riforma, che compli- carono ulteriormente una situazione già difficile.

Il successo dello Stato sabaudo nei secoli xvii e xviii è forse il più no- tevole, dati i gravi rovesci subiti nei decenni anteriori al 1559. Sotto il regno del debole Carlo II (morto nel 1553), lo Stato sabaudo era in pra- tica crollato, con l’occupazione straniera, dagli anni ’30, di svariati ter- ritori: nell’ambito della lotta tra Asburgo e Valois, le forze francesi ave- vano occupato gran parte della Savoia e del Piemonte; Ginevra si era convertita al calvinismo separandosi. Mentre i cantoni svizzeri prote- stanti di Berna e Friburgo avevano occupato Vaud, Gex, Chiablese e parte del Vallese. Il figlio ed erede di Carlo II, Emanuele Filiberto, trovò occupazione, come molti principi italiani dell’epoca, al servizio di Car- lo V, imperatore del Sacro Romano Impero, e di suo figlio Filippo II di Spagna. La vittoria contro le forze del re di Francia a San Quintino, nel 1557, contribuì, indirettamente, alla riabilitazione di Emanuele Filiber- to e del suo Stato, avvicinando la pace spagnola. Nella stessa direzione agì la crescente preoccupazione, tra le potenze cattoliche, dei progressi del protestantesimo. Una clausola di particolare importanza della pace di Cateau-Cambrésis fu la «restaurazione» dello Stato sabaudo, con la restituzione, da parte del monarca francese, di territori che le sue trup- pe avevano occupato nel corso dell’ultimo ventennio. Ai Francesi furo- no tuttavia assegnate per un breve periodo, a titolo di cauzione, cinque città (Chieri, Chivasso, Pinerolo, Torino, Villanova d’Asti). Inoltre, il marchesato di Saluzzo facilitò ulteriori interventi francesi in Piemonte (e in Italia). Agli Spagnoli, preoccupati per la sicurezza del confinante ducato di Milano, fulcro dell’Italia spagnola negli ultimi decenni del se- colo xvi e in quello successivo, furono assegnate, a titolo di cauzione, Asti e Vercelli. Inoltre, in un trattato segreto, Emanuele Filiberto con- sentì a Filippo II di tenere guarnigioni a Nizza e a Villafranca, e s’im- pegnò a lasciare le due città al re di Spagna qualora fosse morto senza eredi. La restaurazione dello Stato sabaudo nel 1559 aveva anche lo sco- po, chiaramente, di venire incontro alle preoccupazioni di sicurezza del-

6 Christopher Storrs

la Francia, bilanciando quelle della Spagna; in questo modo, però, la so- vranità del duca sul suo Stato fu notevolmente ridotta. La pace del 1559 non risolse i problemi dei territori sabaudi occupati dagli Svizzeri, né di Ginevra.

La preoccupazione principale di Emanuele Filiberto per il resto del suo regno fu ricostituire territorialmente lo Stato riprendendone l’in- tero controllo e impedire il ripetersi della recente occupazione con re- lative devastazioni. Dedicò, pertanto, il massimo impegno a evitare la ripresa del conflitto tra le due massime potenze, Francia e Spagna, combattuto, nel recente passato, nell’Italia settentrionale a grande de- trimento dello Stato sabaudo. Con sguardo retrospettivo, possiamo con- statare che la pace del 1559 durò per una generazione; una certezza non consentita ai contemporanei. Pertanto, contemplando la possibilità d’u- na ripresa del conflitto maggiore, e per parare la minaccia degli insorti protestanti, provenienti dal Mezzogiorno della Francia dominato dagli ugonotti, Emanuele Filberto s’impegnò a migliorare la difesa del suo Stato costruendo nuove e importanti fortificazioni in località cruciali, tra cui Torino, e creando una forza armata sabauda o milizia più effi- ciente, la cui necessità si fece più stringente col peggiorare della situa- zione, in Francia e nelle Fiandre, che minacciava guerra. In linea gene- rale, Emanuele Filiberto inclinò verso la Spagna, atteggiamento invero non sorprendente, se si tiene conto sia del suo passato di comandante dell’esercito spagnolo delle Fiandre e di governatore dei Paesi Bassi spa- gnoli, sia del forte sentimento filospagnolo dell’élite dello Stato sabau- do. Tuttavia, la (necessaria) neutralità del duca e i suoi tentativi di ga- rantirsi una maggiore indipendenza irritarono, talvolta, il re di Spagna e i suoi ministri, che guardarono alla politica sabauda con crescente preoccupazione.

