• Non ci sono risultati.

Le “donne del corso” sotto accusa: i process

Nell’introduzione a questo lavoro sono state illustrate le fonti

archivistiche presenti nel fondo Inquisizione dell’Archivio di Stato di Modena. In questo secondo capitolo invece porrò l’attenzione sui fascicoli delle

inchieste per maleficio e per stregoneria, cercando di mettere in luce le singole caratteristiche delle imputate coinvolte nelle vicende giudiziarie, ma soprattutto per entrare nel merito dei contenuti dei processi.

Lo studio della documentazione ha rilevato che l’elemento che

accomunava questi fascicoli era la dicitura maleficio/stregoneria riconducibile però a svariati tipi di reato legati all’utilizzo della magia: le accuse più

frequenti riguardavano la magia terapeutica, la magia erotica ed il maleficio. Nel catalogare tali imputazioni non ho adottato un criterio eccessivamente rigido, dal momento che coloro che praticavano la magia spaziavano da un settore all’altro di questa, dedicandosi sia a curare gli ammalati con erbe ed orazioni sia a sussurrare incantesimi d’amore. Le streghe modenesi si muovevano con facilità in entrambi i campi del magico, per cui tracciare un profilo statistico e quantitativo in merito alle specifiche accuse sarebbe stato riduttivo. Comunque, in linea di massima, circa 18 donne vennero accusate principalmente di magia amatoria, 19 di magia terapeutica, a 9 vennero

attribuite entrambe le imputazioni e 20 vennero denunciate per maleficio, capo d’accusa che comprendeva una variegata gamma di reati, come l’aver abusato dei sacramenti, l’aver praticato la necrofilia e l’aver provocato danni a terzi. A questi sono da aggiungere due situazioni anomale e cioè il caso di Polissena Machella che dalla lettura è risultato essere un’inchiesta per eresia e non per stregoneria, e quello nei confronti di Claudia Corona che venne accusata di calunnia in seguito ad una falsa denuncia di maleficium ai danni della padrona. La lettura dei processi ha confermato, anche per Modena, la tendenza

europea a femminilizzare la stregoneria. A comparire davanti ai giudici con l’accusa di avere compiuto incantesimi e sortilegi furono soprattutto donne. Le loro personalità sono state delineate non senza difficoltà. Il paragrafo

successivo dal titolo Profili ricostruiti: le protagoniste esaminerà nei dettagli suddette personalità, mentre in questa sede verranno sottolineate le modalità con le quali i contenuti delle fonti sono stati utilizzati per attuare tale

ricostruzione, in quanto i verbali riportano le generalità delle imputate fornendo sempre il nome di battesimo, ma non sempre il cognome, sostituito spesso da un soprannome (“la Rossa”, “la Zoppa”, “la Grassa”); nei casi più fortunati viene riportato il loro stato civile, il luogo di residenza e le generalità

46

del coniuge nel caso le indagate fossero state sposate. Le deposizioni dei testimoni talora arricchiscono il profilo delle indagate fornendo indicazioni sulla loro vita di relazione o sulla loro professione: in alcuni casi parlano di ‹‹donne di mala fama››, facendoci intendere che tali donne erano prostitute, oppure concubine di qualche sacerdote come nel caso di Giulia da Bologna. In altre occasioni parlano di ‹‹donne che fanno la professione di curar gli

ammalati››, facendoci capire che le imputate erano guaritrici e dedite alla magia terapeutica. Nell’indicare il luogo di residenza, nel caso si tratti di Modena, viene specificata la parrocchia di appartenenza come quella di San Francesco, di San Marco o di San Giovanni, solo per citarne alcune, e in caso si tratti del contado, vengono specificate le ville ed i distretti. Quando invece i documenti non riportano tali indicazioni, è stato possibile risalirvi tramite le deposizioni dei testimoni quando, nel descrivere i fatti, menzionano il luogo dell’incontro con l’imputata ed il luogo dove l’avevano vista compiere i reati. Più complicato è stato determinare l’età delle sospettate in quanto i

documenti sono spesso privi di tali informazioni ed in quanto la consultazione di una fonte alternativa come i libri dei vivi e dei morti, registri nei quali venivano annotati gli anni di nascita e di decesso dei cittadini modenesi, partono solo dal 1564. Di alcune imputate, come detto in precedenza, sono a noi noti solo il nome con il soprannome e non con il cognome che sarebbe necessario per reperirle in tali rubriche 1. La professione delle imputate ed il

tipo di reato attribuito ci possono però suggerire la loro fascia di età: dal momento che la magia erotica era generalmente praticata da prostitute, si può presupporre che queste fossero piuttosto giovani. La magia terapeutica invece richiedeva una certa esperienza e quindi si può presupporre che fosse praticata da donne più avanti con gli anni. Si tratta ovviamente di ipotesi da vagliare con cautela, proprio perché prive di un riscontro oggettivo.

