• Non ci sono risultati.

La scienza vista dalla fiaba: Le Cosmicomiche

La scienza vista dalla fiaba: Le Cosmicomiche

«Tra un paio di mesi uscirà un mio libro di racconti, dove pescare l'ideologia sarà un problema»1 - così scriveva a Gian Carlo Ferretti,

denunciando quanto consapevole fosse l'accento di novità affidato a quel ben costruito gruzzolo di pezzi narrativi messi insieme con il volume delle Cosmicomiche 2

1Lettera a Gian Carlo Ferretti (Torino, 5 ottobre 1965), L, pp. 883-885: cit. p. 885. Nella lettera

Calvino, sviluppando talune osservazioni in margine alla lettura di un saggio del critico (Confessioni, esigenze e proposte di un critico marxista «Rendiconti», 11-12, 1965), si mostrava scettico sulla possibilità di attuare uno storicismo, per così dire integrale. Riteneva che più che la «biografia» a contare per uno scrittore fosse il «curriculum», l'opera riuscita che può anche permettersi di obliterare l'autore. E concludeva sostenendo che quel suo libro di racconti (le Cosmicomiche), proprio in termini di «curriculum», avrebbe rappresentato per il suo percorso di scrittore un momento (dal punto di vista tecnico e metodologico) davvero importante. Più o meno nello stesso periodo, scrivendo ad H.M. Enzensberger circa le possibilità teoriche del rapporto tra politica e letteratura in seno alla cultura italiana in quegli anni, Calvino rivelava come, pur non condividendo le posizioni ideologiche dei teorici come Fortini & Co., accoglieva positivamente l'«efficacia enorme» di una svalutazione ad ogni livello della letteratura «impegnata», sostenendo come una tale prospettiva giovasse a liberare la scena una volta per sempre «da un monte di equivoci» (cfr. Lettera a H. M. Enzensberger, Torino, 28 ottobre 1965, ivi, pp. 895-896).

. E ne adombrava, tra le righe, la valenza

2 Le prime cosmicomiche (La distanza dalla Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in un

punto) appariranno sul bimestrale «Il Caffè Politico e Letterario» diretto da Giambattista Vicari nel novembre del 1964 (XII, 4, pp. 3-33), accompagnate dai disegni di Chago. Peraltro, in quello stesso

numero, la rivista ospitava tre brevi interventi critici dedicati allo scrittore a firma di André Pieyre de Mandiargues (Una poesia al color bianco. Testimonianza critica su Calvino, pp. 34-35), François Wahl (La logica dell'immagine in Calvino, pp.36-37), Stefan Themerson (Italo Calvino, pp. 38-39), insieme con una nota di Calvino (Le Cosmicomiche, p. 40). Si trattava della realizzazione della proposta del direttore, salutata con gratitudine da Calvino in una lettera al Vicari del 9 marzo 1963 (cfr. I libri degli altri…, p. 430), di dedicargli un intero numero della rivista. Mentre, in una lettera sempre indirizzata al Vicari (Torino, 13 maggio 1964) e precedente la pubblicazione in rivista, fa riferimento alle prime storie cosmicomiche come a «una cosa del tutto nuova», «una serie che credo avrà un seguito, fino a farne un volume» (cfr. L, pp. 813-814: cit. p. 813). Ma la sensazione autoconsapevole di stare mettendo mano a un progetto veramente alternativo, la si può trarre anche da svariati altri contributi epistolari di quel periodo: «Adesso sto scrivendo delle storie diverse, di un personaggio che ha l'età dell'universo» (Lettera a G. Contini, Torino, 17 dicembre 1964, ivi, cit. p. 840); e altrove: «sono immerso in un lavoro d'invenzione molto diverso (una serie di racconti che rappresentano un esperimento nuovo e richiedono una concentrazione in una certa logica)» (Lettera a M. Antonioni, Torino, 29 settembre 1965, ivi, cit. p. 881). Anche altri racconti cosmicomici, prima di essere radunati in volume, furono