Perseguendo la politica di ripresa del pieno dominio sul suo Stato, Emanuele Filiberto sfruttò le crescenti difficoltà della corona francese, causate dalla guerra civile di matrice religiosa, per garantirsi il ritorno, nel 1562, di tutte le città, salvo Pinerolo, date in cauzione alla Francia nel 1559. Emanuele Filiberto ebbe così la possibilità di trasferire la ca- pitale da Chambéry nella meno esposta Torino. I Francesi, però, conti- nuarono a occupare Pinerolo e Savigliano che abbandonarono, soltan- to, nel 1574. Per quanto riguarda le città date in cauzione agli Spagno- li, Filippo II si mostrò dapprima riluttante a restituirle, cosa che fece soltanto nel 1575. C’erano, infine, i territori in mano agli Svizzeri. Nel 1560-61, Emanuele Filiberto stipulò, a Lucerna, un trattato con i can- toni cattolici, inaugurando un’alleanza destinata a diventare un pilastro della politica sabauda per il resto della prima età moderna e, nel 1564,

La politica internazionale e gli equilibri continentali 7

negoziò un accordo con Berna e Friburgo. Emanuele Filiberto accettò la perdita definitiva di alcuni territori occupati e garantì libertà religio- sa ai protestanti nei territori di cui rientrò in possesso; in compenso, riebbe il Genevois, Gex, Chiablese. Non recuperò, invece, Ginevra. Le concessioni di Emanuele Filiberto in fatto libertà religiosa suscitarono le proteste di Madrid. Le obiezioni spagnole furono superate soltanto nel 1567, allorché Filippo II, per reprimere la rivolta scoppiata nei Paesi Bassi, chiese l’autorizzazione al transito delle sue truppe nei ter- ritori di Emanuele Filiberto, lungo quella che sarebbe diventata nota come la «strada spagnola»2. L’enorme valore strategico, per la Spagna,

dello Stato sabaudo, risultò evidente quando si trattò di inviare più truppe dall’Italia settentrionale allo scopo di contenere la rivolta olan- dese dilagante, in un momento in cui le tensioni tra Spagna ed Elisa- betta I d’Inghilterra avevano reso insicura la via del mare tra i due paesi, sicché Emanuele Filiberto poté confermare un accordo che se- gnò un’altra tappa importante sulla via della ricostituzione dello Sta- to sabaudo.

Ristabilita l’integrità territoriale dello Stato sabaudo, negli ultimi an- ni del regno Emanuele Filiberto si mostrò desideroso di acquisire nuo- vi territori. In questi progetti rientrava Oneglia, sebbene occorresse ras- sicurare Filippo II che l’acquisizione non avrebbe costituito una minac- cia per quella parte della strada spagnola che collegava la Liguria (dove le truppe affluivano dalla Spagna, da Napoli e dalla Sicilia) con Milano e le Fiandre. Fallimentare fu, invece, il tentativo, compiuto da Emanue- le Filiberto poco prima della sua morte, di occupare il marchesato di Sa- luzzo. Occupazione giustificata con l’esigenza di difendere la fede cat- tolica; ma le proteste di Francesi e Spagnoli lo costrinsero a ritirarsi. Ap- pare, inoltre, piuttosto chiaro che Emanuele Filiberto non abbandonò mai del tutto le speranze di riconquistare Ginevra.

Oltre alle acquisizioni territoriali, Emanuele Filiberto rinnovò i rap- porti con i vicini italiani o, meglio, con quelli indipendenti, piuttosto che con quelli soggetti al re di Spagna, mirando a diventarne il capofila nei confronti di Filippo II. Emanuele Filiberto riprese i contatti con la repubblica di Venezia, interrotti a causa delle contrapposte pretese dei due Stati alla corona del regno di Cipro; pretese cui Emanuele Filiber- to mise la sordina proprio per favorire questa ripresa di contatti. Meno fruttuose le relazioni con la Toscana, anche a causa delle questioni di

8 Christopher Storrs

2Da Genova e da Milano, le truppe spagnole transitarono per Torino, St-Jean de Maurienne,

Chambéry e Annecy per poi uscire dal territorio sabaudo ed entrare in Franca Contea, cfr. g. n. parker, The Army of Flanders and the Spanish Road 1567-1659, Cambridge 20042, p. 46. 03_Savoia_1-48 21-06-2007 9:59 Pagina 8

status tra i casati Savoia e Medici, complicate dall’elevazione a grandu- chi dei Medici da parte del papa nel 1569. Relazioni altrettanto diffici- li con i duchi del Monferrato, date le ambizioni sabaude in fatto di suc- cessione del ducato; ambizioni che, se non altro a Madrid, erano rite- nute potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza delle comunicazioni militari spagnole tra Liguria e Milano. Anche con la repubblica di Ge- nova le relazioni furono piuttosto fredde, date le ambizioni sabaude, in particolare su Savona. Col papa, sovrano di uno Stato indipendente e capo della Chiesa cattolica, Emanuele Filiberto seppe abilmente sfrut- tare la sua posizione di cattolico devoto e l’impegno a sradicare il pro- testantesimo sia nei suoi territori (per esempio i valdesi), sia nella con- finante Francia, per ottenere le concessioni che ampliavano l’autorità ducale sulle istituzioni ecclesiastiche e riducevano il privilegio del clero nei suoi territori.