Prima ancora di soffermarmi sui contenuti dei processi, è necessario

comprendere quale importanza rivesta questa documentazione e soprattutto quale contributo tali fonti abbiano dato ai miei studi. I verbali delle inchieste, infatti, costituiscono uno strumento di studio eccezionale per la comprensione della società e della cultura modenese del Cinquecento e sono una fonte inesauribile di conoscenza in merito all’atteggiamento della popolazione nei confronti della morte, dell’amore, del male e delle malattie. Le deposizioni costituiscono una notevole sorgente di informazioni riguardanti i sentimenti, le credenze, le paure e le abitudini dei modenesi e sottolineano alcuni aspetti della vita quotidiana e della mentalità dell’epoca che altrimenti sarebbero rimasti nell’ombra. Sarebbe stato inoltre difficile avvicinarsi alla cultura delle classi subalterne, cultura che avrebbe rischiato di scomparire dal momento che la sua trasmissione era spesso affidata all’oralità. Le carte dell’Inquisizione mettono in luce le credenze, i miti, i riti, le pratiche, le strutture mentali, il loro

modificarsi ed il loro combinarsi di tutte le classi sociali. Si tratta tuttavia di fonti alterate perché, come verrà spiegato in seguito, le deposizioni dei testimoni e degli inquisiti sono state riportate da un notaio e quindi sono state probabilmente filtrate, condizionate e tradotte secondo un determinato codice culturale, ossia quello degli inquisitori. E’ difficile capire se i verbali riflettano

1 ACM, Camera Segreta, Registri.

47

le concezioni degli inquisitori oppure quelle degli inquisiti, anche se alla luce di alcuni studi, ci sarebbe una “gradazione” della veridicità dei documenti. Le denuncie, infatti, ritenute le fonti meno inquinate, rifletterebbero la cultura dei

denuncianti, mentre le deposizioni contenenti il sabba ed il volo notturno rifletterebbero invece quella dei magistrati 2 . Documenti del genere hanno

comunque il pregio di far emergere nitidamente il mondo magico modenese del XVI secolo e di sottolineare come la magia fosse parte integrante della

quotidianità. Le risposte delle persone chiamate a deporre descrivono una cultura magica particolare perché espressione, soprattutto all’inizio del secolo, di quella fortunata saldatura tra strati culturali alti e strati culturali bassi, saldatura che aveva dato origine ad un sapere eterogeneo, fluido, osmotico e capace di portare alla diffusione delle pratiche magiche a tutti i livelli 3 .

Costituiscono un esempio paradigmatico di questa osmosi culturale

alcuni processi tra i quali quello contro la guaritrice ed incantatrice Anastasia “la Frappona” che in una delle deposizioni sostenne di avere avuto come maestro di magia il poeta Panfilo Sassi, e quello contro il prete Guglielmo Campana, rector della chiesa di San Michele, che era solito svolgere

incantesimi ed esorcismi con gran successo tra i concittadini e che sosteneva di collaborare sia con uno speziale, sia con “la Frappona” 4 . Il fatto che la

vicenda di Campana si fosse risolta con una blanda condanna (divieto di celebrare messe solenni e di fare esorcismi) aiuta a comprendere che il livello di diffusione della magia era talmente elevato e radicato, che le autorità, in questo caso l’Inquisizione, intervenivano limitatamente 5 . Sono proprio i

fascicoli processuali a dirci che nella Modena del Cinquecento rivolgersi alla magia per risolvere i propri problemi di salute o sentimentali era del tutto naturale, e che le strade e le piazze della città erano affollate di guaritrici, fattucchiere e stregoni i quali venivano quotidianamente interpellati, e che erano soliti incontrarsi insieme ai sacerdoti ed ai medici presso le spezierie cittadine per scambiarsi ricette e consigli spesso attinti dalla cultura popolare dell’epoca: Lucia Ferretti fattucchiera ed incantatrice era solita frequentare la spezieria di Jacopo Magnani, mentre Beatrice da Vicenza era in contatto con la già citata Frappona la quale non esitava a dispensarle alcuni suggerimenti6.

