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LA PROBLEMATICA DEI COSTI COMUNI DI STRUTTURA

DISTRETTO 2 NORD OVEST

6) LA PROBLEMATICA DEI COSTI COMUNI DI STRUTTURA

CLASSIFICAZIONI DEI COSTI: MODALITA’ CON CUI SONO IMPUTATI ALL’ OGGETTO)

Prima di tutto classifichiamo i costi, al riguardo possiamo dire che si possono operare due diverse classificazioni tra loro strettamente connesse. Secondo una prima classificazione i costi vengono distinti in:

1) costi speciali 2) costi comuni

In base alla seconda classificazione i costi vengono distinti in: a) costi diretti

b) costi indiretti

Per costi speciali, secondo un’accezione ampia, si intendono quei costi per i quali è possibile ‹‹…misurare in modo oggettivo la quantità di fattore impiegata per un certo oggetto…›› sia esso un prodotto, un’unità organizzativa o una particolare fase del processo produttivo. Secondo tale definizione rientrano tutti qui costi per i quali sia possibile misurare il consumo del fattore produttivo assorbito dall’oggetto di costo, e sia possibile fornire una quantificazione del costo in esame moltiplicando il consumo di risorse per il costo unitario delle stesse. In base a questa nozione di costo speciale non è richiesto che il costo si riferisca a fattori impiegati esclusivamente in un solo centro o per un solo prodotto/servizio, ma possono essere considerati anche speciali quei costi relativi ad un fattore utilizzato da più oggetti imputabile, però, agli stessi in maniera oggettiva. Sono considerati, invece, comuni tutti gli altri costi, ossia quelli che possono essere attribuiti agli oggetti di riferimento soltanto attraverso delle ripartizioni dotate di un grado più o meno elevato di oggettività. Nella

letteratura esiste un diverso modo di distinguere i costi speciali da quelli comuni; questa seconda modalità di classificazione accoglie un’accezione più ristretta di costo speciale, in base alla quale in tale classe di costi rientrerebbero gli oneri che sono stati sostenuti esclusivamente e specificamente in riferimento all’oggetto considerato. In questo caso la classe dei costi comuni si amplia per accogliere anche quei costi che, pur essendo ripartibili tra i differenti oggetti di costo che ne hanno determinato il sostenimento, sono però relativi a risorse impiegate a favore di più oggetti di costo.

Dal punto di vista pratico questo diverso modo di intendere non ha un peso rilevante dal momento che i costi anche se venissero classificati come comuni dovrebbero poi essere ripartiti tra i differenti oggetti di costo ai quali si sarebbe giunti comunque se gli stessi fossero stati considerati speciali.

La distinzione tra costi speciali e costi comuni non attiene alla natura del fattore produttivo, quanto alla relazione che lega il fattore stesso all’oggetto prescelto per l’analisi dei costi, con la conseguenza che, al mutare dell’oggetto, muta la suddetta relazione e, quindi, la classificazione del costo in esame tra quelli speciali e quelli comuni.

Passiamo ora ad esaminare la classificazione dei costi in diretti ed indiretti che è strettamente connessa a quella in speciali e costi comuni, anche se, rispetto a quest’ultima, è più utilizzata nella pratica aziendale. Per costi diretti si intendono quei costi per i quali sia possibile ed economicamente conveniente misurare l’oggettivo consumo, e quindi il relativo costo, del fattore produttivo interessato. In più rispetto alla nozione di costo speciale, si può notare la necessità di valutare la convenienza economica, in assenza della quale, un costo teoricamente qualificabile come costo diretto, viene classificato tra i costi indiretti. Tutti i costi diretti sono speciali ma non è altrettanto vero il contrario, nel senso che esistono alcuni costi speciali che non sono diretti, in quanto al momento della loro attribuzione si reputa non economicamente conveniente reperire tutte quelle informazioni necessarie per trattarli come costi diretti. Dalla nozione di costi diretti si ricava quella di indiretti, nel cui ambito possono essere comprese tre cassi di costi:

a) costi comuni ad una pluralità di oggetti non ripartibili in maniera oggettiva,

indipendentemente dalle scelte di convenienza economica. Rientrano tutti quei costi

che si sostengono per il funzionamento dell’intero ospedale e che non possono essere ripartiti secondo parametri che rispettino il cosiddetto principio causale, in base al quale si devono ‹‹…assegnare ad ogni oggetto di costo, valori che siano espressione quanto più significativa del concorso offerto da ciascun fattore produttivo all’oggetto medesimo›› (personale amministrativo)

b) costi potenzialmente attribuibili ai differenti oggetti in modo diretto, ma che di fatto

vengono trattati come costi indiretti per motivi di opportunità economica. Rientrano in

questa tipologia di costi quelli per i quali sarebbe anche possibile parlare di costi diretti, ma l’eccessiva onerosità di raccolta dei dati, rispetto al contributo informativo apportato, fa propendere per una loro inclusione nella categoria dei costi indiretti. c) costi potenzialmente attribuibili ai prodotti, ma che si ritiene più opportuno trattare

come costi indiretti. Vi fanno parte quei costi potenzialmente diretti, ma che si ritiene

opportuno trattare come indiretti per ragioni dettate dalle circostanze che caratterizzano la specifica analisi che si svolge in quel determinato momento (è il caso degli straordinari del personale infermieristico)

