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Le caratteristiche del primo presbiterio vario e impossibile

Lettera ai Sacerdoti, Religiosi e Diaconi

5. Le caratteristiche del primo presbiterio vario e impossibile

La compagnia che Gesù si era scelta non era il meglio che poteva trovare. Nessun allenatore si creerebbe una squadra così diversa, così disomogenea fatta di gente semplice, non colta, nemmeno fedele. Giuda lo tradirà alla grande, Pietro non sarà una roccia di fedeltà, Giovanni è troppo giovane… ma Gesù sa di poter contare sulla vita di tutti: in ciascuno è impressa l’immagine di Dio e Gesù da fiducia perché ognuno di loro sappia stanare la grandezza che ha dentro e soprattutto sappia rispettare l’altro per quello che è, accettarne la differenza e assieme, con l’apporto originale di ciascuno, costruire il Regno di Dio. La vita di ogni presbiterio sarà sempre così. Dovrà mettere assieme diversità e doni particolari, culture e idee disparate, abitudini e stili di vita diversi, ritmi e coinvolgimenti di varia intensità. Già in quel gruppo di apostoli si cominciava a delineare la cattolicità della chiesa, la sua grande capacità di scrivere il vangelo in ogni popolo e cultura, accogliendo, purificando, trasformando, soprattutto annunciando il vangelo cui essa deve obbedire in fedeltà assoluta. Nei tempi immediatamente successivi, quella sorta di uniformità si sfalderà; basta p e n s a r e a l l ’ i n g r e s s o d i P a o l o d i T a r s o p e r v e d e r e scricchiolare l’uniformismo e trionfare la difficile comunione, dono di Dio. Sarà la presenza viva e operante dello Spirito Santo che in tutti cesellerà i lineamenti della figura di Gesù, il suo volto, il suo amore per tutti, la sua fedeltà al Padre. La comunione è dono dello Spirito soprattutto, ma è anche effettiva visibile convergenza di mete e sforzi, di iniziative pastorali, di tensioni spirituali, di attuazione di progetti.

Ogni discepolo pur diverso è imitatore del maestro. Tutti imiteranno Gesù nel donare la vita fino al sangue, in regioni diverse, in contesti diversi, ma tutti per quel Gesù che aveva riempito la loro vita di pescatori e peccatori.

con vari livelli di responsabilità e di coinvolgimento

nel gruppo di Gesù non tutti hanno lo stesso peso e la stessa partecipazione al progetto di Gesù: c’è una indubbia collocazione a un vertice di responsabilità di Pietro. Gesù ha una consuetudine con la sua casa a Cafarnao, tanto che all’inizio è la sua casa la piccola nuova chiesa dove avvengono miracoli o partenze e arrivi dalla predicazione.

Pietro è il perno di tanti insegnamenti, di provocazioni, di decisioni, di chiamate alla responsabilità, di domande stringenti e di compiti decisivi. Chi dite che io sia? Chi sono io per voi? Volete una buona volta uscire dai vostri comodi paraventi? La prendete una posizione per me? Lo fate il salto di qualità di guardarmi con la luce dello Spirito o state ancora ad aspettare come andrà a finire?

Signore tu sei il Cristo. Dove vuoi che andiamo? Avevamo mestiere e famiglia, ti siamo corsi dietro, stiamo cambiando il nostro passo sul tuo, ma quel che dici ci spaventa. Non ce la facciamo a capire quell’infamia che sempre più spesso ci metti davanti. La croce no!

Pietro stammi dietro. T’ho chiamato a seguirmi, non a precedermi. Fidati come hai sempre fatto, segui il tuo istinto di generosità anche di fronte al buio della vita e della incomprensione.

Ma mi ami davvero? Sei proprio sicuro che mi vuoi bene? Stai facendo calcoli o atti d’amore? Solo in questo troverai la forza di reggere i tuoi fratelli.

