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Il “nuovo” art 2103 c.c in seguito alle modifiche apportate dall’art 3 D.Lgs n 81/

3.2. Le differenze con la precedente normativa

Il suddetto art. 3, co. 1, sostituisce il previgente art. 2103 c.c., formato soltanto da 2 commi, con una disposizione costituita da ben 9 commi, «a conferma della circostanza che semplificare (l’imperativo che aleggia nelle politiche del lavoro del Governo Renzi) a volte fa rima con allungare»173.

La formulazione pre modifica, cioè quella risalente all’art. 13 dello Statuto, presentava alcuni punti deboli, resosi fin da subito evidenti fin dalla vigilia della riforma, uno tra tutti il parametro dell’equivalenza: in determinate circostanze infatti era difficile, senonché impossibile, effettuare una comparazione tra le vecchie e le nuove mansioni a cui il dipendente era stato adibito e ciò soprattutto attorno agli anni ’80, considerata la diffusione delle prime tecnologie informatiche e telematiche e l’introduzione di modelli organizzativi flessibili. Nel valutare l’equivalenza si è cercato poi in alcuni casi di discostarsi dalle mansioni di assunzione come parametro di raffronto, valorizzando la professionalità potenziale del lavoratore e cioè il suo “saper fare”. In altri casi invece, la giurisprudenza prima e in seguito anche la legge, iniziarono a ritenere legittimi anche quei mutamenti mansionistici che non rispettavano il parametro dell’equivalenza (e cioè appartenenti a un inquadramento inferiore) con l’obiettivo di salvaguardare il posto di lavoro del singolo da un eventuale licenziamento o di preservarne la salute, ecc.174. Nonostante queste deroghe, rimanevano presenti i limiti determinati dal garantismo individuale175, riducibili soltanto attraverso un intervento delle

172 Riforma varata tra il 2014 e il 2015 attraverso diversi decreti legislativi.

173 B

ROLLO, Disciplina delle mansioni (art. 3) in CARINCI (a cura di), Commento al D.Lgs. 15 giugno 2015,

n. 81: le tipologie contrattuali e lo Jus Variandi, E-book n. 48/2015 in www.bollettinoadapt.it, cit. pag. 38.

174 V. par. 2.2.6. e in particolare par. 2.2.6.3.

175 Tendenza della contrattazione collettiva a predisporre soluzioni normative a protezione dei

75 autonomie collettive, rappresentanze in grado di allineare l’interesse dell’organizzazione aziendale alla tutela della professionalità176.

Il Legislatore riprende inoltre quella che era la denominazione originariamente prevista dal Codice Civile e cioè «Prestazione del lavoro», abbandonando la formulazione post Statuto «Mansioni del lavoratore». Alla luce di questa variazione, appare evidente la volontà della Legge di ricollocare la normativa delle mansioni all’interno del Libro V del Codice Civile, connaturato da una visione fondata non solo sullo scambio, ma anche sul contratto di lavoro, il quale concede una serie di poteri più ampi a una delle parti, e cioè al datore di lavoro, non riscontrabili all’interno della disciplina dei contratti (normati al Libro IV). Il “nuovo” art. 2103 c.c. infatti conferisce all’imprenditore un peculiare ruolo di comando, autorità e supremazia. La revisione apportata dallo Statuto aveva invece ampliato le tutele concesse al lavoratore, in quanto la collocazione al titolo I (rubricato «Libertà e dignità del lavoratore») dell’art. 13 aveva favorito l’interpretazione secondo la quale il bene giuridico oggetto di tutela, garantito dal principio dell’equivalenza, fosse la dignità professionale del lavoratore177. Appare pertanto evidente che oggi la tutela del lavoratore, soggetto economicamente più debole, lasci il posto ad esigenze di flessibilità organizzativa e quindi ad una logica strettamente economica.

Le differenze tra la vecchia e la nuova178 formulazione dell’art. 2103 c.c. sono riassumibili nei seguenti quattro punti:

forme regolamentative più flessibili con l’obiettivo di tutelare l’occupazione, al fine di garantire esigenze ritenute più rilevanti in capo ai lavoratori.

176 G

ARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organizzativa e tutela del prestatore di

lavoro, Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali n. 149, 1/2016, pagg. 130-133.

