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A. Latino parlato colto 1. Oratoria (discorso)

3. Colloquiale (idioletti) II. Latino scritto

1.2. Latino e illitterati

Ci limiteremo al solo pubblico che non aveva accesso alla tradizione scritta se non per mezzo della comunicazione orale, cioè alla grande massa degli

illittera-ti, una categoria di locutori che conosceva solamente la lingua materna,

eredita-ta dall’infanzia6: il presente capitolo cercherà appunto di riunire, nell’ambito che dobbiamo esplorare, tutte le informazioni che Isidoro fornisce su questo strato so-ciale. In questa sede sarà sufficiente limitarsi al Sivigliano: la sua opera scritta è di una ampiezza e di un valore ineguagliati nella storia dell’Alto Medioevo spagnolo7. Dall’analisi di tutte le testimonianze isidoriane che ci siamo sforzati di riunire po-tremo quindi ricavare una risposta complessiva e precisa al problema che ci siamo posti: avremo quindi una solida base per individuare, da queste conclusioni, una visione d’insieme sullo spazio e sul tempo dei Visigoti in Spagna.

Per fissare un primo elemento, formuleremo la seguente domanda: i

predi-5 Fontaine 1972, 187: «Tenendo presente che la decomposizione accelerata del latino parlato nella Spagna del VII secolo è attestata in maniera evidente dagli straordinari graf-fiti delle ardesie visigotiche, siamo in grado di comprendere meglio l’importanza di questo proposito di Isidoro. Ha forse intravisto che i ministri della parola di Dio potevano essere i migliori difensori della correttezza del latino di Spagna, in un tempo in cui la predicazione era l’unico mass medium e il vescovo l’autentico successore dell’orator antico?».

6 Su questi concetti cf. supra cap. I.

7 Su questi aspetti rinviamo a Fontaine 1983c, alla vecchia presentazione di Pérez de Ur-bel 1956, 451-469 e ai lavori di Diesner 1973 e 1977 e di Díaz y Díaz 1982.

catori letterati come Isidoro di Siviglia venivano compresi dalla grande massa del pubblico analfabeta quando si rivolgevano ad essa? E lo stesso valeva per la lettura ad alta voce dei testi sacri durante le funzioni liturgiche? E quale era il grado di com-prensione? Rovesciando la domanda per considerare il rapporto dal punto di vista opposto, possiamo chiederci: Isidoro di Siviglia ha stabilito, se non un dialogo, al-meno un contatto con la grande massa degli illitterati? Era aperto al problema della comunicazione o si è chiuso all’interno del proprio universo linguistico e culturale?

1.3. Presenza del pubblico analfabeta

La ricerca è resa possibile dalla presenza costante di questo pubblico analfabeta – o semi-alfabeta – nell’opera di Isidoro. Il Sivigliano lo nomina spesso e in modo sufficientemente vario da ricavarne l’impressione che egli cerchi di individuare una realtà concreta8; lo stesso vale per la lingua idonea alla comunicazione con questi fedeli. La varietà delle denominazioni e la loro precisione sono un indizio molto positivo; il linguaggio adattato al popolo comune ha spesso una puntuale denominazione da parte di Isidoro9. Queste prime indicazioni sono tuttavia an-cora piuttosto limitate e troppo generiche per permettere di fornire delle risposte precise alle domande che abbiamo posto all’inizio del capitolo: semmai, bisogna cercare di stabilire con precisione come il vescovo assicurasse il realizzarsi della comunicazione verticale. Chi sono quelli che lui chiama humiles, imperiti e

sim-plices? Qual è lo statuto specifico del registro linguistico che egli chiama plebeius sermo, apertus sermo, humile eloquium? E tornando alle incertezze che abbiamo

8 Ecco in ordine alfabetico la lista delle denominazioni impiegate dal Sivigliano:

fide-les (sent. III 18,1, p. 247, 2 [PL LXXXIII 693C]); humifide-les (sent. I 18,3, p. 62, 10s. [576B]); indocti et inperiti (sent. III 35,1a, p. 275, 3 [707A]); infirmi (sent. I 18,4, p. 62, 12 [576B]); parvuli (sensu) (sent. I 18,4, p. 62, 12 [576B]); plebs (sent. III 46,9, p. 292, 50 [715D]; eccl. off. II 11,1,6 [791A]); populus (eccl. off. I 16,1,1 [753C]; epist. I 4 [895B]; orig. VII 12,24); rudes (sent. III 43,4b, p. 285, 17 [712A]); rustici (reg. monach. 4, 91, p. 95 Campos Ruiz -

Roca Melia [872A]; orig. XV 12,2; XV 15,5); simplices (sent. I 18,3, p. 62, 7 [576B]; synon. II 68, 748 [861B]); quidam [...] tarditate sensus praepediuntur (sent. III 9,5, p. 232, 28s. [681B]); vulgus (eccl. off. I 28[27],2,16 [763C]; orig. VI 8,2; XI 1,57; XIX 22,28; XIX 31,4).

