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Le intercettazioni telematiche nell’ordinamento italiano

3. Forme e modalità del sequestro di dati digitali: il vincolo pertinenziale

4.1 Le intercettazioni telematiche nell’ordinamento italiano

La ricerca della prova digitale in fase investigativa può vertere, oltre che su materiale già formato contenuto all’interno di attrezzatura informatica, anche su flussi di dati in transito tra più sistemi informatici o telematici205.

Viene in rilievo, a tal proposito, l’art. 266-bis c.p.p., introdotto dalla L. 547/1993206, il quale consente, «nei procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche», l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici, nonché quello intercorrente tra più sistemi207.

205 Cfr., al riguardo, G.DI PAOLO, voce Prova informatica, in Enciclopedia del diritto. Annali, VI, Giuffrè,

Milano, 2013, p. 743 ss.

206 Legge 23 dicembre 1993, n. 547, Modifiche ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica, pubblicata in G.U., 30 dicembre 1993, n. 305.

207 Le intercettazioni telematiche di cui all’art. 266-bis c.p.p. vanno tenute ben distinte dalle intercettazioni

preventive per via telematica di cui all’art. 226 disp. att. c.p.p. Tale strumento, introdotto dal D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438, attivabile dal Ministero dell’interno, dai responsabili dei servizi centrali della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di finanza nonché dal questore o dal comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, con richiesta da sottoporre al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo o in cui sono sorte le esigenze di prevenzione, si sostanzia anch’esso in una captazione di comunicazioni o conversazioni per via telematica (art. 226, comma 1, disp. att. c.p.p.), nonché nel tracciamento delle medesime ovvero nell’acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telematiche e «di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni» (art. 226, comma 4, disp. att. c.p.p.). Perché l’autorizzazione possa essere disposta, il controllo preventivo deve essere necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui agli artt. 407, comma 2, lett. a) n. 4 e 51, comma 3-bis, c.p.p. L’attività intercettiva si colloca, in questa peculiare ipotesi, in una fase precedente all’avvio del procedimento penale. Vige il divieto di utilizzo degli elementi acquisiti nel procedimento penale, «fatti salvi i fini investigativi»; dell’attività in parola non può, comunque, farsi menzione in atti di indagine, né essa può costituire oggetto di deposizione o essere altrimenti divulgata (art. 226, comma 5, disp. att. c.p.p.). In dottrina, circa «la singolarità di una captazione di comunicazioni segrete non […] giustificata dalla commissione di un reato, bensì da meri sospetti di polizia circa la potenziale criminosità di certi comportamenti del soggetto», v. L.LUPARIA, La disciplina processuale

e le garanzie difensive, cit., p. 167 ss. Di intercettazioni telematiche preventive si occupa anche l’art. 25-ter

della L. 356/1992, come modificato, sul punto, dalla L. 547/1993. Ai sensi di tale ultima disposizione, la captazione di flussi informatici può essere autorizzata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove le operazioni devono essere eseguite, su richiesta del Ministero dell’interno (o, per sua delega, dal direttore della Direzione investigativa antimafia), dai responsabili a livello centrale dei servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di finanza nonché dal questore, qualora le intercettazioni siano necessarie per l’attività di prevenzione e di informazione in ordine ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. Anche in tale ipotesi gli elementi acquisiti sono privi di qualsiasi valore a fini processuali. Al riguardo, v. C.PARODI, La disciplina delle intercettazioni telematiche,

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Com’è agevole notare, le intercettazioni telematiche hanno un ambito di applicazione più ampio rispetto alle captazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche. Le captazioni telematiche, invero, sono consentite, oltre che nei procedimenti per i reati per cui è previsto l’impiego delle tradizionali forme d’intercettazione, anche per qualsiasi reato posto in essere per il tramite di strumentazione informatica o telematica208.

Proprio con riferimento ai confini operativi della disposizione sono stati sollevati, in dottrina, alcuni dubbi209. Si è, infatti, obiettato che una lettura coordinata degli artt. 266 e 266-bis c.p.p. imporrebbe di ritenere che anche le intercettazioni telematiche possano essere disposte unicamente per i reati elencati dall’art. 266 c.p.p. con riferimento alle “tradizionali” forme di captazione. Ciò, onde evitare che il mezzo di ricerca in parola possa essere attivato o meno, per l’accertamento di un medesimo reato, a seconda delle modalità concrete di realizzazione di quest’ultimo210.

Queste perplessità non paiono, tuttavia, condivisibili. In primo luogo, milita contro l’interpretazione “restrittiva” in questione l’inequivocabile dato letterale e, segnatamente, la formula aperta con cui l’art. 266-bis c.p.p. richiama indistintamente i reati «commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche».

