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1.1. Il Decreto Legislativo n. 231/2001

In data 8 giugno 2001 è stato emanato – in esecuzione della delega di cui all’art. 11 della legge 29 Novembre 2000 n. 300 – il D.lgs. n. 231/01 che ha adeguato la normativa interna in materia di responsabilità degli enti ad alcune convenzioni internazionali, alle quali l’Italia aveva già da tempo aderito.

Il Decreto Legislativo è stato oggetto nel tempo di numerosi aggiornamenti. Alla data di redazione del presente documento il D.lgs. n. 231/01 ha recepito gli aggiornamenti introdotti dal D.lgs. 1/3/2018 n. 21.

Il D.lgs. 231/01, dal titolo “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un regime di responsabilità amministrativa a carico degli enti per alcuni reati commessi, nell'interesse o vantaggio degli stessi, da parte di loro amministratori e/o dipendenti. Tale responsabilità si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito.

Questa nuova forma di responsabilità viene accertata, quindi, nell’ambito di un processo penale che, nell’ipotesi in cui l’ente venga riconosciuto “colpevole”, può concludersi con una sentenza di condanna che comporta l’applicazione all’ente di sanzioni sia pecuniarie che interdittive (applicabili anche in via cautelare), oltre alla confisca del prezzo o del profitto del reato ed alla pubblicazione della sentenza.

La sanzione amministrativa pecuniaria viene sempre applicata in caso di condanna della Società per un illecito amministrativo dipendente da reato. L’entità della sanzione pecuniaria è rimessa alla determinazione del Giudice, nell’osservanza dei criteri dettati dal Decreto.

In particolare, l’importo è calcolato su un sistema per “quote”, non inferiori a cento né superiori a mille, a ciascuna delle quali è attribuito un valore fisso (da un minimo di Euro 258,23 ad un massimo di Euro 1.549,37). Nello stabilire il numero di quote componenti la sanzione pecuniaria e, in definitiva, l’ammontare della stessa, il Giudice valuterà (i) la gravità del fatto costituente reato, (ii) il grado di responsabilità dell’ente, (iii) l’attività dal medesimo posto in essere per eliminarne o attenuarne le conseguenze o per prevenire la commissione di altri illeciti e, infine, (iv) le condizioni economiche e patrimoniali dell’ente al fine di assicurare l’efficacia della sanzione.

Pur essendo esclusa la possibilità di un pagamento in misura ridotta, il Decreto disciplina i casi di riduzione della sanzione pecuniaria: (i) alla metà, qualora il danno patrimoniale cagionato sia di particolare tenuità ovvero l'autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne abbia conseguito un vantaggio o ne abbia ricavato un vantaggio minimo; (ii) da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente provveda all’integrale risarcimento del danno ed elimini le conseguenze dannose o pericolose del reato (o, almeno, si sia adoperata in tal senso), ovvero adotti un Modello idoneo a prevenire la commissione di ulteriori reati della specie di quello verificatosi; (iii) dalla metà ai due terzi, qualora ricorrano entrambe le condizioni di cui ai punti che precedono.

Si applica la sanzione pecuniaria prevista per l'illecito più grave aumentata fino al triplo qualora l’ente sia responsabile per una pluralità di reati commessi con un’unica azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva.

Le sanzioni interdittive previste dal Decreto e applicabili solo se esplicitamente previsto, sono cumulabili alla sanzione pecuniaria – ad eccezione dei casi in cui quest’ultima può essere ridotta.

Esso, nello specifico, sono:

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➢ l’interdizione, temporanea o definitiva, dell’esercizio dell’attività;

➢ la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

➢ il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

➢ l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

➢ il divieto, temporaneo o definitivo, di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni interdittive possono essere applicate esclusivamente qualora ricorrano le seguenti condizioni: (i) siano espressamente previste per il reato per cui si procede; (ii) l’ente abbia tratto dal reato un profitto rilevante e il reato sia stato commesso da un soggetto apicale, o da un soggetto subordinato, ma solo qualora la commissione del reato sia stata agevolata da gravi carenze organizzative; (iii) in caso di reiterazione dei reati.

Il Decreto stabilisce l’applicazione della sanzione interdittiva prevista per l'illecito più grave qualora l’ente sia responsabile per una pluralità di reati commessi con un’unica azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva.

Al contrario, le sanzioni interdittive non sono suscettibili di applicazione qualora l’ente, anteriormente alla dichiarazione di apertura del dibattimento (i) abbia risarcito o riparato il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato (o, almeno, si sia adoperata in tal senso), (ii) abbia messo a disposizione dell’autorità giudiziaria il profitto del reato per la confisca, ovvero (iii) abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato, adottando un Modello idoneo a prevenire la commissione di nuovi reati della specie di quello verificatosi.

L’applicazione delle sanzioni interdittive è, altresì, esclusa nel caso in cui il danno patrimoniale cagionato sia di particolare tenuità ovvero l'autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne abbia conseguito vantaggio o ne abbia ricavato un vantaggio minimo.

Il Giudice investito della cognizione sceglie la sanzione interdittiva da applicare al caso di specie sulla base degli stessi criteri previsti dal Decreto per la determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria, tenendo conto dell'idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso. Quando sussistono i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente, il Giudice può disporre, in luogo dell’applicazione della sanzione, la prosecuzione dell’attività da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni: (i) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; (ii) l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conte delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione. In caso di nomina di un commissario, il profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività viene confiscato.