Attraverso le molte deposizioni è stato possibile sia comprendere che anche a Modena era diffuso lo sperimentalismo terapeutico, cioè la consuetudine che portava i malati a richiedere l’intervento non solo dei medici regolari, ma anche degli empirici, sia ricostruire il contesto storico-sociale e storicoculturale nel quale i guaritori o meglio le guaritrici, le medichesse e le streghe

modenesi si muovevano.

2 A. Del Col, I criteri dello storico nell’uso delle fonti inquisitoriali moderne, in A. Del Col e

G. Paolin (a cura di), L’inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia istituzionale, Atti del seminario internazionale Montereale Valcellina, Università di Trieste, Trieste, 2000, pp. 51-72.

3 A. Biondi, La cultura modenese nel Rinascimento…cit, pp. 521-440.

4 Il processo è in ASM, Inquisizione, B. 2, bb. 32. Si veda anche di C. Ginzburg, Un letterato

ed una strega…cit., pp. 129-137; M. Duni, Tra religione e magia…cit., pp. 116 sgg.

5 Ibid.

6 ASM, Inquisizione, B. 2, bb. 14, c. 2r (Beatrice da Vicenza), B. 2, bb. 27 (Lucia Ferretti).

48

Per descrivere in termini generali i contenuti degli 80 processi intentati

nei confronti di guaritrici e fattucchiere, risalenti al XVI secolo e conservati nel fondo Inquisizione dell’Archivio di Stato di Modena, ho deciso di raggruppare le varie inchieste in base ai reati attribuiti alle imputate e cioè magia

terapeutica, magia erotica e maleficium. Nell’illustrare la sostanza dei processi, ho messo in luce anche gli elementi trasversali che non sono specifici di un'unica tipologia di reato, bensì di tutte e tre come il satanismo ed il legame tra religione e magia. Lasciando la descrizione dei contenuti dei processi contro guaritrici ed empiriche alla fine del paragrafo, verranno affrontate in un primo

momento le inchieste per magia amatoria la cui frequenza, inizialmente sporadica, aumentò notevolmente a partire dal 1590. Dalle dichiarazioni delle imputate, dei denuncianti e delle persone informate sui fatti è stato innanzitutto possibile comprendere: che questo tipo di magia era ritenuto estremamente efficace; che a ricorrere alla magia erotica erano o ragazze desiderose di sposarsi con una determinata persona o spose inconsolabili che volevano riavvicinare a sé un marito troppo distante; che le fattucchiere esperte in sortilegi d’amore praticavano questo tipo di magia non solo per le proprie clienti, ma soprattutto per sé. Uno degli elementi che i contenuti di questi processi evidenziano è la presenza di una particolare dinamica sociale che portava le ragazze nubili e appartenenti alle classi più umili a ricorrere alla magia erotica per attirare le attenzioni dei giovani dell’alta borghesia e della nobiltà, e allo stesso tempo gli appartenenti alle classi elevate a sfruttare i maleficia ad amorem per giustificare le loro unioni con donne socialmente inferiori, sostenendo di essere stati stregati da queste. I casi di Camilla

Boccolari e di Orsolina Bertuzzi costituiscono esempi paradigmatici di questo genere di incantesimi7.

La prima, processata nel 1553, aveva tentato invano di fare

innamorare di sé, con un filtro d’amore, Andrea Grillenzoni, membro della celebre famiglia proprietaria della spezieria in Piazza delle ova. Nella sua deposizione, la delatrice sottolineò: ‹‹Che essa Camilla haveva voluto dar bevanda a un certo di grilinzoni, e già haveva posto detta pulvere nel vino, ma gridadoli la madre non gli la dette››8. Dopo il fallimento dell’impresa, la donna

aveva sedotto con successo Giovanbattista Cappelli, appartenente ad una delle famiglie più in vista della città. E’ fondamentale notare che la denunciante, Francesca de Rubigi, apparteneva alla medesima classe sociale del Cappelli, era sua amica ed aveva tentato (molto probabilmente in accordo con la famiglia del giovane) di “coprire” lo scandalo sostenendo che questi era caduto nella rete di Camilla perché maleficiato da lei.

Simile la dinamica del caso della serva Orsolina Bertuzzi comparsa

davanti all’inquisitore nel 1555 ed accusata di avere stregato con un farmaco afrodisiaco Francesco Magnani, ossia il suo datore di lavoro di cui era diventata l’amante. Dal momento che a svolgere questi incantesimi erano generalmente, come si sosteneva, ‹‹donne de mala fama›› e quindi prostitute, era plausibile che si cercasse di arginare con un’accusa di stregoneria quel ruolo particolare che queste donne rivestivano, e cioè un ruolo decisamente

7 ASM, Inquisizione, B. 3, bb. 7 (Camilla Boccolari); B. 3, bb. 20 (Orsolina Bertuzzi). 8 ASM, Inquisizione, B. 3, bb. 7, c. 2r.