In secondo luogo, è opportuno ricordare come l’ordinamento già conosca ipotesi in cui, per l’accertamento di alcuni reati, un determinato mezzo di ricerca della prova sia attivabile solo laddove l’offesa sia posta in essere mediante un particolare strumento. Il riferimento è all’art. 266, comma 1, lett. f), c.p.p., il quale prevede, proprio in tema di intercettazioni, la possibilità di attivare le operazioni di ascolto per accertare reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria,

208 L. LUPARIA, La disciplina processuale e le garanzie difensive, cit., p. 163, pone in risalto un aspetto

problematico. Poiché alcune strumentazioni utilizzate per la captazione di traffico telematico, quali il

telemonitor, sono in grado di intercettare contemporaneamente traffico telefonico e telematico, si profila il

rischio che vengano ascoltate conversazioni telefoniche anche in talune ipotesi ove l’autorizzazione del giudice era circoscritta ai soli flussi telematici. In tale ipotesi, l’Autore ritiene inutilizzabili i risultati acquisiti per violazione dell’art. 15 Cost.

209 Cfr. C.DI MARTINO, Le intercettazioni telematiche e l’ordinamento italiano: una convivenza difficile, in Ind. pen., 2002, pp. 221-222.

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abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone commessi «col mezzo del telefono».

In altre parole, è ben possibile che ad una specifica modalità di commissione di un reato consegua, quale riflesso processuale, l’ammissibilità di un particolare mezzo di ricerca della prova per il suo accertamento. D’altronde, la ratio della disciplina delle intercettazioni telematiche sta proprio nel fornire alla pubblica accusa, per l’accertamento di reati realizzati con attrezzature tecnologicamente avanzate, strumenti tali da «lottare tecnicamente “ad armi pari”» con gli autori delle condotte in questione211.

Ciò chiarito, conviene analizzare in dettaglio la disciplina ad hoc dettata per le intercettazioni telematiche. Ai sensi dell’art. 268, comma 3-bis, c.p.p. il pubblico ministero può disporre che le operazioni vengano poste in essere «anche mediante impianti appartenenti a privati»212; entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni o il diverso termine previsto ai sensi del comma 5, qualora dal deposito possa derivare grave pregiudizio per le indagini, i difensori hanno facoltà di prendere cognizione dei flussi captati213. Scaduto il termine, l’acquisizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche è disposta dal giudice su richiesta delle parti, escluse le comunicazioni manifestamente irrilevanti, procedendo, eventualmente, anche d’ufficio, allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione; all’udienza di stralcio hanno diritto di partecipare sia il pubblico ministero sia i difensori, con un preavviso di almeno ventiquattro ore (art. 268, comma 6, c.p.p.). Il giudice dispone la «stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazione informatiche o telematiche da acquisire» secondo forme, modi e garanzie previste per l’espletamento delle

211 Così, testualmente, C.PARODI, La disciplina delle intercettazioni telematiche, cit., p. 890, il quale ritiene

la tesi in parola «maggiormente condivisibile su un piano di riconoscimento di “efficace” di tutela».

212 È bene evidenziare che impianti privati non possono mai essere utilizzati per compiere intercettazioni di

conversazioni o comunicazioni telefoniche: l’art. 268, comma 3, c.p.p. prevede unicamente la possibilità di eseguire la captazione mediante impianti installati nella procura della Repubblica; qualora questi ultimi siano insufficienti o inidonei, laddove sussistano eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, la realizzazione della captazione attraverso impianti di pubblico servizio o in dotazione della polizia giudiziaria.

213 C. PARODI, op. cit., p. 894, identifica l’oggetto della presa di cognizione da parte del difensore nel

«supporto magnetico nel quale sono memorizzati sia i dati relativi al contenuto della comunicazione che i cd. “file di log”, ossia le informazioni sugli orari di connessione [e sui dati] identificativi della comunicazione».

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perizie214; le stampe costituiscono atto irripetibile in grado di transitare nel fascicolo per il dibattimento (art. 268, comma 7, c.p.p.). In ultimo, si prevede che i difensori possano richiedere copia «su idoneo supporto» dei flussi captati, oppure copia della stampa in forma intellegibile delle comunicazioni (art. 268, comma 8, c.p.p.).

Quanto ai profili dell’istituto sprovvisti di apposita disciplina, come la dottrina occupatasi dell’argomento ha chiarito, «la collocazione [dell’art. 266-bis c.p.p.] quale sorta di “ramificazione” dell’art. 266 c.p.p. […] impone all’interprete di inquadrare lo strumento investigativo in parola nel contesto delle regole generali in materia di ascolto delle comunicazioni vocali»215.

