Capitolo II: Teorie Filosofiche e Sociologiche della Moralità
1.2. Le origini delle teorie sociologiche sulla moralità
Com’è evidente da questa premessa storico-filosofica, gli studiosi di antropologia delle moralità attuali possono beneficiare di un contributo teoretico di lunghissima data, la cui conoscenza è indispensabile se si vuole comprendere il contesto in cui sono maturate le principali teorie elaborate nell’ambito delle scienze sociali.
L’utilitarismo descritto ha condizionato fortemente la teoria morale del diciannovesimo secolo e ha ancora oggi una grande influenza sul dibattito filosofico attuale tanto da essere considerato un fondamento teorico importante della società liberale moderna.
1.2.1 Emile DURKHEIM
La teoria morale di Emile Durkheim si è posta come obiettivo proprio lo smascheramento delle contraddizioni interne all’utilitarismo della società liberale - per lui mera espressione intellettuale della ideologia dominante dell’epoca - cui contrappone, come presupposto della
vita collettiva, il sociale. È il sociale che fa stare insieme gli individui, la dimensione sociale preesiste a quella individuale ed è quindi la società a essere posta da Durkheim al centro della sua teoria della moralità, assumendo come oggetto di studio i fatti morali. Egli tratta la morale come un dato oggettivo dell’essere sociale, come cioè un fatto sociale.
Inoltre, e qui sta la novità dell’analisi sociologica che Durkheim fa della moralità, la società oltre ad essere la fonte della morale, ne è anche l’oggetto: se non fosse la società l’oggetto della morale, allora quest’ultima si ritroverebbe senza alcun fine; così, la finalità della morale non può essere ricercata né nell’individuo che agisce, né gli altri individui, perché ciò che non vale per l’individuo in sé non può valere neanche per la somma degli individui.
Il sacrificio e il disinteresse richiesti dalla norma morale non avrebbero senso, se essa non avesse come punto di riferimento qualcosa di superiore al singolo individuo, ossia la società, quel soggetto collettivo sui generis che è qualcosa di più della somma delle sue parti, come invece lo intendevano gli utilitaristi.
Secondo Durkheim il rapporto tra società e morale è quindi funzionale: ogni società ha la morale che permette di assicurare il vincolo tra i suoi membri e quindi è nella stessa società che va ricercato il suo significato strumentale.
Durkheim, nella sua analisi della moralità, insiste sull’importanza del fenomeno religioso come fatto sociologicamente unitario, le cui rappresentazioni fondamentali e gli atteggiamenti rituali rivestono ovunque lo stesso significato oggettivo e adempiono ovunque le stesse funzioni. Si tratti del totemismo australiano o di una delle religioni che oggi raccolgono il maggior numero di fedeli, per mezzo della religione e dei rituali religiosi, avviene sempre una sorta di proiezione ideale del gruppo sociale e quindi il rafforzamento del sentimento di appartenenza ad una società.
In questo senso, il significato che Durkheim dà alla moralità è molto simile a quello attribuito alla religione ed è proprio questa prospettiva che influenzerà il modo in cui gli antropologi affronteranno lo studio delle pratiche religiose e delle differenti forme di moralità locale.
1.2.2 Max WEBER
L’analisi teoretica della moralità di Weber si muove tutta all’interno di una filosofia dei valori che egli sviluppa partendo da un’analisi storico-interpretativa della società europea e in particolare della sua economia capitalista. Di fronte a un mondo che di per sé manca di significato, che è diventato un semplice teatro dell’agire razionale dell’uomo e in cui i fatti occupano un posto predominante, la filosofia decide di occuparsi dei valori, intesi non come qualcosa di assoluto e immutabile, ma piuttosto di mutevole e relativo. Weber, in realtà, non dà mai una definizione esatta e precisa di moralità, e non la fa coincidere con la contrapposizione dei valori ai fatti. Per Weber, la moralità risiede nell’incontro tra questi due elementi, non necessariamente collidenti tra di loro, e va a scovarla proprio nelle intersezioni che si creano quotidianamente nella loro interrelazione. Poiché i valori sono tanti e inconciliabili, nella scelta di alcuni se ne escludono altri: in ciò consiste quella che Weber chiama “collisione” dei valori. Vivere una vita morale significa vivere secondo una scelta consapevole e un’adesione a un sistema di valori, cui si attribuisce la principale motivazione dell’agire in un mondo di fatti.