implicitamente polemica nel confronto-distanziamento con gli esiti più recenti e della neoavanguardia italiana e del Nouveau Roman degli scrittori

d'oltralpe. L'avvenuto decisivo mutamento nella sua biografia intellettuale era di fatto giunto a maturazione: alle analisi teoriche sul logoramento delle forme letterarie, sulla vacuità insita in certi fenomeni d'estremismo con l'esaurirsi di tutta la loro forza innovativa nel solo momento della contestazione, ma soprattutto sulla stringente e ancora intatta necessità di rifondare le possibilità del fare letterario attraverso la riscoperta di una tensione alla ricerca e alla progettazione condivisa con il mondo della scienza, fa seguire (nella girandola di proposte letterarie, che vedevano insieme coesistere prove di un primo intenso sperimentalismo e note di una avanguardia estrema e di rottura con la tradizione)

l'ideazione di un ensemble narrativo concepito chiaramente e

deliberatamente come «libro postumo a una certa idea di letteratura - a una certa pretesa della letteratura - sulla quale non c'era modo più d'andare

avanti» 3 (di certo non ignaro dei facili fraintendimenti che questa

operazione avrebbe potuto innescare)4

Ma come nascono Le cosmicomiche? A questo punto si rende

necessario un preambolo. Credo che nessun critico possa in alcun modo .

pubblicati fra l'aprile e l'ottobre del 1965 su «Il Giorno» (Senza colori, Giochi senza fine, Lo zio acquatico), insieme ad altre storie cosmicomiche che non furono poi incluse nella raccolta (Fino a che dura il Sole, La nascita della Luna e I meteoriti).

3 Lettera a Sebastiano Addamo (Roma, 23-6-66), L, cit. p. 929. Lo scritto epistolare in

questione fornisce un utile contributo per meglio carpire le intenzioni di fondo che presiedono alla realizzazione della prima raccolta cosmicomica: racconti «che hanno tutti il negativo e il vuoto come tema», tentativo di doppiare la crisi; interpretato, dallo stesso Calvino, come forse il suo libro fino a quel momento più «illuminista», per il suo porsi come singolare «rivendicazione antropomorfa al di là del pensabile in immagini umane» (ibidem).

4Si rammenti, per esempio, la bocciatura di un Fortini (in «Wimbledon» I, 1990, 4, pp. 2-3) che

reputò d'importanza molto minore Le Cosmicomiche e in genere la serie legata alla «ideologia scientista», alle opere fantastiche, agli esperimenti narrativi ispirati a una combinatoria di tipo struttural-linguistico, nel quadro globale della sua opera. E i racconti cosmicomici furono anche tra le cose meno apprezzate di Calvino, nel giudizio complessivo dato da Cesare Cases, poco dopo la scomparsa dello scrittore (ibidem).

scandalizzarsi se, a voler sintetizzare la cifra caratteristica della letteratura di Calvino, si chiami in causa l'epiteto di "scrittore visuale". Del resto, che la macchina narrativa calviniana (pur nelle differenti variazioni e quadrature) discenda poi essenzialmente dal "guardare", da un'istanza visiva e dall'estrarre (attraverso tale attitudine) dal disordine prevalente, dalla «perdita di forma»5 incessante delle cose (pur nel disorientamento

che ne deriva), l'istantaneo affiorare d'un ordine possibile, una geometria, nel farsi d'un discorso narrativo sempre più improntato all'imperativo della ricerca (in analogia con la scienza) dell'esattezza e della precisione del dettato, senza tuttavia mai rinunciare al guizzo creativo della fantasia, l'ha chiarito (tra gli ultimi) in maniera oltremodo esaustiva, Marco Belpoliti6. E l'atto del vedere consiste per lo scrittore nel riuscire a

«percepire delle differenze»7

5Si veda la conferenza dedicata da Calvino al valore dell'Esattezza in Lezioni americane: «Il mio

disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d'opporre l'unica difesa che riesco a concepire: un'idea della letteratura» (S I, cit. p. 679).