È indubbia, quindi, l’applicabilità delle disposizioni dettate con precipuo riferimento alle intercettazioni telefoniche in ordine ai presupposti e alle forme del provvedimento che dispone le intercettazioni (art. 267 c.p.p.)216, alla conservazione della documentazione (art. 269 c.p.p.) e all’utilizzazione dei risultati delle captazioni in altri procedimenti (art. 270 c.p.p.). Parimenti, le comunicazioni captate non possono essere utilizzate qualora eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge (art. 271, comma 1, c.p.p.), oppure laddove relative a conversazioni o comunicazioni dei soggetti tenuti al segreto professionale, qualora concernano fatti conosciuti in ragione del loro ministero, ufficio o professione, a meno che tali soggetti abbiano deposto su quei fatti o li abbiano altrimenti divulgati (art. 271, comma 2, c.p.p.).

Residua, invece, qualche incertezza sull’applicabilità alle captazioni telematiche della disposizione dettata con riferimento all’esecuzione delle intercettazioni telefoniche dall’art. 268, comma 3, c.p.p. Più in particolare, è questione dibattuta se, quando si procede a intercettazioni telematiche, il pubblico

214 Tale operazione è necessaria in quanto i flussi intercettati consistono in segnali digitali non

immediatamente comprensibili per gli operanti. Cfr. C.PARODI, op. cit., pp. 891 e 894.

215 Così L.LUPARIA, La disciplina processuale e le garanzie difensive, cit., p. 162.

216 Deve segnalarsi che, con riferimento alle intercettazioni telematiche, ricorre maggiormente, rispetto alle

captazioni telefoniche, l’ipotesi che il mezzo della ricerca della prova sia disposto d’urgenza dal pubblico ministero, stante la natura volatile del dato informatico; in tal caso, sarà necessaria la trasmissione del decreto motivato che dispone le operazioni entro ventiquattro ore al giudice per le indagini preliminari, il quale decide entro quarantotto ore dal provvedimento con decreto motivato (art. 267, comma 2, c.p.p.). Nonostante il grave pregiudizio alle indagini in caso di ritardo sia, con riferimento alle indagini informatiche, quasi in re

ipsa, (cfr. C.PARODI, op. cit., p. 893), ciò non deve indurre a ritenere insussistente un onere motivazionale al

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ministero sia tenuto a motivare laddove decida di utilizzare impianti appartenenti a privati invece che quelli installati presso la Procura della Repubblica.

La questione ruota intorno alla configurazione dell’art. 268-bis c.p.p. – il quale, come accennato, prevede la possibilità di utilizzare, per l’esecuzione delle operazioni di captazione telematica, strumentazione appartenente a privati – quale regola generale tale da esonerare la pubblica accusa da qualsivoglia onere motivazionale laddove opti per l’utilizzazione di impianti privati; oppure, come mera eccezione a quanto previsto in via ordinaria per le intercettazioni dall’art. 268, comma 3, c.p.p., con correlativo alleggerimento – ma non elisione – del dovere di motivare la propria scelta in capo al pubblico ministero.

A sostegno della prima tesi, si è evidenziato che la mancata previsione della sanzione dell’inutilizzabilità in caso di violazione del disposto di cui all’art. 268, comma 3-bis, c.p.p. confermerebbe la libertà assoluta del pubblico ministero di far eseguire le operazioni presso gli impianti privati secondo quanto ritenga più opportuno217.

Si è, però, obiettato che, giacché l’utilizzo di impianti privati lede maggiormente la libertà e la segretezza delle conversazioni, sembra più rispettoso delle garanzie previste dall’art. 15 Cost. ritenere comunque doverosa, laddove possibile, l’esecuzione delle operazioni per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, con correlativa necessità di motivare allorché si decida di far eseguire le operazioni con impianti privati. In quest’ottica, la mancata previsione dell’inutilizzabilità rappresenterebbe una «mera svista legislativa risalente alla legge 547 del 1993», a cui rimediare valorizzando il ruolo dell’art. 191 c.p.p. di «“norma valvola” capace di veicolare nel sistema probatorio i diritti inviolabili della persona, traducendo i precetti costituzionali in divieti probatori»218.

Tale ultima ricostruzione sembra preferibile. Si rinviene un appiglio testuale all’interpretazione qui accolta nell’art. 268, comma 3-bis, c.p.p., il quale prevede la possibilità di effettuare le operazioni «anche» tramite impianti privati219; tale dato

217 In questo senso G.BRAGHÒ, Le indagini informatiche fra esigenze di accertamento e garanzie di difesa, in Dir. inf., 2005, p. 523.