A questo punto del suo discorso, Weber propone una distinzione tra l’etica dei prìncipi - anche detta etica delle intenzioni o delle convinzioni - e l’etica della responsabilità. La prima forma di etica fa riferimento a princìpi assoluti, che vengono assunti a prescindere dalle conseguenze cui essi conducono.. Si ha invece l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui
si ponga al centro di una riflessione etica, il rapporto mezzi/fini e le variabili ambientali, in cui tale riflessione ha luogo. Senza assumere princìpi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenze delle scelte operate, stabilendo un legame tra etica e politica di tipo strutturale.
La teoria morale di Weber è pertanto personale, nel senso che essa implica la possibilità per l’individuo di scegliere a quali fatti partecipare e con quali valori, ma allo stesso tempo ha anche un significato più ampio, di carattere sociale, poiché considera che le conseguenze delle scelte etiche debbano essere valutate rispetto ai fatti del mondo razionale e non rispetto a un’idea assoluta.
1.2.3 Michel FOUCAULT
In quest’analisi delle teorie sociali moderne, non poteva mancare la figura del francese Michel Foucault, che ha dato un contributo fondamentale ai recenti studi antropologici delle moralità. La considerazione più importante nel suo lavoro di analisi della moralità è in merito alla distinzione che lui riconosce tra moralità ed etica: la prima è per Foucault l’insieme delle regole e dei codici morali che una società, attraverso le sue istituzioni, impone ai suoi membri, legittimando alcuni comportamenti e vietandone altri. L’etica invece, di cui Foucault principalmente si occupa nei suoi scritti, è da lui definita “the kind of relationship you ought
to have with yourself17” o, come lui definisce altrove in modo più provocatorio, “the conscious
practice of freedom18”
Quello che conta quindi per Foucault è il modo in cui l’individuo lavora su se stesso per costruire e diventare ciò che la comunità cui appartiene riconosce come persona morale. Come Weber quindi, Foucault riconosce l’etica come un processo, che è personale e allo stesso tempo sociale e insiste sul fatto che tale processo per essere considerato realmente come un momento etico, debba essere consapevole ed eseguito nella massima libertà di scelta. Non c’è etica, se non è data la possibilità di scegliere e se la persona non ha la consapevolezza del lavoro etico e della libertà di cui dispone nella sua attuazione.
Va ricordato che Foucault è stato il primo a riconoscere come la moralità occidentale, in confronto a quella orientale, abbia per secoli ostacolato il lavoro etico dell’individuo - inteso come processo creativo individuale - esigendo per contro un’adesione totale del Sé alle aspettative morali della società. Ma ciò che in tutto il suo lavoro emerge con forza, non è tanto un’attenzione alle dinamiche del potere, ma un interesse profondo per il soggetto e, in particolare, per le soggettivazioni della moralità, ossia per i modi in cui la soggettività si costituisce negli individui.
Foucault, ponendo l’enfasi sulla nozione di libertà nel momento etico, trasforma l’etica in un momento creativo in cui la persona costruisce il Sé attraverso un lavoro etico consapevole, scegliendo come svolgere tale lavoro e rimuovendo gli ostacoli che impedirebbero di raggiungere l’obiettivo.
Per fare ciò, ci si serve di quelle che lui definisce “tecnologie del Sé” che, seppure in forme diverse, sono presenti in tutte le società e che permettono agli individui, attraverso la loro
17 Focault, Michel: “On the Genealogy of Ethics: an Overview of Work in Progress” in P. Rainbow (ed.), Ethics:
Subjectivity and Truth, London: Penguin Books, (2000)
18 Foucault, Michel: “The Ethics of the Concern of the Self as a Practice of Freedom” in P. Rainbow (ed.),
pratica, di lavorare sul proprio corpo e la propria mente in modo da raggiungere uno stato di felicità e di perfezione. Così Foucault le descrive:
permit individuals to effect by their own means, or with the help of others, a certain number of operations on their own bodies and souls, thoughts, conduct, and way of being, so as to transform themselves in order to attain a certain state of happiness, purity, wisdom, perfection, or immortality19