9 In ordine alfabetico, ecco le denominazioni usate da Isidoro: apertus sermo (vir. ill. 13,15 [PL LXXXIII 1090B]; aperta oratio (expos. in gen., praef. 3 [208B]); humile eloquum (sent. III 13,2, p. 236, 9 [685A]); (scriptura) humilis (verbis) (sent. I 18,4, p. 62, 7 [576B]);

eloquia incompta (verbis) (sent. III 13,3-4, p. 236, 15s. [686A]); mixta lingua (orig. IX 1,7); plana atque communia (sent. III 43,4b, p. 285, 17s. [712B]); plebeius sermo (reg. monach., praef. 7, p. 90 [867D]); rusticus sermo (reg. monach., praef. 7, p. 90 [867D]); simplex sermo

(sent. III 13,7, p. 237, 35 [687B]). Sulla lingua parlata nella Spagna premedievale si veda la presentazione generale di Díaz y Díaz 1960.

esposto a proposito della lingua delle ardesie, la lingua parlata popolare del VII secolo in Spagna era adatta a mantenere la comunicazione fra lo scritto e l’orale?

Abbiamo articolato la nostra indagine sui documenti isidoriani in quattro mo-menti successivi. Ci si dovrà in effetti domandare prima quale sia il grado di va-lidità della testimonianza portata dall’opera di Isidoro; poi quale ruolo abbia gio-cato la lingua latina tradizionale nell’istruzione dei fedeli; poi ancora quale scelta ha fatto il vescovo per quel che riguarda la lingua destinata alla massa di costoro; infine quale era lo statuto del latino e della lingua parlata popolare in Spagna ai tempi di Isidoro.

2. Attendibilità della testimonianza isidoriana

Prima di tutto, possiamo accordare una fiducia sufficiente alla testimonianza di Isidoro di Siviglia? Molte interferenze potevano impedire al vescovo di acquisire una conoscenza sufficientemente obiettiva e chiara della realtà linguistica. L’in-fluenza della tradizione tanto letteraria quanto religiosa, la mancanza di contatti del popolino con i fedeli, il gusto personale per forme tipiche della cultura aristocratica, l’ambizione eccessiva del purismo linguistico costituivano altrettanti ostacoli vir-tuali a una visione chiara dei fatti di lingua contemporanei. Nello specifico, nessu-na di queste difficoltà è stata insormontabile. Isidoro di Siviglia ha saputo prestare ascolto ai suoi tempi in misura di certo sufficiente al nostro scopo.

2.1. Peso della tradizione?

Il tradizionalismo linguistico di area spagnola potrebbe avere alterato la perce-zione della realtà da parte di Isidoro? Il problema del peso effettivamente esercita-to dalla tradizione antica sugli auesercita-tori dell’Alesercita-to Medioevo è particolarmente acuesercita-to nel caso della Spagna. Di fatto, oltre alle aree di tensione che abbiamo rilevato in tutti gli autori dell’Occidente latino e oltre alle correnti conservatrici che permea-no questi paesi in tutti gli ambiti (aree e correnti che toccapermea-no naturalmente anche la Spagna), la Penisola Iberica è sempre stata ricordata per il suo tradizionalismo10. La Spagna antica si è sforzata di restare fedele al suo passato11; la Spagna visigotica non viene meno a questa tendenza. In confronto alle altre nazioni della Romania

10 Su questi fattori di inerzia cf. supra cap. I, p. 34 e p. 93, e infra cap. 477-478, rispettiva-mente su Gregorio Magno, Agostino e Alcuino. Nei casi dei martiri Eulogio e Alvaro di Cor-dova hanno prevalso, a livello della comunicazione, le forze di inerzia (cf. infra cap. VIII).

occidentale spicca nettamente il suo conservatorismo ‘romano’ di cui possono es-sere sottolineate alcune componenti fondamentali12.