218 Le citazioni sono di L.LUPARIA, La disciplina processuale e le garanzie difensive, cit., pp. 164-165. 219 Cfr. C.DI MARTINO, op. cit., p. 224.

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pare confermare la natura residuale della disposizione, legata alle specifiche caratteristiche tecniche dell’operazione di captazione da porre in essere. Restano valide, insomma, anche per le captazioni informatiche le regole dettate dall’art. 268, comma 3, c.p.p.

Un altro profilo d’interesse attiene alla ricerca dell’oggetto dell’attività intercettiva. L’art. 266-bis c.p.p., nell’individuare quale oggetto della captazione il «flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero incorrente tra più sistemi», non fornisce alcuna definizione di questi ultimi. Soccorre, a tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito come un sistema informatico sia costituito da «una pluralità di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all’uomo, attraverso l’utilizzazione (anche in parte) di tecnologie informatiche»220, mentre un sistema telematico è un insieme di strumenti tecnologici (hardware) e programmi (software) destinato alla trasmissione a distanza di informazioni221.

Nella prassi, l’intercettazione di cui all’art. 266-bis c.p.p. può riguardare flussi di diverso tipo: la gamma, amplissima, va dal monitoraggio dell’intero traffico telematico generato da una determinata utenza, indipendentemente dal tipo di connessione222, all’inoltro di tutte le e-mail indirizzate ad una specifica casella di posta elettronica verso un diverso indirizzo controllato dagli inquirenti223.

Più problematica la riconducibilità all’art. 266-bis c.p.p. della captazione di conversazioni Voice-overIP224. In prima battuta, poiché le conversazioni in parola

220 Cass., Sez. VI, 14 dicembre 1999, Piersanti, in C.E.D. Cass., rv. 214945.

221 V. Cass., Sez. V, 20 maggio 2003, n. 22319, inedita. È opportuno notare che la Convenzione di Budapest

non distingue tra sistema informatico e telematico, limitandosi a definire il primo, in senso ampio, come «qualsiasi apparecchiatura o gruppo di apparecchiature interconnesse o collegate, una o più delle quali, in base ad un programma, compiono l’elaborazione automatica di dati». Cfr., sul punto, C.SARZANA DI S.

IPPOLITO, Informatica, internet e diritto penale, Giuffrè, 2010, p. 217.

222 Ne riferisce G.BRAGHÒ, Le indagini informatiche fra esigenze di accertamento e garanzie di difesa, cit.,

p. 522.

223 Simile attività di captazione è possibile con riguardo alle società di telecomunicazioni nazionali. Cfr. F.

CAJANI, La Convenzione di Budapest nell’insostenibile salto all’indietro del legislatore italiano, ovvero:

quello che le norme non dicono…, cit., p. 195 ss., il quale offre, altresì, un panorama delle difficoltà

applicative in ordine all’intercettazione delle caselle di posta elettronica .com.

224 Si tratta, in breve, di una tecnologia che consente chiamate vocali sfruttando una rete che utilizzi il

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costituiscono di certo un flusso informatico, esse parrebbero rientrare nell’ambito applicativo dell’istituto225. Eppure, tale rilievo non sembra decisivo.

Negli ultimi anni, invero, lo sviluppo tecnologico ha fatto sì che l’intero sistema di telefonia, mobile e fissa, sia, oramai, un vero e proprio sistema telematico, come espressamente riconosciuto anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione226. Così, di pari passo con lo sfumare della distinzione tra comunicazioni telefoniche e comunicazioni telematiche, sbiadiscono i confini tra art. 266 c.p.p. e art. 266-bis c.p.p. Tanto da far apparire fondata l’opinione di chi, già al tempo dell’introduzione dell’art. 266-bis c.p.p., teorizzava l’inutilità del nuovo istituto, giacché anche le intercettazioni informatiche o telematiche ben avrebbero potuto essere ricondotte alle «altre forme di telecomunicazione» già previste dall’art. 266 c.p.p.227.

Ad ogni modo, corollario delle affermazioni che precedono è l’impossibilità di discernere tra intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche ai sensi all’art. 266 c.p.p. e captazione di flussi informatici o telematici ex art. 266-bis c.p.p. unicamente a seconda dell’impiego o meno di tecnologie informatiche o telematiche. Se così fosse, invero, tutte le captazioni di comunicazioni vocali, anche quelle a mezzo del telefono, dovrebbero ormai ricondursi tout court all’art. 266-bis c.p.p.; conseguenza, questa, evidentemente inaccettabile.