6Cfr. M. BELPOLITI, Guardare il mondo precipitando nella tromba delle scale, in op. cit., pp. 5-24. 7Desumiamo l'arguta definizione da una prosa del viaggio di Calvino-Palomar in Giappone,

apparsa originariamente sulle pagine del «Corriere della Sera» [5 dicembre 1976], e successivamente confluita nella seconda raccolta di saggi e articoli (Collezione di sabbia, Milano, Garzanti, 1984) col titolo definitivo La vecchia signora in chimono viola: cfr. S II, p. 566. Ma vale la pena citare per intero il passaggio da cui abbiamo estrapolato l'efficace sintagma: «Quando tutto avrà trovato un ordine e un posto nella mia mente, comincerò a non trovare più nulla degno di nota, a non vedere più quello che vedo. Perché vedere vuol dire percepire delle differenze, e appena le differenze si uniformano nel prevedibile quotidiano lo sguardo scorre su una superficie liscia e senza appigli. Viaggiare non serve molto a capire […] ma serve a riattivare per un momento l'uso degli occhi, la lettura visiva del mondo [i corsivi sono miei]» (ibidem).

, il modo in cui il campo visivo passa dal continuo al discontinuo, al discreto; rendendo per ciò stesso la percezione significativa. Visione discontinua dello spazio nel corso del tempo che finisce per codificare nel mondo visto come "superficie inesauribile". Non a caso, una centralità indiscussa acquista, per chi voglia risalire all'algebra del suo "immaginare", la conferenza americana da Calvino dedicata alla Visibilità, nella quale illustra come egli di fatto

proceda (nella prassi costruttiva dei suoi testi) ribaltando il convenzionale muovere dalla parola all'immagine, partendo da essa per approdare alla linea continua del racconto. Ecco che Calvino può parlare di «discorso per immagini», di «fantasia figurale», già messa in moto a partire dalla trilogia romanzesca degli Antenati e successivamente, in maniera più

esplicita, nel Castello dei destini incrociati8

È da un paio d'anni che li scrivo. Ho cominciato così: avevo preso l'abitudine di segnarmi le immagini che mi venivano in mente leggendo un libro per esempio di cosmogonia, cioè partendo da un discorso lontano dal meccanismo di immaginazione che mi è più consueto.[…] Mi è bastato prenderne nota per trovarmi ad avere un certo numero di inizi, di motivi di partenza.

. Nelle Cosmicomiche (eccoci arrivati

alla fine del mio ragionare), viceversa, finirà per sperimentare una differente dinamica organizzatrice del racconto: a stuzzicare infatti, il novello «discorso per immagini» saranno proprio gli enunciati scientifici che lo scrittore va annotando nel corso delle sue curiose ed appassionate letture di cose di scienza, in ispecie di cosmologia, compiute in quegli anni.

9

8Cfr. S I, pp. 704-705. In effetti, il dispiegarsi di un modo altro di pensare e "vedere" l'universo

nell'opera di Calvino, l'architettura che sottende a un così vivo e singolare progetto di scrittura, trovano una chiarificazione di prima mano per il lettore nella privilegiata entratura costituita da quel lucido testamento (pubblicato postumo) contenuto nelle Six Memos for the Next Millennium [1988]. Nel trattare dei valori da trarre in salvo per il millennio a venire (Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità), Calvino si può dire censisca ed illustri l'agire sulla pagina (come lievito geometrico e vivificante) di tutti gli ingredienti fondamentali del suo corredo letterario, tradotti (per l'occasione) in argomento di riflessione.

9I.C., Presentazione, in Le Cosmicomiche, OIC, Milano, Mondadori, 1993, cit. p. VI. Si legga, a

testimonianza ulteriore di questo suo appassionato periodo di letture scientifiche che gli avrebbero fruttato la scrittura dei racconti cosmicomici, quanto scriveva in lettera a Domenico Rea (Torino, 13 maggio 1964): «Caro Mimì, da un po' di tempo leggo solo libri di astronomia» (L, cit. p. 812). Per quanto concerne i temi astronomici sfruttati da Calvino nelle sue opere e il valore simbolico che ne ricava, si rimanda al breve saggio di GIANNINA POLETTO, L'astronomia di Calvino, AA.VV., Italo Calvino.