Il latino di Spagna si caratterizza in primo luogo per una certa tendenza all’ar-caismo, dovuta forse all’antichità della latinizzazione (II sec. a.C.)13. L’antica cul-tura scolastica vi resta molto a lungo e favorisce l’attaccamento degli scrittori all’e-spressione latina tradizionale14. La chiesa visigotica mantiene contatti stretti con il papato15. Il diritto e il sistema istituzionale romani cedono il passo solo lentamente e gradualmente a un diritto e a istituzioni di tipo strettamente germanico e poi prefeudale16. L’ideologia ispano-gotica resta impregnata dei retaggi imperiali17. L’architettura dei secoli VI e VII si distacca appena dalle forme e dalle tecniche romane18. I monumenti e le strade romane si conservano e continuano a essere usati19. Questa permanenza della tradizione romana esercita una certa influenza sul Sivigliano: un’influenza che può avere modificato il suo modo di percepire la realtà. Isidoro eredita a tal punto questo tradizionalismo da affermare lui stesso il desiderio di partecipare alla renovatio imperii: ciò implica necessariamente un certo ritorno alle fonti antiche: una rinascita presuppone un rinnovato interesse per gli antichi valori20. Perciò, quando incontriamo alcuni termini propri della co-municazione verticale come humile eloquium o rusticus sermo, dobbiamo doman-darci se il giudizio di Isidoro non fosse stato offuscato dal peso della tradizione e se il Sivigliano non si riferisse al mondo che lo circondava, ma a un passato da cui era ossessionato.

Per entrare più nello specifico, è importante rilevare che Isidoro ha redatto le sue raccomandazioni sull’ortografia basandosi interamente sulle fonti antiche, senza cercare di richiamarsi alla lingua parlata contemporanea21; il vescovo ha

12 Sulle sopravvivenze dell’antichità nella Spagna gotica cf. in particolare la posizione di Fontaine 1983c, 807-809, 832-833, 867-869, 887 etc. e Fontaine 1973; vd. inoltre Teillet 1984 e soprattutto Gonzálvez Ruiz 1981.

13 Su questi caratteri Meyer-Lübke 1920, 18; [E.]Löfstedt 1959, 51 [=1980, 64]; Baldin-ger 1972, cap. 3.

14 Riché 1962, 291-310 e 401-405 [=1966, 194-204 e 287-290]. Si troverà una presenta-zione originale e completa di questa situapresenta-zione culturale nell’introdupresenta-zione che Díaz y Díaz ha steso per l’edizione delle Etymologiae di Oroz Reta - Marcos Casquero 1982, 37ss. e 70ss.

15 Lacarra 1959, 362ss.

16 Sánchez-Albornoz 1961, 128-199 e 217-237.

17 Menéndez Pidal 1940-1956, III, 212ss.; Pérez Pujol 1896, 178ss.

18 D’Abadal i de Vinyals 1958, 560; Fontaine 1973-1977, I, 385.

19 Menéndez Pidal 1940-1956, III, 101-115.

20 Fontaine 1983c, 9-10; 808-809, 867-868.

quindi consultato le grammatiche scritte nei giorni belli – o nei giorni ultimi – dell’Impero e non le ha sostanzialmente modificate. Ciò significa che egli avrebbe potuto considerare, avvicinare e affrontare la grande massa dei fedeli solo attra-verso una tradizione ormai obsoleta?

2.2. Innovazioni

È possibile formulare questo tipo di domanda in una maniera più equilibrata e rispettosa delle effettive condizioni della vita culturale dell’Alto Medioevo22. Prima di tutto non si può rimproverare agli autori di essere rimasti schiacciati sotto il peso della tradizione, se non nella misura in cui si dimostri che questa non corri-spondesse più a nulla di vitale fra il V e l’VIII secolo. Non c’è ragione di modificare questo assunto nel caso della Spagna visigotica: il mantenimento di un’attitudine fedele alle lezioni del passato non è necessariamente un segno di totale disallinea-mento rispetto al presente; semmai potrebbe significare che questo passato, anche se in via di sparizione, non è interamente finito. È inoltre esagerato affermare che il Sivigliano non sappia fare la sua parte se non guardando al passato, per quanto la realtà a lui contemporanea giustifichi, in qualche misura, un simile atteggiamen-to. E tuttavia Isidoro non riproduce in modo meccanico la tradizione, non più di quanto necessariamente irrigidisca le sue scelte in direzione rigorista23.

