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LA TITOLARITÀ DEL POTERE DISCIPLINARE NEGLI ATENE

Luca Busico (*)

LA TITOLARITÀ DEL POTERE DISCIPLINARE NEGLI ATENE

sione dal servizio con privazione della retribuzione fino a 10 giorni) poste in essere da dipendenti in servizio presso strutture con qualifica dirigenzia- le; b) la contestazione di tutte le infrazioni poste in essere da dipendenti in servizio presso strutture non aventi qualifica dirigenziale.

In base ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 55-bis, competente allo svolgimento del primo tipo di procedimento è il dirigente della struttura presso la qua- le il dipendente è in servizio, per il secondo tipo è, invece, competente l’Ufficio dei procedimenti disciplinari.

Il legislatore ha, quindi, voluto una maggiore responsabilizzazione del- la categoria dirigenziale, considerando il potere disciplinare esercitato in re- lazione alle infrazioni meno gravi come diretta espressione delle prerogati- ve datoriali riconosciute al dirigente pubblico dall’art. 5, c. 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 (3).

La mancanza di qualifica dirigenziale nel responsabile della struttura, ovvero la gravità delle infrazioni, determinano, invece, la necessità in capo all’organo procedente della specializzazione e del distacco rispetto al re- sponsabile della struttura, in cui presta servizio il dipendente incolpato (4). 2. — Peculiarità degli atenei: il docente direttore di dipartimento può ir- rogare sanzioni disciplinari? — Nelle Università si assiste alla compresenza di personale contrattualizzato (il personale tecnico amministrativo) e di personale in regime di diritto pubblico (i professori e i ricercatori, in base all’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 165 del 2001). Differente è il sistema della re- sponsabilità disciplinare relativo alle due categorie: per il personale tecnico amministrativo trovano applicazione gli artt. 55-bis ss. del d.lgs. n. 165 del 2001, l’art. 2106 c.c., l’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e le nor- me della contrattazione collettiva; per il personale docente, invece, gli artt. 84-91 del T.U. delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, e, per i profili procedurali, l’art. 10 della legge 30 di- cembre 2010, n. 240 (5).

Deve tenersi in debito conto la peculiarità organizzativa degli atenei, al- l’interno dei quali sussistono strutture (dipartimenti, centri interdiparti- mentali, scuole ecc.) dirette per un determinato arco temporale da docen- ti universitari, eletti dai componenti della strutture stesse. Gli interna cor- poris (statuto, regolamenti) di vari atenei attribuiscono a tali soggetti anche poteri gestionali sul personale tecnico amministrativo.

(3) Cfr. Caruso 2010.

(4) Cfr. Cass. 3.6.2004, n. 10600, in GC, 2005, I, 243. (5) Cfr.: Viola 2010; Portaluri 2013; Mattarella 2013.

Si pone, pertanto, il seguente problema: il professore universitario, che svolge le funzioni di direttore di dipartimento (o di centro o di scuo- la), può avere competenza disciplinare per le infrazioni meno gravi poste in essere dal dipendente tecnico amministrativo in servizio presso il di- partimento medesimo?

La risposta, ad avviso di chi scrive, è negativa per due ragioni di carat- tere sistematico: 1) il principio di distinzione tra attività politica e attivi- tà di gestione; 2) le caratteristiche del sistema disciplinare costruito dalla riforma del 2009.

Per quanto concerne la prima, occorre ricordare che una delle inno- vazioni di maggior rilievo che hanno caratterizzato la contrattualizzazio- ne del pubblico impiego è stata l’introduzione di norme decisamente ispirate al principio di distinzione tra attività politica e attività di gestio- ne (6), in base al quale sono attribuite agli organi elettivi le funzioni di indirizzo politico, fissazione dei programmi e degli obiettivi e verifica della effettiva realizzazione di essi; ai dirigenti, invece, compete lo svolgi- mento delle attività necessarie a dare attuazione agli obiettivi e ai pro- grammi fissati dagli organi elettivi, unitamente all’adozione degli atti a rilevanza esterna (art. 4 del d.lgs. n. 165 del 2001). La Corte costituzio- nale ha evidenziato in diverse occasioni che l’introduzione e il rafforza- mento da parte del legislatore di una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione è coe- rente coi princìpi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) (7).