IL RIBALTMENTO DEI COSTI DEI SERVIZI GENERALI)

Avevamo lasciato a parte il ribaltamento dei costi generali proprio perché strettamente connesso alla problematica dei costi comuni. In essi si trovano tutti quei costi che non è possibile attribuire ad alcun centro di costo, in quanto sostenuti per l’azienda nel suo complesso (principalmente sono: costi comuni, costi amministrativi e lunghe assenze). Il problema che si deve affrontare è quello di decidere se e come ribaltare questi costi generali sui vari centri di costo, atteso che, non esiste un parametro che esprima il contributo di questi costi alle varie unità operative aziendali e che consenta di ribaltare detti costi in modo razionale. Sono possibili due soluzioni:

1. non ribaltare sui conti economici dei reparti e servizi i costi per le spese generali, assegnando però agli stessi reparti e servizi un margine obiettivo

2. procedere al ribaltamento di questi costi secondo parametri da definire

Con la prima soluzione non si procede al ribaltamento e si redige il conto economico di ciascun reparto e servizio senza includere i costi dei servizi generali. Tuttavia ogni reparto/servizio deve essere consapevole di sfruttare una struttura che genera un certo ammontare di costi per servizi generali che debbono essere reintegranti dai ricavi derivanti dall’attività sanitaria e ospedaliera. La logica potrebbe essere quella di determinare il rapporto tra i costi generali sostenuti ed il totale dei ricavi dell’azienda (12-15%), ed assegnare ai centri che generano ricavi un obiettivo in termini di risultato, al lordo di questi costi, che, rapportato ai ricavi di reparto, sia pari al suddetto valore percentuale. Ciascun reparto dovrebbe raggiungere un margine di redditi pari al rapporto tra i costi generali ed i ricavi complessivi dell’azienda, secondo la seguente relazione metodologica:

Margine obiettivo = Totale costi per servizi generali/ Totale ricavi dell’azienda ospedaliera

Il ragionamento si complica per quelle unità organizzative che svolgono la loro attività sia verso l’esterno, sia verso l’interno, ossia per i servizi diagnostico-terapeutici, i cui componenti positivi di reddito solo in parte sono rappresentati dai ricavi, essendo costituiti anche dal ribaltamento dei costi ad altri centri di costo. Il margine obiettivo non potrà essere pari al rapporto tra totale dei costi per servizi generali e totale dei ricavi aziendali in quanto solo in parte detti centri realizzano un’attività diretta al conseguimento dei ricavi. Si pone dunque un problema, per la cui soluzione occorre considerare che il margine obiettivo ha la funzione di “chiamare” i centri che generano ricavi alla copertura delle spese per servizi generali sostenute dall’azienda. Se questa è la funzione del margine obiettivo, ne deriva che, per i servizi diagnostico- terapeutici, il margine obiettivo deve essere definito solo per quella parte di attività che consente di realizzare ricavi veri e propri. Il margine obiettivo di questi servizi (marine obiettivo corretto) si può illustrare con la seguente relazione metodologica:

Margine obiettivo corretto = margine obiettivo originario*(Ricavi del Servizio)/(Ricavi del servizio + Costi ribaltati su altri centri)

Come si può notare si previene ad una determinazione del margine obiettivo per così dire “corretto”, nel quale si tiene conto del fatto che i centri misti (quelli che svolgono sia attività per pazienti esterni sia attività per pazienti ricoverati) sono chiamati a raggiungere un margine obiettivo solo in relazione alla quota parte della loro attività che genera ricavi. Per i servizi alberghieri e per i servizi di supporto non si può ipotizzare alcun margine obiettivo, eccezion fatta per quei limitati casi in cui qualche centro di supporto (rianimazione) consegua ricavi. Se il margine obiettivo è riconducibile a quella parte di attività di centro che genera ricavi, allora per quei centri (alberghieri e di supporto) che non generano ricavi non sarà possibile definire alcun margine obiettivo. In presenza di alcuni servizi di supporto che generano ricavi si adotteranno gli stessi principi visti in precedenza per i servizi diagnostico-terapeutici, ossia si definirà un margine obiettivo corretto per tenere conto della circostanza che si è in presenza di centri di costo che solo in parte generano ricavi. Ora facciamo alcune brevi considerazioni sul significato economico da attribuire a questo “margine obiettivo”, al riguardo, segnaliamo come non si possa attribuire in maniera così asettica ai vari reparti e servizi l’obiettivo di raggiungere un certo margine economico, e questo per diverse ragioni. Innanzitutto esistono alcuni reparti e servizi che strutturalmente operano in perdita, a causa della incapacità congenita delle tariffe di remunerare i costi delle prestazioni erogate; inoltre all’intermo dei