2.3. In musica

Isidoro tende a distaccarsi il più possibile dalle classificazioni musicali eredita-te dall’antichità, ormai poco adateredita-te all’evoluzione della musica viva, eseguita nel suo tempo. Pur rispettando con esattezza la classificazione cassiodorea della musi-ca, eredità della lirica gremusi-ca, il vescovo se ne libera «giustapponendole una seconda classificazione che regola effettivamente tutta la composizione del trattato», cioè utilizzando la suddivisione di Agostino24. Isidoro lascia quindi un posto neutro a quello che, in seno alla tradizione, costituisce una parte ormai obsoleta; nel-lo stesso tempo egli prova a dare una rappresentazione concreta del vocabolario

22 Rinviamo al cap. I del presente lavoro e alla discussione su Gregorio Magno (cap. III).

23 Si veda come, in una prospettiva decisamente benedettina, cerca di tracciare una via mediana fra un lusso discutibile e un denudamento sconveniente nell’abito dei monaci: De

habitu monachorum […] sicut autem non oportet in monachis esse notabilis habitus ita nec satis abiectus. Nam pretiosa vestis animum ad lasciviam pertrahit, nimis vilis aut dolorem cordis parit, aut morbum vanegloriae contrahit (reg. monach. 12, 309-314, p. 109 Campos

Ruiz - Roca Melia [=PL LXXXIII 881C]).

musicale e, per riuscirvi, non teme di interessarsi alle effettive manifestazioni di quest’arte25. Il Sivigliano si sforza, talvolta con goffaggine, di sfuggire al peso della tradizione e di innovare per adattarsi alla realtà vissuta.

2.4. In politica

Ogni pagina (o quasi) dell’opera di Isidoro porta il segno di un’ammirazione rispettosa verso la tradizione imperiale romana e la sua grandezza. Questa ammi-razione, tuttavia, non gli impedisce di essere attento alle realtà politiche contem-poranee. Nel suo elogio della Spagna, Isidoro esalta in termini tradizionali quel fenomeno nuovo che è il nazionalismo ispano-gotico26; egli scrive anzi un vero e proprio poemetto in prosa in cui le reminiscenze letterarie e i procedimenti reto-rici rafforzano un lirismo sicuro delle proprie fondamenta27. L’affetto del vescovo per il suo paese è fondato solo su considerazioni morali: presenta infatti l’immagi-ne calorosa di una terra materna di cui celebra la fecondità28. Questa celebrazione, in cui si mescolano l’orgoglio liberato e l’affetto premuroso, si apre e si chiude sul ruolo storicamente rigeneratore del popolo gotico29. Isidoro ha saputo smettere di

25 Fontaine 1983c, 440. Si vedano anche le appendici, III, p. 1092-1093, dove si pone la questione della notazione neumatica al tempo di Isidoro. Sul problema controverso di queste innovazioni cf. anche Huglo 1987.

26 Isid. Goth. 1 (prol.) chron. II (MHG XI, II, p. 267, 1-25 Mommsen). Qui si fa rife-rimento alle importanti analisi di questi testi condotte da Reydellet 1981, 510ss.; troppo perentorie, invece, le conclusioni di Díaz y Díaz (in Oroz Reta - Marcos Casquero 1982, 256) sull’incapacità di Isidoro di percepire le carenze della soluzione gotica.

27 Fontaine 1983c, 816-818; 1162-1163.

28 Isidoro ha contrapposto le ricchezze della Spagna a quelle dell’Italia, come Virgilio aveva contrapposto le ricchezze dell’Italia a quelle dell’Oriente; l’elogio isidoriano è dun-que organizzato in modo da essere una ripresa in contrappunto della laus virgiliana: hinc,

albi, Clitumne, greges et maxima taurus / victima, saepe tuo perfusi flumine sacro, / Roma-nos ad templa deum duxere triumphos (georg. II 146-148); replica isidoriana: tibi cedet […] Clitumnus armentis, quanquam […] ingentes Clitumnus iuvencos Capitolinis olim immo-laverit victimis (Goth. 1 chron. II, p. 267, 13s.). Come il suo lontano predecessore, Isidoro

si rivolge a uomini e a tempi politici nuovi: il suo lirismo, forse più eccentrico di quello del poeta, rivela la sua fiducia e una certa felicità.