Assieme a Pietro ci sono altri due che vengono continuamente chiamati in causa: Giacomo e Giovanni. Un terzetto continuamente provocato, ma non sempre all’altezza della proposta di Gesù. Bello il Tabor, ma inutile per il Getsemani;

belle le intimità nel compiere miracoli, ma del tutto assenti nell’ora della prova. Gesù a ciascuno offre una sua possibilità di amore e ciascuno la gioca come gliene dà la

forza della propria vita e interiorità.

Altri due vogliono sopraffare, avere qualche gradino di collocazione più dignitoso, un posto di rilievo in questo famoso regno. Il posto di rilievo lo deciderà solo la croce, la dedicazione di sé fino alla morte.

Tra loro si creano anche profonde amicizie, grandi convergenze spirituali. Penso al rapporto tra Pietro e Giovanni: il vecchio e il giovane quel mattino di Pasqua.

Accogliente e rispettoso

Quando appare Gesù la sera di Pasqua, trova tutti stupiti, dubbiosi e nello stesso tempo desiderosi di uscire assieme da quella che era ritenuta disavventura, ma che doveva essere la normalità della vita di un discepolo, di un apostolo:

l’esperienza della croce. La vista di Gesù, mentre da una parte mette a nudo la loro povertà e il loro tradimento dall’altra li unisce nella ripresa. Mancava però Tomaso e saranno loro a dirgli con gioia e entusiasmo di aver visto il Risorto. Lui invece ha tenuto alla sua indipendenza. Siete tutti esaltati, vi date forza per non essere disperati; ci sono già cascato tante volte con voi, ma ora non più. La vostra solidarietà non mi basta; voglio metterci io le mani in quei fori, voglio tappare io quei buchi di disperazione che mi hanno lacerato la vita. La domenica successiva, ancora assieme a vivere la lenta riappropriazione del dono della fede, Tomaso ricompone nella fede nel Signore l’unità del collegio apostolico, come noi ricomponiamo quella del presbiterio;

torna a vivere piena comunione. Lo hanno aspettato e lo hanno accolto.

con la stessa passione anche nella diversità di età

I giovani corrono, i giovani sono scattanti, i giovani si entusiasmano subito, bruciano le tappe, i giovani vogliono spremere il massimo dalla vita, i giovani sono impazienti di sapere e di vedere, di provare e di scoprire.

Gli adulti invece sono calmi, sono riflessivi, le hanno già provate tutte e procedono con cautela, non abboccano al primo che parla. Gli adulti sono lenti, spesso smorzano tutto, soppesano tutto, ma sanno dare ancora consigli saggi. Siamo così anche nel presbiterio.

Erano un giovane e un adulto la mattina di quel famoso primo giorno dopo il sabato. Si somo incamminati correndo verso un posto che Giovanni aveva già visto; era il Golgota nei pressi del quale c’era il sepolcro nuovo in cui era stato ricomposto in fretta il cadavere di Gesù. Avevano udito notizie sorprendenti, vociare di donne, correre di informazioni, meraviglie, domande, esclamazioni, dubbi. Nella tomba non c’è p i ù . E r a n o a n d a t e d i b u o n m a t t i n o p e r c h é v o l e v a m o imbalsamarlo, ma là il corpo non c’è più. Giovanni là aveva assistito fino all’ultimo momento, all’ultimo spasimo, Gesù che moriva, per sostenere sua madre; con Giovanni c’era Pietro, quello che aveva dato il colpo di grazia del tradimento a Gesù, quello che, mentre Gesù veniva sbeffeggiato e insultato da tutti, non aveva avuto il coraggio di stare dalla sua parte. Due vite che erano rimaste incantate da Gesù, due storie di sequela che si rimettevano in corsa col cuore in gola per poter sperare ancora, per potersi dire che non era vero che tutto era finito, per farsi sorprendere dalla potenza di Dio. Giovanni era giovane, innamorato perso e correva di più; Pietro era adulto, si portava dentro anche il peso del tradimento e arrancava. Giovanni lo precedeva, arrivò prima, ma si fermò davanti al sepolcro, aspettò Pietro. Lui era giovane entusiasta e veloce, ma aveva bisogno della saggezza di Pietro. È sempre così anche nella vita: giovani e adulti stanno bene insieme, hanno bisogno gli uni degli altri.

