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Laddove il garbage market trova sede, in quegli stessi spazi interstiziali spesso scartati dalle consuetudini pianificate

Nel documento NYC: un diario della spazzatura (pagine 60-64)

della città, dove però di realizza una complessa e molteplice

convivenza, esso rivela inoltre un’occasione, un luogo che

attende una visione ed una tensione proiettiva che ne ribalti

l’esclusione

in una lingua comune alle diverse di origine, un odore pervasivo di mercato e spazzatura. Mentre i contesti cambiano, la presenza del garbage resta, così come la stessa evoluzione di un ciclo di venditori ed acquirenti che si è sofisticato in tempi brevissimi.

Organizzati dapprima dalle comunità rom per la rivendita dei vestiti scoperti nei cassonetti e ancora buoni per l’uso – con filiera diretta senza fasi di ri-pulizia, trattandosi di merci de- stinate prevalentemente alla stessa comunità – i garbage market hanno presto conquistato una clientela diversa: da chi compra a pezzi migliori per rassettare e rimettere i capi e i pezzi

nel mercato dell’usato alla moda, come pezzi vintage e/o di moder- nariato, ai sempre più frequenti cittadini che, spinti dalla curiosità o dalle difficoltà economiche, cercano un pezzo a pochi euro per il proprio guardaroba.

Sono atmosfere sono diventate l’oggetto di un emergente case study compativo aperto. I garbage market sono infatti ormai una presenza ricorrente nelle diverse traiettorie urbane quotidiane, che, pur senza averli come obiettivo esplicito, li intersecano come campi di una fenomenica field observation1 che

ha molto da raccontare sulla città, sull’informalità, sui consumi, sulla necessità, sull’esistenza di un luogo intermedio, su una pratica.

Poeticamente, come ci ha raccontato John Scalan a proposito delle cose (e delle idee) che scartiamo in On Gabage (2005), nella nostra spazzatura si sedimenta la nostra storia, la nostra memoria, la nostra visione del mondo. Un luogo di discarica, letto nella sezione degli strati accumulati, rivela l’archeologia di una società e contiene una bellezza che rimanda a quella rivelazione potente della discarica narrata da Don De Lillo in Underworld (1997). Una lettura sofisticata dell’immondizia ci permette di rileggere rifiuti e sprechi nella vita di uomini e città come indicatori di questioni complesse, come ha fatto Kevin Lynch in Wasting Away (1990). Ma per i garbage market non c’è narrativa che poetizzi l’accumulo del marginale, il quale pure si esprime in una geografia multietnica e in una presenza evidente. In essi non c’è nulla della brocante parigina o del mercato di delle pulci di Resina o Porta Portese. Qui lo scarto con le atmosfere da mercatino vintage si misura con l’aria che si respira (tutt’altro che metaforicamente).

Alle comunità che imbastiscono i garbage market non si concede la poesia del recupero di quei mestieri che da sempre hanno praticato il riciclo “porta a porta” nelle nostra città, come il saponaro o lo stagnino. Quello del garbage market è giudicato senza indugi come un riciclaggio “scorretto”, non a caso praticato da comunità prevalentemente rom. Non solo esso muoverebbe da una “appropriazione indebita” della spazzatura, ma salterebbe anche quella fase di purificazione (fisica e simbolica, inquadrata in catene di montaggio più riconoscibili e riconosciute). La valutazione che se ne dà è perciò profondamente diversa da quella del recupero dei vestiti per un commercio di usato – di tipo o vintage o assistenziale. Il giudizio formulato sulle pagine delle cronache locali così come nelle indagini video-

1 Il caso napoletano è oggetto di una osservazione che ha preso una forma strutturata dal 2005, con un primo racconto presentato con l’intervento “Sharing spaces in contemporary city: the case of the Eastern district of Naples” (di L. Basco & C. Mattiucci) alla conferenza Everyday Life in the Segmented City (Firenze, 22-25 luglio 2010).

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amatoriali2 resta – quantomeno nei contesti italiani – sempre tranchant in modo populistico.

Pregiudizi atavici contro le comunità rom e i loro garbage market impediscono di vedere quanto queste attività siano parte della vita di tutta la città. Come è evidente, infatti, queste prassi definiscono un mondo che non è frequentato solo da comunità marginali, ma che anzi rivela beffardamente un cortocircuito nella tensione consumistica ordinaria e diffusa, quando si constata che in molti casi sono gli stessi cittadini-consumatori a comprare – pur se per cifre irrisorie – quello che in precedenza avevano buttato via.

Negli spazi ove si auto-costruiscono i garbage market, la città trova occasione per attività parallele e sovrapposte a quelle previste che, seppur momentanee, sono così ricorrenti di strutturare un tempo. Del resto, ogni spazio pubblico ha il proprio ritmo d’uso e di regola- zione che, a seconda del contesto, rivela diverse possibilità di aggregazioni spazio-temporali3.

Oltre alla dimensione fenomenica e temporanea, oltre le peculiarità della vita interstiziale e multietnicamente promiscua che li animano, i garbage market sono una presenza via via più consolidata nel paesaggio urbano, che struttura una pratica d’uso e pone e rinnova alcuni interrogativi aperti sulla città. Una delle questioni insiste nel dualismo riconoscibile anche nei contesti metropolitani europei tra una città informale che pulsa e si rivela con la sua ordinarietà sullo scarto (in senso molteplice) della città formale.

Il garbage market individua un luogo che, seppur senza volerlo caricare di retorica poetica, è misura di necessità che sono sottese e di modelli più o meno consapevoli di riciclo dei beni. Laddove il garbage market trova sede, in quegli stessi spazi interstiziali spesso scartati dalle consuetudini pianificate della città, dove però di realizza una complessa e molteplice con- vivenza, esso rivela inoltre un’occasione, un luogo che attende una visione ed una tensione proiettiva che ne ribalti l’esclusione.

2 Due esempi: Roma (http://www.youtube.com/watch?v=LagoLrzdEqg) e Napoli (http://www.youtube.com/ watch?v=ikTgzQQcZ_4).

3 Come le situated multiplicity and social practices descritte da Ash Amin (2008) in “Collective culture and urban public space”, City 12(1), pp. 5-24.

lo Squaderno 28 Garbage and Wastes

edited by // Andrea Mubi Brighenti & Federico Rahola Guest Artist // goldiechiari

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lo Squaderno is a project by Cristina Mattiucci, Andrea Mubi Brighenti and Andreas Fernandez

helped and supported by Mariasole Ariot, Paul Blokker and Giusi Campisi.

La rivista è disponibile / online at www.losquaderno.professionaldreamers.net. // Se avete commenti, proposte o suggerimenti, scriveteci a / please send you feedback to losquaderno@professionaldreamers.net

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Lo s uader-

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In the next issue: Commons – practices, boundaries and thresholds

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