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Paola Antonia fu anche la promotrice diretta dell'espansione dell'ordine dei barnabiti in Veneto: l'occasione di tale espansione fu data dall'invito presso Vicenza del vicario vescovile rivolto alla monaca, alla Torelli e allo Zaccaria nel 1537; essi furono chiamati per avviare e guidare la riforma del monastero di San Silvestro e quello delle “convertite”. Tale operazione ebbe grande successo e la Negri avviò negli anni successivi numerose iniziative analoghe (a Verona nel 1542, a Padova e Venezia nel 1544, e a Ferrara e Cremona nel 1547- 49)105. La rapida espansione dell'ordine di barnabiti e angeliche conferma da un lato l'effettivo potere carismatico della Negri, che personalmente si adoperava alla diffusione delle dottrine di Battista da Crema (e del proprio culto personale), e dall'altro ci informa

104 Massimo Firpo, Paola Antonia Negri, monaca angelica, p. 51-52

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sul fatto che la radicalità della soluzione di vita dei barnabiti si poneva come una risposta ben accetta alle inquietudini spirituali e all'esigenza di rinnovamento morale e dottrinale e forse soprattutto gerarchico che percorrono la prima metà del Cinquecento.

È importante sottolineare come l’espansione dei barnabiti verso il Veneto e nella Repubblica di Venezia ebbe delle caratteristiche peculiari rispetto a quella di altri ordini religiosi (somaschi, teatini, gesuiti) che nel ‘500 si diffondevano presso le varie realtà cittadine della penisola, costituendo la struttura portante di quella che sarà definita “Riforma italiana”. In primo luogo, la predicazione dei barnabiti non coinvolgeva degli emissari tra i nuovi discepoli appena giunti presso l’ordine, ma vedeva protagoniste le più rilevanti personalità della congregazione: lo Zaccaria a Vicenza (fino alla morte), e poi figure come la stessa Negri, la Torelli, il Besozzi e il Ferrari, tutti coinvolti in prima persona in un’attività di predicazione che non aveva come scopo la fondazione di nuovi monasteri, e apparentemente si occupava di predicazioni atte a combattere il diffondersi dell’eresia, la riforma di ordini femminili che avevano perso credibilità e rigore (come a Vicenza e Verona), l’assistenza a ospedaletti che si occupavano di orfani ed incurabili. Tuttavia, compiendo un’analisi più approfondita, emerge una caratteristica peculiare alla predicazione dei primi barnabiti, ossia la loro capacità di entrare in contatto con le classi dirigenti cittadine e coinvolgere all’interno della propria sfera di influenza spirituale esponenti delle nobili e ricche famiglie dei centri presso cui si trovavano ad operare; di questo vi è anche testimonianza (quasi diretta) nell’opera della Sfondrati:

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Con profitto mirabile di de’ nobili della città dell’uno e l’altro sesso che s’accostarono a loro et facevano il più della lor vita tra loro con frequenza dei santissimi sacramenti, disprezzo delle vanità e rinovatione delle lor famiglie, facendo insieme ridutti spirituali molto utili, spendendosi con opere pie di grande edificatione a quella città assai rilassata, e finalmente incamminando le loro figlie a cose spirituali in tal fervore, che molte vennero qui e si son fatte religiose in questa casa.106

Chiarificatrice a tal proposito ci sembra l’analisi di Elena Bonora:

Le spinte verso l’espansione che condussero le due congregazioni fuori dalla città ambrosiana non paiono dunque esaurirsi in un’azione assistenziale e di riforma disciplinare: carità e misericordia, da questo punto di vista, rappresentavano solo gli strumenti di una proposta di perfezione cristiana i cui principali destinatari erano i membri dei patriziati cittadini. La diffusione verso il Veneto dei piccoli gruppi di chierici e di angeliche che si appoggiavano a istituzioni laiche o ecclesiastiche preesistenti, impegnandosi nell’aiuto dei «miserabili» e nella riforma dei monasteri, era in realtà indirizzata ad un intenso e consapevole apostolato che rappresentava lo scopo vero e principale della loro presenza lontano da Milano. Non nella veste di benefattori né in quella di educatori si presentavano gli sparuti drappelli di sacerdoti e monache guidati dalla Negri, dalla Torelli o dalla Sfondrati: è piuttosto sul terreno

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dell’ecclesiologia che andrebbero cercate le motivazioni della loro presenza tra i laici di quelle città.107

E ancora, più avanti:

Il fatto che l’incontro tra quei religiosi forestieri e i laici devoti veneziani fosse legato a un’istituzione in cui si raccoglievano malati, orfani e fanciulle indigenti, ci pare poco più di una mera cornice per un fenomeno il cui significato e fondamento stava altrove, non nei caratteri dell’azione assistenziali di quei pii sacerdoti e monache milanesi, ma nel profondo fascino che la loro proposta religiosa e la donna carismatica cui questa faceva capo seppero esercitare verso gli alti strati del laicato. Nelle lettere della Negri dirette ai patrizi e cittadini veneziani che pure ne erano deputati e governatori, dei «derelitti» dell’ospedale non si faceva quasi menzione.108

Nel caso specifico di Venezia, infatti, la presenza dei barnabiti era legata, ufficialmente, all’accudimento degli sfortunati pazienti dell’Ospedale degli Incurabili e di quello della Pietà, e soprattutto di quello dei Derelitti (detto “l’Ospedaletto”): esse erano istituzioni poste sotto il diretto controllo delle autorità statali, la cui gestione veniva affidata ai patrizi cittadini e alle figure più rilevanti della scena politica ed economica veneziana, com’è riscontrabile dal Libro delle

parti, il manoscritto che riporta le decisioni e i nomi dei deputati laici gestori

dell’Ospedaletto dal 1546 al 1603; fu attraverso queste istituzioni che la

107 Elena Bonora, I conflitti della Contoriforma, p. 379.

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predicazione barnabitica, mediata dal carisma della Negri, raggiunse e si radicò presso le fasce più alte della società veneziana.