49

destabilizzante per la famiglia e per la società di antico regime. La configurazione di alcuni processi aiuta a capire che le indagate per magia amatoria erano spesso in contatto tra loro ed erano solite scambiarsi formule segrete e sortilegi. Non a caso, il fascicolo relativo all’inchiesta contro

Margherita detta “la Chiappona” contiene altre procedure nei confronti di ben sette “colleghe” che, nel descrivere al giudice le modalità di svolgimento degli incantesimi, si soffermarono all’unanimità su alcune preghiere specifiche di cui facevano largo uso, cioè su quelle rivolte a san Daniele e a santa Marta,

orazioni ritenute propiziatorie e, proprio perché rivolte a dei santi, ritenute infallibili. Anche nel processo del 1598 contro Olimpia Fusari, la testimone, Barbara Cattani, sostenne che l’imputata fosse solita tracciare per terra un cerchio con il carbone ed invocare ‹‹il gran diavolo sopra l’amore›› insieme ai due santi prima menzionati 9 . Due anni prima Moranda Magnanini aveva

desiderava10.

Totalmente diverse invece le orazioni pronunciate da Giulia da

Bologna che durante il processo tenutosi nel 1519, confessò ai giudici di avere svolto un rituale particolare: sostenne, infatti, di essersi inginocchiata per poi rivolgersi alle stelle ed alla luna nuova al fine di ottenere le attenzioni di un uomo di cui si era innamorata, sussurrando: ‹‹Salve santa luna nova nominando et stellam dianam: rogando per tantam orationem ut radii stelares irent ad cor eius quis quaerebat ad se conducere››11. La presenza nei processi di queste

preghiere rivolte alle stelle, come alla stella Diana ed alla luna, aiutano a comprendere come a Modena, all’inizio del Cinquecento, fossero ancora vivi riti arcaici e di derivazione pagana, ossia credenze che la cultura popolare modenese aveva assorbito, reso proprie e tramandato nel corso dei secoli, destinandole a rimanere legate alla tradizione magica della zona se, ancora negli ultimi anni del secolo, la stessa Magnanini ripeteva per i medesimi obbiettivi lo stesso rito propiziatorio12. Tali preghiere alle stelle venivano di

regola aggiunte ad altre che spaziavano dall’invocazione ai santi a quella al diavolo. Il ricorso al demonio veniva attuato soprattutto quando la necessità della riuscita dell’incantesimo era impellente: l’opinione generale era che pregando Satana, aumentasse la probabilità di successo della magia d’amore soprattutto nei casi di amore carnale13. Maddalena Ferrari per affrettare il

ritorno del marito della sua cliente non esitò ad invocare Lucifero, Balzebù ed un altro demone, dicendo: ‹‹In nomine Luciferii, alia Belzebubi, alia alii demoni››14.

La magia amatoria non veniva praticata solo con le formule, ma anche con vari elementi, per esempio con alcune spezie come la noce moscata

9 ASM, Inquisizione, B. 9, bb. 16, c. 3v. 10 ASM, Inquisizione, B. 9, bb. 3, c. 3v. 11 ASM, Inquisizione, B. 2, bb. 22, c. 20r.

12 M. O’ Neil, Magical Healing, Love Magic and the Inquisition in Late Sixteenth- Century

Modena, in S. Haliczer (a cura di), Inquisition and Society in Early Modern Europe, Croom

Helm, Londra- Sidney, 1987, pp. 88-114.

13 M. Duni, Tra religione e magia....cit., passim; Id., Under the Devil’s Spell, Syracuse

University in Florence, Firenze, 2007, pp. 52 sgg; M. O’Neil, Magical Healing ...cit., pp. 88- 114.

14 ASM, Inquisizione, B. 3, bb. 7, c. 1r.

50

ritenuta afrodisiaca, con alcune erbe di cui spesso non è specificato il nome e soprattutto con alcuni metalli come il piombo e i magneti che per essere più efficaci dovevano essere battezzati da un sacerdote consenziente, la cui assistenza nel coadiuvare l’attività di queste incantatrici era spesso

fondamentale nel corso di alcune cerimonie, come appunto nel battesimo degli amuleti, oppure nella celebrazione di una messa propiziatoria: Camilla

Boccolari, ad esempio, ‹‹con partecipazione di un certo prete ha fatto dir 15 messe sopra cinq’onze de piombo et noce moscata et altre cose››15.