177 B

ROLLO, Disciplina delle mansioni (art. 3) in CARINCI (a cura di), Commento al D.Lgs. 15 giugno 2015,

n. 81: le tipologie contrattuali e lo Jus Variandi, E-book n. 48/2015 in www.bollettinoadapt.it, pagg. 38-39.

178 «1. Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle

corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. 2. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

3. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni.

4. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. 5. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del

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1. con riferimento alla mobilità orizzontale, non opera più il criterio dell’equivalenza delle mansioni, poiché ora il lavoratore può essere adibito a tutte quelle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale d’inquadramento delle ultime effettivamente svolte (co. 1). In questo modo viene superata la staticità professionale che in precedenza limitava il datore di lavoro nell’assegnazione dei compiti, permettendo inoltre ai dipendenti di acquisire nuove competenze e capacità professionali;

2. una seconda importante differenza consiste nell’adibizione a mansioni di livello inferiore. In precedenza il lavoratore non poteva essere adibito a mansioni inferiori, pena la nullità del provvedimento, a parte in quei casi esplicitamente previsti dalla legge o dalla giurisprudenza. Ora, oltre alle deroghe mantenute anche a seguito della novella legislativa, il lavoratore può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello d’inquadramento inferiore nel caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali incidenti sulla posizione lavorativa (co. 2) e nel caso in cui lo preveda la contrattazione collettiva (co. 4). Infine è possibile stipulare accordi individuali presso le sedi protette che possono modificare le mansioni, la categoria legale, il livello d’inquadramento e la relativa retribuzione (co. 6). Nei primi due casi il trattamento economico non cambia, al di fuori di quegli elementi retributivi collegati a specifiche modalità di esecuzione della prestazione di lavoro (co. 5), mentre nel terzo può essere modificata anche la retribuzione;

trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

6. Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

7. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

8. Il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

9. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo».

77 3. per quanto riguarda l’assegnazione a mansioni superiori ora il lavoratore, a meno che essa non avvenga per sostituire un collega in servizio, ha diritto ad acquisire la definitività delle mansioni superiori trascorso il periodo di tempo disposto dalla contrattazione oppure, in mancanza, dopo sei mesi «continuativi» e non più dopo tre mesi, come previsto dalla precedente formulazione;

4. permane la nullità di qualsiasi patto contrario alla disciplina legale (co. 9), anche se ora ha un valore residuale alla luce delle deroghe espresse introdotte direttamente dal Legislatore al secondo, quarto e sesto comma.

È infine da chiedersi se la nuova disciplina sia o meno retroattiva, data l’assenza di norme transitorie. È abbastanza pacifico che la norma trovi applicazione anche ai rapporti lavorativi già attivi alla data di entrata in vigore del decreto delegato (25 giugno 2015). Invece, con riferimento alla data di adozione del provvedimento di adibizione a mansioni diverse e la corretta normativa da applicare (pre o post modifica), la giurisprudenza di merito ha assunto nelle sue prime pronunce posizioni differenti: per esempio il Tribunale di Ravenna179 ha stabilito che il fattore discriminante tra l’applicazione della vecchia normativa e quella rinnovata dal D.Lgs. 81/2015 è da ricercarsi nella data di adozione del provvedimento datoriale; il Tribunale di Roma180 accoglie invece l’interpretazione radicalmente opposta e sostiene, con riferimento alle ipotesi di demansionamento, che esso debba essere valutato in relazione alle norme legali e contrattuali in vigore giorno per giorno, costituendo «un illecito “permanente” [che] si attua e si rinnova ogni giorno in cui il dipendente viene mantenuto a svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle che egli avrebbe diritto di svolgere». Pertanto, seguendo questa logica, l’assegnazione a determinate mansioni potrebbe essere illegittima un giorno, ma non esserlo più il giorno seguente. Appare preferibile la seconda alternativa, poiché, trattandosi di un illecito “permanente”, viene punita la continuità nel comportamento del responsabile, derivante dal protrarsi nel tempo di un’offesa volontaria a cui egli poteva porre fine181. Tale discrasia è ascrivibile all’assenza di una normativa transitoria che regoli quelle ipotesi d’illegittima adibizione avvenute prima dell’avvento della nuova disciplina, ma perdurate anche dopo la sua introduzione.

179 Trib. Ravenna, 30 settembre 2015.

180 Trib. Roma, 30 settembre 2015.

181 NUZZO, Il nuovo art. 2103 c.c. e la (non più necessaria) equivalenza professionale delle mansioni,

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