La letteratura, la scienza, la città…, 1988, pp. 101-112. La Poletto collega (a ragione) l'operazione compiuta in letteratura da Italo Calvino al più generale sforzo di superamento della dicotomia tra le due culture riscontrabili in diversi libri di grande successo a firma di importanti scienziati (è il caso, ovviamente, di un testo ormai classico come Godel, Escher, Bach di Hofstadter o dell'altrettanto famoso Il Tao della Fisica di Fritjof Capra).

E in un altro paratesto collaterale, precisava:

[…] al profano che legge libri scientifici […] ogni tanto una frase risveglia un'immagine. Ho provato a segnarne qualcuna, e a svilupparla in un racconto: in uno speciale tipo di racconto "cosmicomico" (o "comicosmico"). Protagonista delle Cosmicomiche è sempre un personaggio, Qfwfq, che ha l'età dell'universo.10

Dagli input che ricava da talune rappresentazioni concettuali della scienza contemporanea, Calvino riesce pertanto a trarre un fascio d'immagini sintetiche di cui sviluppare (in coerenza logica) la segnicità intrinseca e le potenzialità plurisemantiche che ne possono conseguire, lasciando che le storie acquistino una loro coesione e progressiva tenuta dall'interno (una sorta di auto-generazione del testo a partire dal dato visuale evocato), senza tuttavia rinunciare ad attenuare o correggere il tiro, attraverso il sapiente dominio del gioco narrativo e dell'inventio

fantastica. Testimonianza di questa caratteristica cifra genetica delle storie cosmicomiche sono le frequenti riscritture e revisioni cui lo scrittore sottopone gran parte dei suoi testi11

10 Cfr. I.C.,Le Cosmicomiche [nota], in «Il Caffè», XII, 4, novembre 1964, cit. p. 40.

11Claudio Milanini sottolinea nelle sua nota critica su Le Cosmicomiche (RR II, pp. 1318-1344),

come molte storie di Qfwfq, nel passaggio dalla precedente comparsa in rivista alla pubblicazione in volume, «subirono modifiche ragguardevoli, fino al limite del vero e proprio rifacimento» (p. 1322). Si pensi alla serrata revisione di racconti (tra i più ambiziosi di tutte la raccolta) come Un segno nello spazio o La spirale. Per la vicenda genetica poi di ciascun testo (revisioni e varianti), si rimanda infine alle singole note redatte dal Milanini.

. Va altresì sottolineato come egli stesso ebbe a cuore da subito (ancor prima che Le Cosmicomiche

avessero diffusione in volume) di segnare la netta divaricazione tra questa sua nuova particolare proposta narrativa e le storie più canoniche della

Science Fiction tradizionale: «io vado avanti con questa serie di racconti,

che non hanno niente a che fare con la fantascienza ma sono un genere

interamente nuovo»12. Ciononostante, l'accostamento più immediato per

i recensori del tempo, quello che consentiva di mettere a posto le cose e sollevare da ogni insidiosa riflessione la coscienza critica, fu senz'altro l'intravedere un superficiale e del tutto esteriore legame con la congerie di storie fantascientifiche che da qualche anno in Italia avevano cominciato a conoscere un discreto successo di pubblico. Lettura che, semplicisticamente, poteva essere figlia del retro-pensiero per cui si potesse intendere la svolta cosmica come una conversione che, partendo dalla istintiva vocazione del nostro per il fantastico, compiva una quasi naturale evoluzione, approdando alle forme tipiche del narrato fantascientifico. Tra i giudizi in presa diretta di maggior fortuna, senza però discostarsi dall'inquadramento nell'alveo di quello specifico genere di riferimento, ma postulandone al più un ribaltamento del paradigma, sono la curiosa etichetta di «fantapassato» attribuita da Antonicelli al sostrato dei racconti e la nuova formula, di conio montaliano, per Calvino, di autore «fantascientifico alla rovescia»13