La scoperta che assieme hanno fatto è stata sorprendente.

Anche loro hanno constatato che Gesù non c’era più, il suo corpo da cui Giovanni aveva visto esalare l’ultimo respiro non c’era più. Gli sono rimasti negli occhi quel lenzuolo, la sindone, le bende che avevano avvolto Gesù afflosciate su di

sé, come se da sotto ne fosse sparito il corpo. Hanno visto e hanno creduto.

Immaginiamo di sentirci narrare da Giovanni questo rapporto vivo tra un giovane e un vecchio nel collegio degli apostoli.

Dopo questi fatti eravamo tornati a pescare. Era finito il tempo della avventura con Gesù. Storditi dalla morte e dal dileggio dei benpensanti, sembravamo agli occhi della gente dei poveri illusi. Avevamo ripreso la vecchia amicizia e il vecchio sodalizio del lavoro. Occorreva tornare a vivere;

avevamo dentro la certezza della risurrezione, ma ancora non riuscivamo a capire che toccava a noi fare quel che aveva fatto il maestro, che non potevano starcene più a casa nostra a ridirci la bella esperienza e a sentirci gratificati di una bella avventura che avevamo vissuto.

Cominciavamo forse troppo presto ad aspettare il suo ritorno, come aveva sempre promesso e ce lo immaginavamo imminente, quasi a riempire il nostro futuro. Ma Gesù non ci ha lasciati soli, è ritornato a definire mete grandi e a condurre la nostra vita al largo. Gettate le reti dall’altra parte. Come?

abbiamo lavorato tutta notte da professionisti, abbiamo raschiato inutilmente il fondo di questo lago e non abbiamo ricavato niente. Adesso viene lui questo turista sconosciuto a darci consigli. La forza del comando di quell’uomo però ci ha stregati. Le abbiamo tentate tutte possiamo tentare anche questa. Non si eravamo accorti che era Gesù. Il primo ad accorgersene sono stato io, sempre innamoratissimo; l’amore pulisce la vista sempre, ti fa guardare col cuore, trapassa tutte le nebbie e le oscurità. Quel che occhio non vede, cuore sente.

Eravamo ancora noi due, ancora il vecchio e il giovane.

Stavolta io ho intuito e visto e gridato E’ il Signore. Pietro si è tuffato in mare e a nuoto ha raggiunto Gesù; chi nuota concentra tutte le sue energie verso la meta, i suoi muscoli, la sua intelligenza, la sua forza, il suo sguardo, tutto il

suo corpo sono tesi verso il punto di arrivo. Quella nuotata l’ho vista come una immagine della nostra vita che tende a Gesù. I miei amici apostoli avevano impegnato tutte le energie per fuggirne, ma ora tutti tornavamo.

consapevole della fragilità

é fragile Pietro che arriva fino a vivere il tradimento; è devastante la figura di Giuda che Gesù mantiene nel numero dei dodici nonostante ne colga la grande difficoltà a seguirlo;

sono fragili i figli di Zebedeo che non riescono ancora a capire che si lavora assieme, si ha tutti un’unica meta, che non ci sono raccomandazioni di sorta, ma comunione solo con Gesù.

capace di lunghi momenti di intimità

Quello che però ha dato il tono a tutto il collegio e che è determinante anche per il presbiterio è l’intimità con Gesù, lo stare con Lui, ascoltare la sua parola, contemplarlo in preghiera, gustare il suo dono, sentirsi dire sempre: io ho scelto voi, non voi me. Vi ho chiamato amici e lo sarete sempre se farete ciò che vi comando. Se non vi lavate i piedi a vicenda non avete capito niente di come dovete essere. Se non vivete la comunione, scordatevi di avere un minimo di efficacia nell’annuncio.

Noi siamo stati, e lo siamo sempre, oggetto della preghiera di Gesù al Padre. Essere una cosa sola nell’intimità della vita trinitaria, nella comunione definitiva con Dio, nella ricerca quotidiana della sua presenza nel mondo, nell’affidarsi alla intima opera dello Spirito Santo, della sua forza e consolazione.

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