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CAPITOLO 4. ISAIAH BERLIN E LEV TOLSTOJ

4.3. La semantica del «medium»

Più avanti avrò modo di tornare su questo tema. In questa sezione mi concentro invece sul concetto di «medium». Questo tipo di conoscenza, dice Berlin, non è né induttivo, né deduttivo. Essa può essere descritta e analizzata soltanto nei termini del «medium»: «In the pages of War and Peace we get a sharp juxtaposition of reality –

what really occurred – with the distorting medium…»217. Berlin adopera l’aggettivo

«distorting» e lo usa nel senso di «concepito» o «interpretato» erroneamente. Come dice Berlin: «the distorting medium» conduce Tolstoj alla «dualità» nella concezione della realtà, o a un dilemma: che cosa sono «Io», se il mio Io è veramente libero o tuttavia determinato dall’avvenire storico?

Il medium è un concetto-limite o di confine, è quello che non sottintende una definizione precisa, non perché sia senza significato, ma piuttosto perché è troppo carico di significato. Il «medium», dunque, dal punto di vista di Berlin, entra a far parte di «ourselves, we do not and cannot observe as if from the outside; cannot identify, measure and seek to manipulate; cannot even be wholly aware of, inasmuch as it enters too intimately into all our experience, is itself too closely interwoven with all that we are and do to be lifted out of the flow (it is the flow) and observed with

scientific detachment, as an object».218

217

I. Berlin, The Hedgehog and the Fox, cit., p. 15. 218

Diversamente da quanto dice Berlin, Morton White scrive a proposito che: «It’s hard to believe that the Tolstoy who thought that Hegelian speculation was gibberish and who dismissed Schelling’s idealism sought to learn something about a flow or

medium that he neither mentions nor characterizes»219. E prosegue: «he was a fox

who studied many little things»220. Tolstoj, dunque, rimanendo interamente nei

confini dell’esperienza umana che si realizza attraverso lo sviluppo del sapere empirico, non può mai arrivare alla conoscenza di un medium. In tal modo, White si oppone radicalmente a Berlin dicendo che la natura empirica di Tolstoj è tanto più ricca quanto più si dispiega nei processi del mondo della natura. «In my view, the Tolstoy of War and Peace was not a bitterly disappointed fox tried unsuccessfully to be a hedgehog, but a thinker who come to accept determinism by using the methods

of fox».221

Nonostante quello che scrive White, ritengo che il pensiero di Tolstoj, svolto con una geniale intuizione artistica, sia più vicino a quello di Berlin. Dopo aver conosciuto i limiti della natura umana, Berlin pone il pensiero al confine tra l’uno e il molteplice, tra l’universale e il concreto. La sua acutezza di analisi nei confronti del come recuperare le idee del passato gli consente di mostrare la teoria di Tolstoj alla luce della struttura bipolare del reale. Tolstoj è sempre vivo, è sempre presente nella nostra coscienza e lo si può comprendere, dice Berlin, se riusciamo ad individuare i confini della realtà: «True man is at once an atom living its own conscious life ‘for itself’, and at the same time the unconscious agent of some historical trend, a relatively insignificant element in the vast whole composed of a very large number of

such elements».222

219

M. White, From a philosophical point of view. Selected studies, Princeton University Press, 2005, p.66. 220 Ibid. 221 Ibid., p.57. 222

Il medium, nel quale siamo immersi (il fluire della vita), penetra nella realtà, nella conoscenza, attraversando le nostre categorie permanenti ma non lasciandosi esaurire da esse: vero e falso, reale e apparente, buono e cattivo, bello e brutto, oggettivo e soggettivo, nessuna di queste categorie è applicabile al medium in sé. Il medium è la situazione del silenzio, in cui ci troviamo e di cui possiamo solo parlare. Molti tendono ad abbandonarlo per poi passare alle conoscenze concrete, alle verità scientifiche e metafisiche.

Diversamente Tolstoj, trovandosi al confine tra «inner» ed «outer», appare come uno dei più importanti intellettuali e pensatori volti alla ricerca della verità. Il

medium, dice Berlin, è una superficie di confine: «all’interno»223 c’è la storia,

«all’esterno» c’è una parte del mondo in cui viviamo, conosciamo e classifichiamo attraverso l’analisi.

4.4. «L’Io empirico» di Lev Tolstoj

Come scrive Gil Delannoi,224 nella prefazione al libro The Sense of Reality,

bisogna attribuire al merito di Berlin il «metodo», o più precisamente, la sua «capacità» di esporre la storia e le sue idee secondo una visione in grado di cogliere e mostrare «the diversity», «its complexity and even its incoherence» «which is of

223

I. Berlin, Il senso della realtà, cit., p.57: «Con grande pazienza, diligenza e assiduità possiamo scavare sotto la superficie, ma la consistenza è quella di una sostanza vischiosa: non incontriamo muri di pietra né ostacoli insuperabili, ma ciascun passo è più difficile, ciascuno sforzo di avanzare ci spoglia del desiderio o della capacità di continuare. Tolstoj, Shakespeare, Dostoevskij, Kafka, Nietzsche sono penetrati più a fondo di John Buchan o H.G. Wells, o anche di Bertrand Russell…». 224

greater importance today than ever».225 Si tratta palesemente del «pluralismo» di Isaiah Berlin che, influenzato dall’empirismo, aspira a perfezionare ed estendere l’area semantica della dottrina storica di Tolstoj, iscrivendola in un contesto interculturale. Tutte queste connotazioni – empirismo, scetticismo – pur rispondendo ad aspetti fondamentali della formazione di Berlin, non possono esprimere né singolarmente, né complessivamente l’originalità del suo pensiero.