L’elettività e la temporaneità della carica di direzione di una struttura deputata allo svolgimento della ricerca scientifica, di attività didattiche e formative (art. 2, c. 2, lett. a, della legge n. 240/10) portano a conside- rare il direttore di dipartimento quale organo politico.

Non vi è dubbio che la gestione del personale non rientri tra le attivi- tà degli organi politici, ma tra quelle di competenza dirigenziale: l’art. 5, c. 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 dispone, infatti, che, nell’ambito delle leg- gi e degli atti organizzativi di definizione delle linee fondamentali di or- ganizzazione degli uffici, le determinazioni per l’organizzazione degli uf-

(6) Tra gli innumerevoli contributi sul tema, cfr.: Meoli 1991; D’Orta 1994; Merloni 1997; Cassese 2003; Battini 2012.

(7) Cfr.: C. cost. 30.1.2002, n. 11, ord., in FI, 2002, n. 10, I, 2964, con nota di D’Auria, in RIDL, 2002, n. 3, II, 478, con nota di Cerbo; C. cost. 20.5.2008, n. 161, in LPA, 2008, n. 2, II, 361, con nota di Ferretti, MGL, 2008, n. 7, 565, con nota di Vallebona; C. cost. 25.2.2014, n. 27, in GCost., 2014, n. 1, 416. Sulla rilevanza co- stituzionale del principio cfr. Monzani 2014.

fici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte da- gli organi preposti alla gestione (ossia i dirigenti) con la capacità e i po- teri del privato datore di lavoro (8).

Con riferimento alla seconda ragione, occorre evidenziare che il d.lgs. n. 165 del 2001 contiene un nucleo di disposizioni (introdotte dalla ri- forma del 2009) espressamente dedicato a fissare, in modo particolare per i dirigenti, una serie di obblighi di comportamento in vista dell’effet- tività dell’azione disciplinare (9).

L’art. 55-bis, c. 7, impone al dirigente, che è a conoscenza per ragio- ni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, di prestare collaborazione all’autorità disciplinare procedente, salvo la ricorrenza di un giustificato motivo. La norma, og- getto di forti critiche dottrinali (10), prevede, nel caso di inadempimen- to all’obbligo di collaborazione, la sanzione disciplinare della sospensio- ne dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravi- tà dell’illecito contestato al dipendente, fino a un massimo di quindici giorni.

L’art. 55-sexies, c. 3, dispone che il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustifica- to motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’in- sussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infon- date, comporta la responsabilità disciplinare in capo all’inerte (o colluso) dirigente (11). Per tale ipotesi la sanzione prevista è la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità del- l’infrazione non perseguita, fino a un massimo di tre mesi in relazione al- le infrazioni sanzionabili con il licenziamento, e altresì la mancata attri- buzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spet- tante per il doppio del periodo della durata della sospensione.

La disposizione dell’art. 55-sexies, c. 3, si applica, in forza dell’art. 55- septies, c. 6, anche all’ipotesi di mancata osservanza da parte del dirigen- te delle disposizioni finalizzate al controllo e alla prevenzione delle con- dotte assenteistiche.

Dalla lettura delle citate disposizioni emerge chiaramente che il legisla- tore si riferisce al dirigente pubblico contrattualizzato, la cui disciplina è

(8) Cfr.: Ales 2002; Spinelli 2012. (9) Cfr. Romei 2009.

(10) Cfr.: Ursi (2009, 764), che ritiene la norma di dubbia costituzionalità e di sapore «maccartistico»; Mainardi (2010b), secondo cui non è casuale l’utilizzazione dell’espressione «autorità disciplinare».

dettata dagli artt. 19 ss. del d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla contrattazione collettiva della relativa area. Il direttore di dipartimento è un soggetto non contrattualizzato, non avente alcuno dei requisiti imprescindibili del diri- gente ex d.lgs. n. 165 del 2001: il conferimento di incarico a opera della parte politica, in quanto è eletto dai colleghi della struttura; la fissazione di obiettivi; il controllo sui risultati ottenuti e la valutazione degli stessi; la percezione della retribuzione di risultato; la responsabilità dirigenziale per mancato raggiungimento degli obiettivi. È un professore universitario, cui è stato attribuito dai componenti dello stesso dipartimento, per un arco temporale limitato, l’incarico di coordinare e gestire le attività connesse al- la didattica e alla ricerca, che non a caso l’art. 15, c. 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 esclude dal novero delle attribuzioni della dirigenza amministrativa.