12 Cfr. Lettera a François Wahl (Torino, 16 novembre 1964), L, cit. p. 837.

. L'impegno di fornire

13 Cfr. F. ANTONICELLI, Nuove fantasie di Calvino, in «Radiocorriere Tv», 5 dicembre 1965; E.

MONTALE, È fantascientifico ma alla rovescia, in «Corriere della Sera», in Il secondo mestiere. Prose 1920-1979,

vol. II, Milano, Mondadori, 1996, pp. 2760-62. In modo particolare la lettura critica montaliana (accolta peraltro da P. ANTONELLO, cfr. op. cit., p. 197), se è in apparenza calzante e tempestiva, non

riesce infine del tutto convincente rispetto a una più profonda comprensione della svolta cosmica di Italo Calvino, specie quando, lodando la sapienza e lucidità di scrittura del nostro, conclude con la notazione del suo «trincerarsi deliberatamente» nel suo fortilizio di disimpegno e di «inappartenenza» (ibidem). Riguardo poi al discreto successo conosciuto in Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta dalla letteratura fantascientifica angloamericana (senza dubbio anche in connessione con i nuovi scenari che si prospettavano a partire dal compiersi delle prime e fondamentali imprese spaziali), va ricordato l'intenso lavoro di ricerca compiuto da Solmi e Fruttero i quali proprio per la Einaudi di Calvino (che pur apprezzando il genere, rimase esterno a quel progetto editoriale) confezionarono la prima antologia della fantascienza di alto livello letterario, prediligendo quegli scrittori che mostravano, per la loro cifra stilistica e la potenza d'invenzione fantastica, possibili assonanze con il romanzo cavalleresco di matrice ariostesca (Cfr. Le meraviglie del possibile. Antologia della fantascienza [a cura di Sergio Solmi e

un'esatta definizione di quanto aveva voluto ideare con il disegno delle sue storie cosmicomiche, fu un punto sul quale non si stancò mai di esprimersi, se per l'uscita di La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche

[1968], sentì la necessità di accompagnare la raccolta con una Premessa

nella quale esplicitare nuovamente la genesi e la specificità dell'operazione condotta con i racconti, segnandone una volta ancora la distanza dai più comuni territori della Science Fiction:

Molti critici hanno definito questi miei racconti come un nuovo tipo di fantascienza. Ora, io non ho nulla contro la «science-fiction», di cui sono - come tutti - un appassionato e divertito lettore, ma mi pare che i racconti di fantascienza siano costruiti con un metodo completamente diverso dai miei. La prima differenza osservata già da vari critici, è che la «science-fiction» tratta del futuro, mentre ognuno dei miei racconti si rifà a un remoto passato, ha l'aria di fare il verso d'un «mito delle origini». Ma non è soltanto questo: è il rapporto tra dati scientifici e invenzione fantastica. Io vorrei servirmi del dato scientifico come d'una carica propulsiva per uscire dalle abitudini dell'immaginazione, e vivere anche il quotidiano nei termini più lontani dalla nostra esperienza; la fantascienza invece mi pare che tenda ad avvicinare ciò che è lontano, ciò che è difficile da immaginare, che tenda a dargli una dimensione realistica o comunque a farlo entrare in un orizzonte d'immaginazione che fa parte già d'un'abitudine accettata.14

Carlo Fruttero], Torino, Einaudi, 1959; seguito, sempre per i tipi della Einaudi, ad appena due anni di distanza da Il secondo libro della fantascienza [a cura di C. Fruttero - F. Lucentini], Torino, Einaudi, 1961). Un'altra raccolta antologica del genere fantascientifico uscì, sempre nello stesso anno, per i tipi dell'editore fiorentino Vallecchi (Destinazione universo. Racconti di fantascienza [a cura di Piero Pieroni], Firenze, Vallecchi, 1959). Una schematica ma lucida spiegazione del perché le Cosmicomiche siano tutt'altra cosa rispetto al genere letterario fantascientifico, la troviamo in GIOVANNI FALASCHI, Ritratto

di Italo Calvino, in ID., Da Giusti a Calvino, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 308-309.