Comunque sia, molti dei saggi di Berlin pongono l’uomo al centro dell’esperienza, del regno dei fini che ha natura essenzialmente individuale e personale. E mi pare di poter sostenere che buona parte di ciò che dice su questo tema derivi dalle idee storiche di Tolstoj. L’emergere di nuove specie di intuizioni e di orizzonti è evidente nella scelta e nel trattamento riservato all’Epilogo di Tolstoj nel celebre saggio The Hedgehog and the Fox. Dirò a questo proposito qualche parola intorno alle affinità tra le due forme di vita, quella tolstoiana e quella berliniana.

Nel celebre Epilogo, a conclusione del romanzo Guerra e Pace, Tolstoj abbraccia con più forza e con maggiore perspicacia il senso della natura dell’individuo. Ogni conoscenza, dice Tolstoj, nasce nell’individualità. L’«Io voglio», amplificato dalla coscienza di sé, dalla volontà empirica, diventa una premessa primaria di qualsiasi azione pratica: «Se la coscienza della libertà non fosse una fonte di conoscenza di se stessi, separata e indipendente dalla ragione, sarebbe soggetta al ragionamento e all'esperienza; ma in realtà una simile soggezione non si

dà mai ed è impensabile».226

. Esplorando l’atto della volontà dell’uomo che realizza se stesso sia come volontà sia come la più piccola unità storica, Tolstoj si rivolge alla «libertà empirica», alla libertà che noi realizziamo quando ci rendiamo conto del

225

G. Delannoi, Preface to the French Edition of the Sense of Reality, Trans. by John Atherton, Les Editions des Syrtes, Paris 2003: «Recognition of the diversity of the world, its complexity and even its incoherence, is of greater importance today than ever», p.2.

226

L. Tolstoj, Guerra e Pace, intr. di Serena Vitale, trad. di Pietro Zveteremich, Garzanti, Milano 2003, vol. II, pp. 1797-1798.

desiderio di agire. Non si tratta, dunque, del concetto della volontà a priori, nella cui

fase si manifesta la vera libertà morale (come afferma, ad esempio, Schopenhauer227).

Al contrario, Tolstoj si limita a ciò che «io voglio», alla mia decisione e a come essa influisce sulla mia azione: «Qualsiasi uomo, sia il selvaggio che il pensatore, per quanto il ragionamento e l'esperienza gli dimostrino in modo inconfutabile che è impossibile immaginare due azioni diverse nelle medesime condizioni, sente che, senza questa assurda idea (che costituisce l'essenza della libertà), non può immaginarsi la vita. Sente che per quanto sia impossibile, è così e senza questa idea della libertà, egli non solo non capirebbe la vita, ma non potrebbe vivere neanche per

un istante»228.

Per mezzo della «volontà», l’uomo riesce ad indicare ciò che resta a noi sconosciuto e inconoscibile: «La libertà, per la storia, è soltanto l’espressione di un

residuo ignoto di ciò che noi sappiamo delle leggi della vita dell’uomo».229 Alla fine,

l'uomo si imbatte nei «motivi», nei «caratteri», nella necessità. Tolstoj non crea un'immagine della libertà universale, della libertà dell'ordine superiore. Rimane poco da attribuire alla libertà, e questo poco si disperde nelle «azioni», nei dettami razionali della scienza. Una piccola realizzazione della libertà, la cosiddetta libertà della volontà, diventa un movimento individuale dell'anima, dipendente dal tempo, dallo spazio e dalle motivazioni. Schopenhauer, ad esempio, definisce tale movimento dell'anima un’«illusione», un «autoinganno». Senza rinunciare al concetto di libertà, egli mira a raggiungere una concezione in cui la volontà

227

A. Schopenhauer, La libertà del volere umano, Laterza, Bari 1981, p. 57: «Ma questo è il concetto di libertà empirico, originario, popolare, stabilito fin da principio, per il quale libero significa “conforme alla volontà”. Questa libertà l’autocoscienza la enuncerà assolutamente: ma non è quella che cerchiamo. L’autocoscienza enuncia la libertà del fare, permettendo il volere: ma noi cerchiamo la libertà del volere».

228

L. Tolstoj, Guerra e pace, cit., II, Epilogo, p. 1798.

229

comprenda l’esse, motivando il suo operari in quanto essere ed essenza. In altri termini, si tratta di una forma superiore della conoscenza, vale a dire della volontà trascendentale, che non ha nulla a che fare con la «passione», con l’«effetto», col «desiderio».