Quanto affermato trova conforto anche in una circolare del diparti- mento della Funzione Pubblica, che non ha affrontato la specifica que- stione, ma ha sostenuto che con la locuzione «qualifica dirigenziale», uti- lizzata dall’art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, si intendono tutti i sog- getti che, anche se solo a tempo determinato e non appartenenti ai ruo- li della pubblica amministrazione (come i dirigenti «esterni» ex art. 19, c. 6, del d.lgs. n. 165), siano formalmente investiti della qualifica attraver- so l’attribuzione di un incarico dirigenziale (12).

Il riconoscimento in capo a docenti universitari della potestà discipli- nare nei confronti del personale tecnico amministrativo, come avvenuto in taluni atenei, rappresenterebbe, ad avviso di chi scrive, una violazione del principio di distinzione tra attività politica e attività di gestione, non- ché degli artt. 19 ss. del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto a una catego- ria non contrattualizzata risultano attribuite funzioni dirigenziali.

Riferimenti bibliografici

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decreto Brunetta, in LPA, n. 5, I, 759 ss.

Viola L. (2010), Il procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la riforma

SOMMARIO: PARTEI. 1. Uguaglianza e non discriminazione come valori, princìpi e di-

ritti fondamentali dell’Unione europea. Ricognizione delle fonti. — 2. Il principio di parità tra donne e uomini nel diritto primario e derivato. Dalla non discrimina- zione salariale alla parità di genere. — 2.1. Dai trattati delle origini al Trattato di Nizza. — 2.2. Parità tra donne e uomini e parità di genere nel Trattato di Lisbona, nella Carta di Nizza e nel diritto derivato. — 3. Non discriminazione e uguaglian- za nella Carta di Nizza. In particolare: il diritto di sposarsi e di costituire una fami- glia; il divieto di qualsiasi discriminazione; la tutela della famiglia e la conciliazione di vita familiare e vita professionale. Verso le «differenze indifferenti». — 4. Non di- scriminazione e uguaglianza come princìpi e «politiche» dell’Unione. I diversi am- biti e gradi di tutela. Limiti all’estensione della tutela antidiscriminatoria a fattispe- cie non «nominate» nel Trattato e nel diritto derivato. Tecnica redazionale e ruolo integrativo della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Principio di uguaglianza e giudizio antidiscriminatorio. — 5. «Oltre il giardino» delle discriminazioni in base alla nazionalità e al genere. Il divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo par- ziale e a tempo determinato, e lavoratori «comparabili» a tempo pieno e a tempo indeterminato.

SOMMARIO: PARTEII. 6. La legislazione antidiscriminatoria dell’anno duemila (diret- tive 2000/43 e 2000/78). Gerarchia delle tutele e separazione degli ambiti di effi- cacia. — 7. Divieto di discriminazioni a motivo della «razza» o dell’origine etnica (Dir. n. 200/43). Onere della prova. Tutela contro ritorsioni. Sanzioni. Assenza di una vittima e/o di un denunciante identificabile: irrilevanza. — 8. Divieto di di- scriminazioni nelle condizioni di lavoro e nell’occupazione (Dir. n. 2000/78). Il contributo della giurisprudenza della Corte di Giustizia sul divieto di discrimina- zioni basate su: orientamento sessuale, disabilità, età.

1. — Uguaglianza e non discriminazione come valori, princìpi e diritti fondamentali dell’Unione europea. Ricognizione delle fonti —

1.1. — Le fonti dell’Unione europea (di seguito Ue) in tema di ugua- glianza, parità e non discriminazione costituiscono un insieme di norme di