Il ruolo di Emanuele Filiberto nell’ampia crociata contro il prote- stantesimo rientrava, altresì, in un più vasto tentativo di insediarsi, as- sieme al suo Stato, sulla scena europea. Nel 1566, furono inviati mille uomini affinché aiutassero Massimiliano d’Asburgo, imperatore del Sa- cro Romano Impero, nella perenne lotta contro i Turchi, acquistando, così, credito e reputazione in Germania e agli occhi di un’istituzione, quale il Sacro Romano Impero, di grandissima importanza per casa Sa- voia. Emanuele Filiberto si offrì, inoltre, di guidare personalmente la flotta della Lega sacra costituita nel 1570 da Spagna e Venezia per com- battere i Turchi ottomani. Filippo II respinse l’offerta, ma tre delle quat- tro galee sabaude fecero parte della flotta cristiana che riportò la vitto- ria a Lepanto nel 1571.

Rientrano nei tentativi di Emanuele Filiberto di mettersi al riparo da Francia e Spagna i provvedimenti volti a istituire una maggior sicu- rezza giurisdizionale rinnovando i legami con l’Impero e a stabilire rap- porti più stretti con svariati principi germanici, soprattutto con gli elet- tori, ossia i sette principi che eleggevano l’imperatore. Il duca di Savoia coltivò, in modo particolare, i rapporti con l’elettore di Sassonia, inquar- tando l’arme con quella dei Sassoni e tentando di creare uno stretto le- game dinastico. Una politica che diede i suoi frutti col figlio di Emanue- le Filiberto, Carlo Emanuele I che, nel 1582, si vide riconoscere una su- periorità, da parte dell’imperatore, rispetto agli altri principi italiani, proprio per certe pretese origini sassoni.

Si può affermare che, alla sua morte, nel 1580, Emanuele Filiberto aveva mostrato una notevole abilità nel muoversi su una scena interna- zionale complessa e potenzialmente pericolosa, al fine di ricostruire e consolidare uno Stato che era riuscito a ricomporre. Aveva affermato la

La politica internazionale e gli equilibri continentali 9

sua autorità all’interno dello Stato per creare istituzioni, tra cui una for- za armata, grazie alle quali garantire al ducato una solida base per la sua indipendenza e, sebbene non abbia quasi utilizzato, personalmente, que- sta forza armata in conflitti che coinvolsero direttamente lo Stato sa- baudo, poiché le potenze confinanti restavano troppo forti per essere affrontate dall’ancor relativamente debole Stato sabaudo, resta il fatto che pose le basi per le più grandi ambizioni di Carlo Emanuele I di svol- gere un ruolo indipendente sulla scena internazionale.

Carlo Emanuele I.

Durante il regno di Carlo Emanuele I, lo Stato sabaudo continuò a oscillare tra i due poli della Francia e della Spagna. L’approccio di Carlo Emanuele fu, però, assai diverso da quello del padre. Egli era, infatti, più ambizioso, più propenso a ricorrere alle armi e a correre rischi. Le sue am- bizioni, concentrate su poche zone ben definite, ossia Ginevra, Saluzzo e Monferrato, portarono all’ottenimento di alcune acquisizioni (territoria- li) sostanziose, a prezzo, però, di perdite (territoriali), che riorientarono lo Stato sabaudo in direzione dell’«Italia», a costo di guerre assai gravo- se, sino al rischio del disastro negli anni finali del regno.

La prima avventura internazionale di rilievo di Carlo Emanuele I fu un tentativo, abortito, contro Ginevra nel 1581-82: una città-Stato cal- vinista nei confronti della quale Emanuele Filiberto non aveva mai real- mente cercato di far valere le sue pretese. Carlo Emanuele I, invece, vol- le approfittare delle difficoltà di Enrico III (con gli ugonotti, aiutati dai loro correligionari di Ginevra), che sembravano escludere qualsiasi pos- sibilità d’intervento francese; inoltre, attaccando la roccaforte del cal- vinismo, si aspettava il sostegno dell’Europa cattolica (in primo luogo di Spagna e Roma). Le sue speranze andarono però deluse. I Francesi

Nel documento I Savoia. Quattro storie per una dinastia. (pagine 56-102)

Documenti correlati