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Le poesie in italiano e i racconti (cenni)

Non si può ignorare che accanto alla produzione dialettale di Meneghini esiste anche una serie di testi in italiano. Si tratta sia di poesie che di racconti, senza collocazione precisa, che possono contribuire a fornire un’altra prospettiva sulla sua scrittura. I brani che l’autore mi ha fornito sono tutti fogli A4, perlopiù senza alcuna datazione, stampati al computer.

Per quanto riguarda la poesia, l’impianto è pressoché il solito: sono versi liberi irrelati in componimenti di una o due facciate. L’attenzione verte non più sui suoni, sul ritmo, bensì sulle scelte sintattiche e sul contenuto. Le rime sono inesistenti e ciò che distingue questi scritti dalle poesie in dialetto è l’abbondanza di aggettivi, l’utilizzo di un lessico “alto” costituito da aulicismi, vocaboli elisi, iterazioni enfatiche e inversioni sintattiche. Anche in questo caso sono molto frequenti le esclamazioni e le interrogative retoriche, tratto stilistico peculiare dell’autore. Il tessuto testuale è intriso di metafore, di immagini, di similitudini al punto che in alcuni casi la comprensione risulta difficile. Gli argomenti principali descritti sono in parte assimilabili a quelli della produzione dialettale: il tema della religione, il dialogo con Dio, la ricerca della fede, le invocazioni, le festività; il tema della famiglia e degli affetti, ora più che mai velato da un senso di mancanza, di solitudine, di morte inevitabile, di assenza dolorosa; il tema della vecchiaia, la perdita di forze e di dignità, la transitorietà della vita, il tempo che scorre… Ma la grande novità introdotta in questa sezione sono le poesie a tema amoroso: nei testi in dialetto era un argomento che non compariva affatto, mentre qui Meneghini sembra aver trovato una nuova e copiosa fonte d’ispirazione che lo spinge a scrivere lunghe e appassionate dediche alla propria donna. La cultura dialettale è intrinsecamente, antropologicamente, portata all’autocensura. Sembra, quindi, che l’amore si possa esprimere senza vergogna solo in una lingua altra, che può fare da schermo all’eros.

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Non si può negare che i testi in dialetto hanno il privilegio di un’autenticità maggiore, dovuta al diverso tipo di atteggiamento che sta sotto alla scrittura spontanea nella propria lingua madre. Si scontra con la maggiore artificiosità dell’italiano, che appare meno fluido, più “faticoso” da leggere e ricco di termini lontani dalle profondità dell’animo, o comunque “difficile” per chi non lo parla nativamente.

I racconti, invece, sono interessanti testimonianze del passato, rese tali per due motivi: il primo è la scelta del punto di vista. Meneghini predilige dare la parola a personaggi umili, donne e uomini qualsiasi, quasi un riflesso della vita trascorsa durante l’infanzia. Il racconto diventa prezioso perché portavoce di una realtà operaia che non esiste più: descrive i mestieri e gli aneddoti di numerose figure ormai scomparse, riporta a galla il tema della guerra, dei partigiani, dei prigionieri e dell’eccidio. La seconda peculiarità è la mescolanza dell’italiano, solitamente usato nelle narrazioni esterne o indirette, e il dialetto, la lingua dei dialoghi. Questa miscellanea fa sì che la lettura acquisti autenticità, permette di calarsi ancora di più nel racconto, ascoltandone i suoni, le esclamazioni, le imprecazioni. Nonostante le narrazioni storiche siano basate su eventi tragici come i rastrellamenti tedeschi, l’addio alla famiglia per raggiungere i partigiani, eccetera, Meneghini trova sempre il modo di alleggerire il discorso, inserisce battute di spirito o crea gag comiche, equivoci che allentano la drammaticità della situazione. Il dialetto è un’arma potente, in questo senso, perché gli permette di caratterizzare i suoi personaggi attraverso il loro peculiare modo di parlare, di rispondere agli eventi, di interagire con gli altri. In alcuni casi la separazione tra le lingue è impossibile da delimitare, perché Meneghini utilizza all’interno della stessa proposizione termini prima in italiano e poi in dialetto, creando appositamente neologismi e storpiature, una mescolanza divertente che arricchisce il racconto. Non mancano le storie sulla propria famiglia, che l’autore riporta con un misto di nostalgia e rispetto, come il lavoro dei nonni e la vita nella “fabrica alta”231. Troviamo anche una serie di

aneddoti comici di quando Meneghini, ragazzino, faceva la comparsa nelle opere

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liriche che si tenevano al Teatro Civico della città. Infine, alcuni testi singoli dal tono completamente diverso, drammatico, che sembrano dettati dalla necessità di esternare i pensieri, di riordinarli sulla carta, e inoltre il Dialogo dolore, confronto immaginato tra Gesù in croce e la madre al suo capezzale, scritto in concomitanza con La Passiòn e pensato per la lettura simultanea.

Ma non ci sono solo racconti in italiano (benché ibridi): Meneghini si è dedicato anche alla prosa in dialetto. In alcuni casi i suoi testi sono una sorta di sceneggiatura da leggere / recitare ad alta voce davanti a un pubblico. Anche qui le tematiche sono spesso legate al suo passato, come la carrellata di lavori che ora non esistono più: “el moleta”, “al spassacamin”, “el feracavai”, “el tessaro”, “la lavandara”, “la mercantina”232. Non mancano gli episodi della guerra, con racconti

di retate tedesche e di mariti costretti ad abbandonare la famiglia per arruolarsi. La maggior parte delle volte, come per i testi precedenti, Meneghini innerva le narrazioni di battute, pur senza screditare l’importanza drammatica degli eventi. In qualche raro caso, invece, si mantiene coerente al profilo doloroso e serio della materia.

È interessante osservare come sia stato più il genere letterario che la lingua utilizzata ad aver mutato radicalmente il contenuto dei testi di Meneghini: la poesia rimane, in entrambi i casi, legata alla sfera dell’emozione, dei sentimenti più intimi, della contemplazione della natura o della spiritualità, dotandosi di un linguaggio metaforico ed enfatico, ricco di risonanze e di iterazioni. La forma della narrazione, invece, sembra essere la più adatta per riportare alla luce gli eventi del passato, accantonando quella tensione drammatica e lasciando spazio al gioco di parole, al neologismo, alle storpiature e alla risata, senza perdere la fiamma della sincerità.

232 L’arrotino, lo spazzacamino, il fabbro (che ferrava i cavalli), il tessitore, la lavandaia, la venditrice ambulante.

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