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Lavoro a tempo determinato

Tavola 5 – Beneficiari di interventi di sostegno al reddito per area geografica e composizione per età e sesso – anno 1999

II.3. Flessibilità e sicurezza

II.3.5. Lavoro a tempo determinato

Il Governo non può che ribadire la valutazione positiva del negoziato attivato tra le parti sociali il 24 luglio 2000 ai fini della trasposizione della direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato. Nel merito del provvedimento, la nuova disciplina stabilisce i principi generali ed i requisiti minimi per la stipulazione di contratti a termine, semplificando a razionalizzando il quadro normativo e ponendo la legislazione italiana al livello di quella esistente negli altri paesi europei. Essa, infatti, intende contribuire al miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione e definendo un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dalla utilizzazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.

Sul piano del metodo il Governo sottolinea come si sia proceduto all’integrale recepimento dell’accordo raggiunto fra le parti sociali italiane, pur nel rispetto delle prerogative del Parlamento in cui si è svolto un dibattito che ha consentito di apportare alcuni miglioramenti al testo negoziato. Si tratta quindi di un’esperienza positiva in cui l’ esercizio del dialogo sociale si è saldato con l’ attività legislativa propria del Parlamento e, su delega di questo, del Governo. Infine, è opportuno sottolineare ancora che, in conformità allo spirito ed alla lettera della direttiva comunitaria, in ogni singolo contratto a termine devono dunque essere indicate le ragioni che, direttamente o indirettamente, consentono

l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro, nonché i casi nei quali non è invece ammesso il ricorso al contratto a termine. Si tratta di un sistema più semplice ma al tempo stesso più controllabile di quello preesistente, capace di realizzare un allargamento dell’ occupazione di buona qualità, cioè anzitutto regolare, provvedendo ad assicurare al lavoratore tutele non meno efficaci del regime precedente, visto che in caso di contenzioso incomberà pur sempre sul datore di lavoro l’onere della prova della giustificatezza dell’ assunzione a termine.

II.3.6. Lavoro a progetto

Le proposte discusse nel corso della passata legislatura con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative suscitano ad avviso del Governo profonde perplessità di metodo e di merito. E’ bene, infatti, non dimenticare che la cosiddetta parasubordinazione appartiene pur sempre all’area del lavoro autonomo e, almeno in certi casi, della auto-imprenditorialità (non si tratta quindi di un tertium genus, ibridamente collocato in una grigia zona di frontiera, intermedia fra lavoro autonomo e subordinato) e come tale deve essere trattata. Del resto le parti sociali si stanno esercitando in una prima fase negoziale che occorre seguire con interesse nel suo sviluppo, senza quindi precostituire in sede legislativa soluzioni che finirebbero per mortificare l’autonomia contrattuale. Sembra invece utile coltivare un’iniziativa legislativa limitatamente alla identificazione e regolazione di una fattispecie particolarmente diffuse, specialmente ma non esclusivamente nel terziario, comunque riconducibile all’ area dell’ art. 409, n.3, cod.proc.civ., e quindi introdurre una forma contrattuale denominabile “lavoro a progetto”. Il Governo ritiene infatti che sia necessario evitare l’utilizzazione delle “collaborazioni coordinate e continuative” in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, ricorrendo a questa tipologia contrattuale al fine di realizzare spazi anomali nella gestione flessibile delle risorse umane. Sarebbero riconducibili a questa tipologia i rapporti in base ai quali il lavoratore assume stabilmente, senza vincolo di subordinazione, l’incarico di eseguire, con lavoro prevalentemente od esclusivamente proprio, un progetto o un programma di lavoro, o una fase di esso, concordando direttamente con il committente le modalità di esecuzione, la durata, i criteri ed i tempi di corresponsione del compenso.