29 Su questo aspetto ideologico cf. Teillet 1984, 463-501. Se l’ammirazione di Isidoro per il popolo gotico è ben dimostrata da questo studio, ci sembra che il carattere anti-romano di questa adesione sia troppo denunciato. I testi invocati (Chronica, De origine

Gothorum) non sono verosimilmente così critici verso l’antichità romana; e soprattutto, il

pensiero storico di Isidoro, analizzato in rapporto alla sua opera complessiva, assume un aspetto meno parziale.

vedere gli invasori del V secolo come degli occupanti, per riconoscere in loro, in opposizione all’Impero Romano d’Oriente, i veri eredi dell’Impero. Questo Elogio

della Spagna è insomma un manifesto politico, tramite il quale Isidoro afferma la

sua adesione a un aspetto importante del mondo nuovo. L’originalità di questa scelta risalterà meglio nel contesto storico del VII secolo.

Certo, l’anno 476 è già molto lontano, ma l’idea della tradizione imperiale re-sta nella memoria30, tanto più che il 476 è una data che noi prendiamo oggi (e a torto) come riferimento: essa non significava niente di definitivo per un letterato dell’Alto Medioevo come Isidoro, il quale infatti non vi fa alcuna allusione (e que-sto silenzio è significativo). Del reque-sto egli non può ignorare l’effettiva situazione politica e militare del tempo: il bacino del Mediterraneo è ancora ampiamente nella sfera d’influenza dell’Impero Romano d’Oriente. Cartagine e l’Africa sono, in questo senso, ‘romane’31; l’Italia viene persa dall’Impero solo gradualmente32; la Gallia mantiene relazioni più strette di quanto si sia a volte sostenuto33; la Spagna è stata costretta a cedere all’Impero una parte importante delle sue coste34; infine, l’abbandono di una ‘prospettiva occidentale’ da parte degli imperatori bizantini

30 Folz 1953, 18. Su questo contesto storico e ideologico cf. Teillet 1984.

31 La riconquista è cominciata nel 533, la pacificazione è conclusa nel 539; negli anni 579-591 l’esarca d’Africa Gennadio respinge un attacco dei Mauri e riorganizza la provin-cia (Bréhier 1947-1950, I, 34 e 49 [=1995, 33 e 45]). Inoltre, dopo avere perso l’Egitto tra 617 e 619, l’Impero lo recupera nel 629, grazie alle campagne di Eraclio (ibid. 54 e 56 [=50 e 52). La successione di queste date (579, 590, 617, 629), cadenzate nell’arco di tutta la vita di Isidoro, dimostra che dall’Oriente - non dimentichiamo che suo fratello Leandro sog-giornò a Costantinopoli - giungevano notizie nel complesso degne del passato imperiale.

32 Dopo l’invasione longobarda del 568 gli esarcati danno all’autorità imperiale la capa-cità di esercitare una presenza e una pressione permanenti. Nel 586 ha luogo una controf-fensiva parziale dell’impero (Musset 1965, I, 142-145).

33 Bréhier 1947-1950, I, 48-50 [=1995, 45-46] e Goubert 1956.

34 A partire dal 554 i Romani d’Oriente intraprendono la riconquista della Spagna. Questa campagna è stata importante non solo per la sua ampiezza geografica, ma soprat-tutto per le sue conseguenze psicologiche (cf. M.T.López in Menéndez Pidal 1940-1956, III, 96). Siviglia era al confine dei territori che passarono sotto la dominazione bizantina. Atanagildo (554-567) dovette riconquistarla con la forza. Bisogna attendere Sisebuto (612-621) perché la Spagna riprenda ai Bizantini la maggior parte dei loro possedimenti (ibid. 114-115); cf. Goubert 1944. Isidoro ha quindi vissuto la maggior parte del tempo in con-tatto diretto con la potenza bizantina (ma i bizantini si designavano essi stessi con il nome di ‘Romani’ conformemente alla tradizione giustinianea). Nulla indicava che la questione fosse regolata definitivamente nel 621. Costantinopoli, ancora padrona di una sottile linea costiera, poteva sempre recuperare le sue posizioni del 554, almeno secondo un osservato-re situato lontano dal centro del poteosservato-re.

avviene molto tempo dopo la morte di Giustiniano e pertanto dopo la scompar-sa dello stesso Isidoro35. L’adesione del Sivigliano al nazionalismo latino-ispano-visigotico non è dunque priva di significato36.