Il problema appare di più facile soluzione non appena si considera la ratio dell’art. 266 c.p.p.: vale a dire, limitare quanto più possibile le violazioni del principio di libertà e segretezza delle comunicazioni di cui all’art. 15 Cost. in presenza di comunicazioni vocali228. Più che il mezzo di trasmissione della conversazione, informatico o meno, allora, conta la sostanza: e le conversazioni tramite VoIP sembrano condividere tutti i tratti tipici di quelle conversazioni

225 Cfr. C. PARODI, VoIP, Skype e tecnologie d’intercettazione: quali risposte d’indagine per le nuove frontiere delle comunicazioni?, in Dir. pen. proc., 2008, p. 1311, ritiene che «il dato strettamente

tecnologico, costituito dal transito delle [forme di comunicazione] in forma digitalizzata attraverso pc connessi tra loro o alla rete Internet» imponga l’inquadramento delle intercettazioni di comunicazioni VoIP nell’art. 266-bis c.p.p.

226 Cass., Sez. Un., 8 maggio 2000, D’Amuri, in Cass. pen., 2000, p. 1419.

227 In quest’ottica, v. G.FUMU, sub art. 266-bis, in AA.VV., Commento al nuovo codice di procedura penale,

coordinato da M. Chiavario, III agg., Utet, Torino, 1998, p. 132.

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telefoniche che il legislatore aveva in mente allorquando tracciò i limiti di ammissibilità delle intercettazioni di comunicazioni di cui all’art. 266 c.p.p.229.

Il discorso approda, allora, in ultima analisi, ad un solo risultato: le intercettazioni di conversazioni VoIP devono essere autorizzate solo nell’ambito di quei procedimenti in cui occorra accertare uno dei reati elencati dall’art. 266 c.p.p.230.

Merita, da ultimo, alcune considerazioni il quesito circa la possibilità di disporre le intercettazioni telematiche in presenza di «sufficienti indizi», anziché gravi, laddove la captazione sia «necessaria» – e non indispensabile – per lo svolgimento di indagini in relazione a delitti di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono. Come noto, simile deroga all’art. 267 c.p.p. è prevista dall’art. 13, L. 203/1991. Tale ultima, disposizione, tuttavia, richiama unicamente l’art. 266 c.p.p. e non l’art. 266-bis c.p.p. Com’è stato evidenziato in dottrina, il dato letterale potrebbe essere superato ritenendo che il richiamo all’art. 266 c.p.p. debba, in realtà, riferirsi più in generale a tutte le attività di captazione consentite all’interno del sistema231.

229 Contra F. CAJANI, La Convenzione di Budapest nell’insostenibile salto all’indietro del legislatore italiano, ovvero: quello che le norme non dicono…, cit., pp. 193-194, nt. 15, il quale, tra le diverse

argomentazioni, fa leva sul «dato sistematico» in base al quale il legislatore, introducendo un apposito art. 266-bis c.p.p. per disciplinare le intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche, avrebbe confermato, a contrario, che tra le «altre forme di comunicazione» di cui all’art. 266 c.p.p. non possano rientrarvi quelle informatiche.

Per lungo tempo il tema non è stato affrontato compiutamente dalla giurisprudenza, poiché Skype si era a lungo rifiutato di fornire i codici necessari all’Autorità giudiziaria.

230 Per lungo tempo il tema non è stato affrontato compiutamente dalla giurisprudenza, poiché i creatori del

più noto servizio VoIP, Skype, si erano a lungo rifiutati di fornire i codici necessari all’Autorità giudiziaria per esperire utilmente la captazione. Cfr., in proposito, F. CAJANI. La Convenzione di Budapest

nell’insostenibile salto all’indietro del legislatore italiano, ovvero: quello che le norme non dicono…, cit.,

p.p. 192-193, nt. 12, nonché C. PARODI, VoIP, Skype e tecnologie d’intercettazione: quali risposte

d’indagine per le nuove frontiere delle comunicazioni?, cit., pp. 1309 ss. Cass., Sez. V, 7 novembre 2013, n.

45146, inedita, dà conto di come l’utilizzo del servizio Skype per conversare sia, addirittura, considerato elemento a carico dal Tribunale del riesame di Bologna: «la scelta del T. di ricorrere alla piattaforma Skype per colloquiare con F.G., prima ancora di sapere la ragione della telefonata, [deve ritenersi] univocamente indicativa della natura illecita dei rapporti tra i due indagati. Come noto, infatti, il metodo di comunicazione in parola consente di evitare le intercettazioni». La Corte di Cassazione, correttamente, nell’annullare l’ordinanza impugnata, evidenzia che il semplice invito di ricorrere a Skype per conversare ben poteva