reparti e dei servizi possono sopravvivere situazioni frutto di scelte passate, che hanno dato vita a strutture particolarmente pesanti dal punto di vista economico, non imputabili in alcun modo alle persone che oggi hanno la responsabilità di dirigere quel dato reparto/servizio. In casi come questi il concetto di margine obiettivo va visto con molta prudenza, per evitare di formulare a consuntivo giudizi distorti sulla capacità di ciascun reparto/servizio di raggiungere gli obiettivi assegnati, in più chiare parole è una metodologia per così dire “contabile”, che determina il risultato che (al lordo delle spese generali) ciascun reparto deve raggiungere sulla base dei ricavi generati dallo stesso. Detta metodologia non può però tenere conto di situazioni particolari nelle quali si possono trovare alcuni reparti e servizi, per cui sarebbe irrazionale, e per certi versi pericoloso, attribuire agli stessi un obiettivo secondo la metodologia esposta in precedenza.

La seconda soluzione per il trattamento delle spese per i servizi generali, è quella di attribuire direttamente (nei conti economici dei vari reparti e servizi dell’azienda) una quota di questi costi in base ad un qualche parametro che, pur non essendo espressivo del reale utilizzo di queste risorse da parte del centro di costo finale, sia comunque un criterio accettabile per poter effettuare detta ripartizione. Una via percorribile è quella indicata dal cosiddetto “criterio della capacità contributiva”, in base al quale i costi per le spese generali vengono ripartiti sui differenti centri di costo in proporzione alla capacità di questi di coprire le relative spese. Si tratterà, pertanto, di definire un parametro (ricavi o qualche risultato intermedio) che esprima la capacità di ciascun centro finale di coprire le spese generali, cioè tanto più il centro esprime i ricavi o margini elevati, tanto maggiore sarà la quota di costi generali che verrà imputata all’oggetto in questione. Tale soluzione pare però comportare due ordini di problemi. In primo luogo, non ci pare corretto gravare di una maggiore quota di costi per servizi generali i centri che esprimono una maggiore capacità contributiva, sia essa espressa in termini di ricavi o di margini poco importa. Se si accettasse una logica di questo tipo, i centri che producono risultati migliori verrebbero ingiustamente penalizzati. In secondo luogo, indipendentemente dal parametro con cui si ripartiscono queste spese per servizi generali, ci sembra che la loro inclusione nel conto economico del reparto o del servizio potrebbe originare un certo disagio da parte di coloro che hanno la responsabilità del centro in questione, i quali non solo non possono esercitare un effettivo controllo su tali spese, ma, il più delle volte, non riescono a percepirne neppure l’effettiva utilità per il centro da loro diretto, essendo di norma costi sostenuti per il funzionamento dell’azienda sanitaria e ospedaliera nel suo complesso. Sembrerebbe preferibile utilizzare la prima soluzione proposta (ciascuna unità operativa deve raggiungere un margine obiettivo al di sotto del quale non viene assicurata la copertura dei costi di carattere generale per l’intera azienda). Questa

impostazione presenta qualche rischio, se si considera che, in tal modo, alcuni primari potrebbero avere la sensazione, in presenza di un risultato positivo al lordo delle spese generali, che il centro da loro diretto operi nel rispetto dei vincoli di economicità anche qualora non raggiunga il margine obiettivo fissato per la copertura delle spese generali.

Il conto economico di ciascun reparto o servizio deve indicare dapprima il margine al lordo delle spese generali, il quale deve essere confrontato con il margine obiettivo fissato dall’azienda per la copertura delle suddette spese, detraendo poi da quel margine (sempre nello stesso conto economico) le spese generali imputabili a quel centro secondo il criterio della capacità contributiva.

Con questo schema di conto economico si hanno una serie di informazioni;

a) posto che l’unità consegna un margine positivo al lordo delle spese generali, si è in grado di valutare se la misura di questo margine è sufficiente per coprire le spese per servizi generali dell’azienda , ossia se esso sia meno in linea con il margine obiettivo. b) attraverso l’attribuzione delle spese per servizi generali al conto economico del

reparto/servizio, si è in grado di valutare se i vari centri di costo sono in equilibrio economico o meno, intendendo qui per equilibrio economico il pareggio tra costi e ricavi.

7) UTILIZZO ABC NELLE AZIENDE SANITARIE: ILLUSTRAZIONE DI UNA

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