Tolstoj riflette sul libero volere, le cui motivazioni sono libere e nello stesso tempo limitate. È difficile immaginare, soprattutto in questa fase della sua creatività, che tale volontà possa trasformarsi nella «volontà dell’ordine superiore». Tolstoj rivela la ricchezza del volere in relazione al mondo circostante delle cose. E tale volontà è libera, motiva liberamente se stessa, il proprio io e le sue azioni.

Tolstoj focalizza la sua attenzione sui «momenti di confine», ovvero quei momenti in cui la coscienza è ancora in grado di mostrare una piccola parte della sua libertà. L'uomo, con la sua volontà «infinitesima», penetra nella propria essenza, rivela il proprio Io, torna alla storia, alle volontà e alle azioni umane. Così si verifica la vera storia, e da come si integrano l’uomo e la storia, libertà e necessità, dipende lo stato oggettivo delle cose.

Come punto di riferimento Tolstoj sceglie l’attuazione sia di una singola volontà che di una moltitudine nel corso dello sviluppo storico: «Rispetto agli altri rami del sapere che hanno cercato di risolvere questo problema, la soluzione del problema della libertà e della necessità per la storia ha il vantaggio che in essa questo problema non si riferisce all’essenza stessa della volontà umana, ma al manifestarsi di tale

volontà nel passato e in date condizioni».230

Ciò che Tolstoj definisce come Io empirico, indica la libertà che ci immerge nel flusso della storia e che ci si presenta nella forma della «special sensitiveness to the

contours of the circumstances in which we happen to be placed»231. La coscienza

230

L. Tolstoj, Guerra e pace, cit., II, Epilogo, p. 1801. 231

I. Berlin, The Hedgehog and the Fox, cit., p. 69: «It’s not a scientific knowledge, but a special sensitiveness to the contours of the circumstances in which we happen to be placed».

riesce quindi a cogliere la «relazione tra il mondo visibile e invisibile», a conoscere l’«esperienza concreta» dell’individuo.

Berlin sceglie l’immagine dell’«uncountable totality» come metafora della realtà che getta l’uomo nel terrore e nella follia. Egli scrive: «It is difficult enough to do this in the case of artificial, purely deductive systems, as for example in chess, where the permutations are finite in number, and clear in type – having been arranged so by us, artificially – so that the combinations are calc ulable. But if you apply this method to the vague, rich texture of the real world, and try to work out the implications of this or that unrealized plan or unperformed action – the effect of it on the totality of later events – basing yourself on such knowledge of causal laws and probabilities as you have, you will find that the greater the number of ‘minute’ causes you discriminate, the more appalling becomes the task of ‘deducing’ any consequence of the ‘unhinging’ of each of these, one by one; for each of the consequences affects the whole of the rest of the uncountable totality of events and things, which unlike chess

is not defined in terms of a finite, arbitrarily chosen set of concepts and rules»232.

Nel presente contesto, ciò che gli importa non è conoscere le cose come sono in sé, ma piuttosto distinguere e analizzare le cose che esistono, esistono così e non altrimenti. Poiché la natura umana è identica in tutti gli uomini, lo stesso discorso vale sicuramente, in vario grado, per la maggior parte dei grandi scrittori e pensatori della storia. Le numerose e svariate correnti di pensiero creano ciascuna visioni riccamente suggestive, nella misura in cui sono capaci di creare i vari «centri di gravità», varie forme di conoscenza e di vita. Ogni tentativo di formare un’unità e un’armonia ultime conduce al fallimento, all’annullamento delle differenze etniche e culturali tra gli individui («unification was destruction»).

Il medium è una strategia associata al contesto della storia delle idee, un campo di studi relativamente nuovo che è ancora in cerca di riconoscimento. L’adeguatezza

232

teorica emerge, con particolare limpidità, come conseguenza della risoluzione di andare verso il margine e stare al confine. L’attenzione berliniana è attirata sempre di più dalla capacità di mantenersi in equilibrio sull’instabile confine tra outside ed inside, cioè a metà tra l’universale e il concreto, tra il generale e il particolare: «According to Tolstoy all our knowledge is necessarily empirical – there is no other – but it will never conduct us to true understanding, only to an accumulation of arbitrarily abstracted bits and pieces of information; yet that seems to him (as much as to any metaphysician of the Idealist school which he despised) worthless beside, and unintelligible save in so far as it derives from and points to, this inexpressible but

very palpable kind of superior understanding which alone is worth pursuing»233.

Isaiah Berlin, dunque, si impegna in una critica serrata rivolta alle teorie

classiche, al determinismo, alla teleologia.234 Egli perviene alla piena consapevolezza

che esistano la polifonia, il dialogo, l’improvvisazione. Volendo estendere gli orizzonti del pensiero umano, Berlin si impegna più risolutamente sulla via del metodo, grazie al quale può approfondire la conoscenza delle categorie fondamentali, nei termini delle quali gli uomini concepiscono se stessi in quanto esseri umani.