In sintesi, si tratta di conferire riconoscimento giuridico ad una tendenza che si è rivelata visibile con il passare degli anni, soprattutto in ragione della terziarizzazione dell’economia, quella appunto di lavorare e progetto. Si rintracciano sovente caratteristiche di coordinamento e continuità nella prestazione, ma pur sempre in un ambiente di autonomia organizzativa, circostanze che reclamano un’apposita configurazione. Il che non significa affatto propendere per un intervento legislativo “pesante”: al contrario la tipizzazione di questa forma contrattuale è finalizzata ad assicurare il conveniente esercizio dell’autonomia contrattuale delle parti. Ancorché si richieda la forma scritta, il compenso corrisposto dovrà essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni analoghe nel luogo di esecuzione del rapporto, salva la previsione di accordi economici collettivi.

La legge dovrebbe chiarire alcuni diritti fondamentali. Ad esempio, qualora il progetto o programma consista in un impegno orario personale superiore alle 24 ore settimanali, calcolate su una media annuale, il collaboratore dovrebbe aver diritto in ogni caso ad una pausa settimanale, di durata inferiore ad un giorno, nonché ad una pausa annuale, comunque di durata non inferiore a due settimane, secondo modalità concordate fra le parti. Tali pause non dovrebbero comportare alcuna corresponsione di compensi aggiuntivi. Analoghe garanzie dovrebbero essere previste in caso di malattia, gravidanza ed infortunio.

Sarà sufficiente in questa sede precisare ancora che, in omaggio alle caratteristiche fattuali connaturate a questi rapporti, la cessazione non potrà che avvenire al momento della realizzazione del programma o del progetto o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto, salva diversa volontà espressa dalle parti nel contratto scritto.

Il Governo intende, infine, sperimentare una procedura di certificazione al fine di ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro, consentendo quindi alle parti di procedere alla stipulazione di contratti a progetto diminuendo grandemente il rischio di contenzioso. La proposta è di delegare per legge il Governo ad emanare una disciplina in materia ispirata ai seguenti criteri e principi direttivi:

- carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione;

- individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti bilaterali costituiti ad iniziativa delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative, ovvero nella Direzione provinciale del lavoro;

- definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione;

- indicazione del contenuto e della procedura di certificazione;

- in caso di controversia sulla esatta qualificazione del rapporto di lavoro realizzato, valutazione da parte dell’autorità giudiziaria competente anche del comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione.

Al fine di evitare abusi o comunque utilizzazioni fraudolente di questa figura contrattuale innovativa, converrà stabilire per legge che i contratti di lavoro subordinato non possono essere convertiti in contratti di lavoro a progetto, salvo che le parti esperiscano la procedura di certificazione appena sunteggiata. Il Governo auspica di ricevere, in merito alla presente proposta, approfondimenti, osservazioni e commenti.

II.3.7. Lavoro in cooperativa

La recente riforma della disciplina giuridica del socio di una cooperativa di produzione e lavoro è un modello assai interessante, anzitutto sul piano del metodo. Il legislatore, travolgendo una giurisprudenza di legittimità acriticamente arroccata su posizione formaliste di chiusura, ora ammette che si possa stipulare un contratto di lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato od altre tipologie contrattuali entro cui collocare la prestazione del cooperatore di lavoro. Si supera dunque il principio del numerus clausus a favore di una

soluzione aperta che quasi arieggia la tradizione contrattuale anglosassone. Interessante è anche notare la possibilità di derogare ai minimi salariali contrattuali in caso di crisi aziendale o start-up di nuova imprenditorialità. Non solo ma si afferma che in caso di collaborazioni non occasionali (cioè coordinate e continuative) i compensi dovranno essere ragguagliati ai prezzi di mercato, senza interventi della contrattazione collettiva. Si tratta di innovazioni legislative importanti che vanno ben al di là dell’area del lavoro cooperativo.

Il Governo invita le parti sociali ad approfondire queste aperture metodologiche, assai interessanti per realizzare un’opera di complessiva modernizzazione del quadro regolatorio del mercato del lavoro.