Le sanzioni interdittive hanno durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni, benché nei casi più gravi possano eccezionalmente essere applicate con effetti definitivi.

Le sanzioni interdittive possono, inoltre, essere applicate nel corso del procedimento penale in via cautelare, ovvero prima della condanna, qualora sussistano gravi indizi della responsabilità dell’ente e fondato pericolo di reiterazione. L’inosservanza delle stesse, anche ove applicate in via cautelare, costituisce reato ed è punita con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni per l’autore materiale della trasgressione. All’ente nel cui interesse o vantaggio tale reato è stato commesso, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento e seicento quote e la

Modello di organizzazione, gestione e controllo - Rev. Novembre 2020 Pag. 12 di 132 confisca del profitto. Se da tale reato l'ente ha tratto un profitto rilevante, si applicano le sanzioni interdittive, anche diverse da quelle in precedenza irrogate.

In seguito all’applicazione di una sanzione interdittiva, il Giudice può disporre la pubblicazione della sentenza di condanna, a spese dell’ente, in uno o più giornali ovvero mediante affissione nel Comune ove l’ente ha la sede principale.

Con la sentenza di condanna, il Giudice dispone sempre la confisca del prezzo o del profitto del reato, ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente, salvo la parte che possa essere restituita al danneggiato.

L’innovazione normativa, che allinea il nostro ordinamento a quello di molti altri Paesi Europei, è quella di coinvolgere nella punizione di illeciti penali il patrimonio degli Enti che, prima di tale legge, non pativano conseguenze dalla realizzazione di questi reati; il principio di personalità della responsabilità penale li lasciava, infatti, indenni da conseguenze sanzionatorie diverse dall’eventuale risarcimento del danno.

La responsabilità amministrativa si configura anche in relazione ai reati commessi all’estero, prevedendo in questi casi che gli Enti che hanno nel nostro Stato la sede principale delle loro attività rispondano degli illeciti indicati dal Decreto purché, per gli stessi, non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il reato medesimo.

Quanto alla tipologia dei reati presupposto del sorgere della responsabilità amministrava, il Decreto – nel suo testo originario – si riferiva esclusivamente ad una serie di reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Successivi interventi legislativi ne hanno esteso il campo di applicazione.

Le tipologie dei reati alle quali si applica la disciplina di cui al D.lgs. 231/01 sono:

reati contro la Pubblica Amministrazione;

reati in tema di falsità in monete, carte di pubblico credito e valori di bollo;

alcune fattispecie di reati in materia societaria;

reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico;

reati contro la personalità individuale;

reati di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato e relativi illeciti amministrativi;

reati transnazionali;

reati di omicidio colposo e lesioni colpose in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro;

reati di riciclaggio, ricettazione ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita;

reati informatici;

reati di criminalità organizzata;

reati contro l’industria e il commercio;

reati in materia di violazione del diritto d’autore;

reati ambientali;

reati di frode sportiva;

reati tributari;

reati di contrabbando.

1.2. L’adozione del “Modello di organizzazione” quale possibile esimente dalla responsabilità amministrativa

Agli artt. 6 e 7 del Decreto è prevista una forma di esonero della responsabilità amministrativa degli enti. L’adozione del Modello di organizzazione è facoltativa ma diviene di fatto necessaria nel momento in cui gli Enti vogliano beneficiare del sistema di esonero previsto dalla norma.

Modello di organizzazione, gestione e controllo - Rev. Novembre 2020 Pag. 13 di 132 Ciò avviene quando l'ente sia in grado di dimostrare, in sede giudiziale e per uno dei reati considerati, che:

a. Art. 6 D.lgs. n. 231/01: per i reati commessi da soggetti c.d. apicali (chi ha funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’Ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, o da coloro che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso), l’Ente può esimersi dalla responsabilità se dimostra che:

o l’organo dirigente dell’Ente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, Modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi;

o il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei Modelli, nonché di curare il loro aggiornamento, sia stato affidato ad un Organismo dell’Ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

o le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i suddetti Modelli;

o non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo a tal fine preposto.

Pertanto, nel caso previsto dal suddetto articolo l colpevolezza dell’Ente si presume fino a prova contraria. Sull’Ente grava, quindi, l’onere di dimostrare la mancanza di colpa (c.d. inversione dell’onere della prova).

b. Art. 7 D.lgs. n. 231/01: per i reati commessi da soggetti non apicali (sottoposti), l’Ente risponde solo “se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza” (comma 1). “In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza se l’Ente ha adottato ed efficacemente attuato un Modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi”

(comma 2).

In tale caso è onere del Pubblico Ministero dimostrare la violazione degli obblighi di direzione o di vigilanza e la mancata adozione, o la non efficace attuazione, del Modello organizzativo.

L’eventuale valutazione del Giudice in sede di procedimento penale investe aspetti diversi:

o l’idoneità del Modello;

o l’efficace attuazione del Modello;

o l’adeguatezza dei sistemi di controllo e di vigilanza;

o la fraudolenta elusione del Modello da parte dell’autore del reato.

Al fine di esonerare l’Ente da responsabilità amministrativa il Modello, per espressa previsione del Decreto (art. 6 comma 2), deve rispondere alle seguenti esigenze:

o individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;

o prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;

o individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati;

o prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli;

o introdurre un sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello.

Il Modello organizzativo deve, dunque, essere elaborato sulla base di un processo, articolato in diverse fasi e mirato alla realizzazione di un sistema di controllo idoneo a prevenire e a contrastare la commissione dei reati previsti dal Decreto.

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