Sebbene i maleficia ad amorem venissero realizzati per ottenere

l’amore, non mancavano le situazioni nelle quali l’obbiettivo era l’impedire l’unione sessuale oppure l’impedire che l’uomo amato rivolgesse la propria attenzione ad una rivale. In questo caso i verbali parlano di supestitiones ad amorem impedendum da ricondursi particolarmente al rituale della “stringa” come descritto nel processo del 1593 nei confronti di Caterina Scurani. Tale rituale consisteva nel tirare con le dita il nodo di una stringa durante la messa nel momento in cui il sacerdote pronunciava il Dominus vobiscum e nel dire contemporaneamente che al posto della stringa doveva essere “tirato” il cuore dell’amato, affinché non si innamorasse della persona sbagliata16.

Se i verbali inerenti alla magia amatoria hanno fatto emergere la

presenza di determinate dinamiche sociali, quelli relativi ai casi di maleficium ci aiutano a comprendere quale interpretazione le popolazioni di antico regime avessero delle malattie e delle disgrazie e come funzionasse la logica che attribuiva alle streghe capacità sia benefiche che malefiche. La dicotomia sanare/maleficiare era una delle costanti del fenomeno della stregoneria ed era basata sul principio che coloro che sapevano come alleviare i dolori e le sofferenze, erano anche a conoscenza dei mezzi per crearle. Infatti, non essendoci una conoscenza eziologica sistemica, le varie patologie venivano volentieri attribuite alla volontà malefica di persone che, tramite sortilegi, potevano provocare i malesseri che affliggevano la vittima. Per guarire, diventava necessario individuare la strega che aveva perpetrato l’atto malefico e costringerla ad intervenire per curare il malato17 . I genitori ed i parenti

trovavano così una spiegazione plausibile ai mali che colpivano i loro familiari, sostenendo che la malia in questione fosse stata fatta in seguito a discussioni e scontri verbali con la fattucchiera della zona, la quale rimaneva comunque l’unica capace di far regredire la malattia. Nell’istruttoria del 1598 contro Margherita Campi, la nipote dell’imputata racconta che, a causa di un

maleficio di Margherita, la madre si era ammalata gravemente senza possibilità di guarigione. Gli empirici che avevano tentato di curare l’ammalata avevano l’uno dopo l’altro rinunciato, finché un certo Don Alessandro aveva suggerito di portare la paziente da chi l’aveva “guastata”18. Comprendiamo di essere di

fronte alla nota interpretazione ambivalente della figura della strega, apportatrice di malessere e di benessere, interpretazione che emerge

15 ASM, Inquisizione, B. 3, bb. 41, c. 3r (Bernardina Sacchi); B. 3, bb. 7, c. 1v. (Camilla

Boccolari).

16 ASM, Inquisizione, B. 8, bb. 25.

17 K. Thomas, Religion and...pp. 502-569; R. Briggs, Witches and Neighbors: The Social and

Cultural Context of European Witchcraft, Viking, New York, 1996, pp. 63-95

18 ASM, Inquisizione, B. 3, bb. 28, cc. 3r-v.

51

chiaramente nel processo del 1519 a carico di Giacoma Beccarini accusata da Eleonora di Antonio di maleficiare e di curare i bambini: ‹‹Maleficiat pueros et curat eos›› sosteneva la delatrice che si era rivolta all’indagata per curare proprio suo figlio19. Simili anche i casi di Benedetta detta “Zia” che nel 1570

venne denunciata ‹‹per pubblica opinione di guastar molte creature, et fa la professione di guarirle›› e di Benedetta Passerini che Stefano Corzai accusò del medesimo crimine, sostenendo però che Benedetta: ‹‹Ha guarito molti che erano affatturati››20.

Chi veniva ritenuto capace di compiere malefici lo poteva fare in due

modi: o con fatture o con mezzi apparentemente innocui come una visita o un semplice sguardo, cioè con il malocchio. La Beccarini venne accusata di avere provocato la malattia del figlio di Eleonora di Antonio dopo averlo

insistentemente fissato durante la messa, mentre una certa Margherita affermò di essersi ammalata in seguito ad una visita che Costanza Bertuzzi aveva effettuato a casa sua21. Anche la descrizione delle varie fatture ricorre con una

certa frequenza e generalmente i testimoni parlano di matasse di piume frammiste a stecchi di legno e a chiodi e tenute insieme da fili, rinvenute o presso o all’interno delle loro abitazioni e capaci di indurre forte vomito. Si parla pure di alimenti “stregati” offerti alle vittime e capaci di aver provocato