14I.C., Premessa, in La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, Milano, Club degli Editori, 1968,

poi in RR II, cit. p. 1300. Questa nuova silloge, oltre a contenere tutti i racconti già editi nelle due precedenti raccolte (Cosmicomiche e Ti con zero), include altre otto storie, di cui sette ancora con Qfwfq protagonista (La luna come un fungo, Le figlie della Luna, I meteoriti, Il cielo di pietra, Fino che dura il Sole, Tempesta solare, Le conchiglie e il tempo) e una, La memoria del mondo, che dà il titolo alla raccolta e che si distanzia da quel ciclo. Inoltre, si scorge la volontà di Calvino di dare una sistemazione tematicamente organizzata ai racconti, raggruppati in cinque categorie di quattro storie ciascuna: storie sulla Luna; storie sulla Terra; storie sul Sole, le Stelle, le Galassie; storie sull'evoluzione; storie sul tempo e sullo spazio. L'idea, nelle intenzioni di Calvino, era quella di «dare all'insieme delle Cosmicomiche un'organicità lucreziana», realizzare quasi una "summa cosmologica", così scriveva a Piero Gelli il 14 luglio 1984 (L, cit. p. 1519), quando la Garzanti si apprestava a ripubblicare, con qualche aggiunta (Il niente e il poco e L'implosione) e un nuovo montaggio nella sequenza dei racconti, le sue storie cosmicomiche e i cosiddetti "racconti deduttivi" (I.C., Cosmicomiche vecchie e nuove, Milano, Garzanti, 1984). A voler

Nell'intenzionale e ricercato allontanamento dall'usuale, Calvino si muove, oserei dire programmaticamente, su presupposti del tutto differenti. Quel suo fare il verso ai miti d'origine partendo dagli enunciati scientifici, che mettono a sua disposizione un territorio vergine (sul piano delle possibilità letterarie) da cui rifondare una diversa attitudine immaginativa, lo induce a inaugurare una stimolante e funambolica

avventura di moderna mitopoiesi che ammicca (in un percorso à rebours

di recupero culturale di indiscussi influssi e apporti geneticamente affini alla sua formazione e sensibilità) agli esempi della classicità e non solo. Il fondante vincolo tra la scienza e il mito, tra il calcolo preciso e la necessità del racconto, così come la intuizione d'una cultura non scissa ma unificata e unificante, per sua stessa ammissione Calvino la riceve o meglio la matura a partire dal fondamentale incontro avuto con il pensiero dello storico e filosofo della scienza Giorgio de Santillana, che al mito guarda come primo sapere scientifico di un cosmo percepito come unitario, dotato di straordinaria regolarità, e del quale l'uomo

arcaico era impegnato, in quello che de Santillana definisce il furor

mensurandi delle origini, a individuarne la necessità circolare di natura

matematica. Ecco che, nei suoi studi, «i primi miti storici si rivelano all'analisi costruzioni astronomiche»15

ripercorrere i materiali paratestuali riferiti all'avventura della letteratura cosmicomica, si può notare come Calvino monti e rimonti, di volta in volta, le medesime asserzioni, che evidentemente ritiene sempre valide. Per una storia dei contributi paratestuali connessi alle storie cosmicomiche e per una estesa analisi degli "stratagemmi prefativi" adoperati dallo scrittore, cfr. AMELIA NIGRO, Dalla parte

dell'effimero. Ovvero Calvino e il paratesto, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2007, pp. 89-98.

. L'incontro con le riflessioni di de

15GIORGIO DE SANTILLANA, Fato antico e fato moderno, Milano, Adelphi, 1985, cit. p. 17. Il testo

da cui cito è quello di una conferenza ascoltata da Calvino a Torino nel 1963 (dopo che era stato lo stesso de Santillana a fare da guida al giovane Calvino in Massachussets, al tempo del suo primo

Santilliana sul mito, rafforzano in Calvino l'«idea che nessuna storia e

Documenti correlati