2.5. Annunci di Medioevo

Questa adesione, in definitiva, ben si integra con il comportamento generale tenuto da Isidoro lungo tutta la sua carriera: il Sivigliano si rivela infatti un ‘prelato medievale’ perfettamente inserito negli ingranaggi della vita politica, forte di «un prestigio eccezionale presso l’ordine temporale»37. Le prove di questa condizione sono numerose e sicure. Senza enfatizzarne gli aspetti di modernità, possiamo dire che l’opera di Isidoro è caratterizzata da un equilibrio delicato e sfaccettato fra il presente pre-medievale e il passato tardoantico. Non si tratta, quindi, di provare che il vescovo fosse interamente orientato verso l’avvenire, il nuovo e il vissuto: semmai basterà mostrare come egli fosse sufficientemente capace di aprirsi a que-sti elementi e che essi ebbero un loro posto nella sua intelligenza, nella sua opera e nel suo universo. Si darà allora per scontato che il Sivigliano abbia saputo prestare un’attenzione notevole al problema della comunicazione, specifico ma molto im-portante per la sua missione pastorale.

2.6. Situazioni in cui si trova il predicatore

Isidoro aveva un programma preciso in questo campo? Non si tratta di giu-dicare il Sivigliano per le sue intenzioni, ma può essere utile provare a dedurle dalle sue esigenze. In questo senso vediamo emergere alcuni tratti dominanti nel-le preoccupazioni pedagogiche del vescovo. Tre testi informano con precisione su questo punto. I primi due riguardano alcune situazioni concrete nelle quali si trova un predicatore. Uno elenca gli elementi ai quali si deve adattare il discor-so: deve rispettare «la materia, il luogo, il tempo e la persona dell’ascoltatore»38.

35 Il tramonto dell’Impero Romano universale si è prodotto dopo la morte di Eraclio (642) e la perdita definitiva dell’Egitto (639-642). Cf. Brehier 1947-1950, I, 60 [=1995, 56]; Lemerle 1965, 65 [=2004, 77]; Ostrogorsky 1963, 92ss., 105, 118ss. [=1968, 98, 111, 120ss.].

36 Cf. in particolare Diesner 1977, 32ss. Sull’ottimismo ragionato di Isidoro e le sue ca-pacità di adattamento cf. Reydellet 1970, 363-400 e il cap. della sua tesi dedicato a Isidoro, giustamente intitolato Tradition et nouveauté.

37 Fontaine 1983c, 808-809. Cf. anche Díaz y Díaz 1982, 106ss.

38 Isid. orig. II 16,1 De elocutione. Iam vero in elocutionibus illud uti oportebit, ut res,

locus, tempus, persona audientis efflagitat. Le origini antiche di questa regola (Aristot. rhet.

L’altro classifica i diversi generi di predicazione. Si può predicare in sette modi: «educando, persuadendo, rimproverando, convincendo, spaventando, calmando, promettendo». Bisogna «istruire i fedeli, persuadere gli individui, rimproverare gli orgogliosi, convincere gli oppositori, spaventare quelli che sono impressiona-bili, calmare gli irasciimpressiona-bili, promettere ai buoni e ai cattivi: ai cattivi i tormenti, ai buoni la vita eterna»39. Isidoro aveva perciò un programma completo, anche se le istruzioni che lo costituiscono sono presentate in ordine sparso in testi diversi il cui confronto si rivela istruttivo.

La formulazione del primo è molto simile a quella che abbiamo incontrato, una generazione prima, in Gregorio Magno. Isidoro ritorna così, con il Gregorio della

Regula pastoralis, a una visione antica e pragmatica dell’efficacia oratoria40. Ma egli non si limita a riprodurla: cosciente di queste necessità, la riformula in manie-ra particolare. Lo stesso accostamento fmanie-ra il Sivigliano e Gregorio è significativo. Gregorio Magno era molto attento ai problemi dell’eloquenza nella sua funzione mediatrice presso il popolo dei fedeli. Bisogna tuttavia riconoscere che, scrivendo queste righe delle Etimologie, Isidoro è sensibile al problema del decorum, ma la

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