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3 TECNICHE DI IDENTIFICAZIONE E VALUTAZIONE DEGLI EVENTI RISCHIOSI

3.2 L A VALUTAZIONE DEGLI EVENTI RISCHIOSI

3.2.2 Le principali tecniche di valutazione degli eventi rischiosi

Le tecniche utilizzabili per analizzare i rischi possono essere principalmente divise in tre grandi categorie43:

• Tecniche Qualitative, ovvero tecniche che quantificano la probabilità e l’impatto di un determinato evento usando dei livelli di rischio per soglie significative, attraverso l’espressione di parole come “Alto”, “Medio”, “Basso”; il risultato della valutazione, data dalla combinazione delle due variabili, sarà di nuovo espresso tramite le medesime locuzioni. Queste tecniche vengono utilizzate soprattutto nel caso in cui i rischi, a causa della loro tipologia, non si prestano ad essere quantificati dando luogo quindi a valutazioni che risulteranno naturalmente soggettive e discrezionali; per questo motivo sarà importante mantenere traccia delle assunzioni effettuate in fase di assessment e di tutti i criteri utilizzati per il calcolo;

• Tecniche Quantitative, ovvero tecniche che vanno a stimare la probabilità di accadimento e l’impatto tramite dei valori, attraverso l’utilizzo di formule o modelli matematici. Non sempre è possibile applicare questi metodi, soprattutto se vi è una scarsità di informazioni circa l’evento in questione o se questo è influenzato da fattori umani; altre volte può capitare che lo sforzo e le risorse necessarie per l’applicazione, superino di gran lunga i benefici. Questa categoria può essere ulteriormente suddivisa in altre due tipologie:

o Tecniche Quantitative Probabilistiche, ovvero tecniche che, basandosi sulla costruzione di intervalli di probabilità, presumono l’esistenza di serie storiche piuttosto ampie e approfondite ma, soprattutto, di dati che siano i più affidabili possibile (l’esistenza in azienda di un metodo di “Loss Event Tracking” ad esempio potrebbe facilitarne l’applicazione). Nel proseguo della trattazione verrà dedicato un paragrafo alla tecnica del Value at Risk (VaR)

o Tecniche Quantitative Non Probabilistiche, ovvero tecniche che, essendo basate su ipotesi di intervalli di distribuzione, vengono utilizzate per quantificare l’impatto di un evento potenziale senza determinarne però la

43 D'Onza G., Rigolini A. (2016), “Rischio e sistema d'azienda” in Dispensa ad uso degli studenti del corso di risk management, Pisa.

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probabilità di accadimento. Nel proseguo della trattazione verranno approfonditi l’Analisi degli Scenari, lo Stress Testing e l’Analisi di Sensitività. • Tecniche Miste, ovvero risultanti dalla combinazione delle precedenti tecniche; queste tecniche ad esempio potrebbero andare a calcolare la probabilità sulla base di una frequenza storica e l’impatto su base soggettiva.

Anche in questo caso, la scelta verrà effettuata a seconda del grado di dettaglio richiesto, della struttura del processo decisionale dell’organizzazione ma soprattutto dalla disponibilità di dati affidabili circa un determinato evento; potrebbero esserci alcuni casi in cui invece un elevato grado di dettaglio è richiesto dalla legislazione.

Value at Risk

Il Value at Risk è una misura di rischio usata principalmente in ambito finanziario appartenente alla categoria delle tecniche quantitative probabilistiche. La sua nascita, avvenuta alla fine degli anni 80 del Novecento, è avvolta da una curiosa storia che ancora una volta riflette la natura variegata a cui l’analisi e la gestione dei rischi è sottoposta. Si narra infatti che, nel periodo concomitante all’emanazione degli accordi Basilea 144, il

presidente in carica della banca d’affari statunitense, la J.P. Morgan, Dennis Weatherstone, chiese ai propri analisti di fornirgli una misura del rischio complessivo a cui la società stessa era esposta; il risultato fu che ognuno degli analisti interrogati fornì al Chairman una misura di rischio differente, relativa al proprio segmento di business. Weatherstone, essendo interessato alla conoscenza di un valore complessivo del rischio, decise quindi di incaricare tutti gli analisti della ricerca di un metodo che fosse il più sintetico e intuitivo possibile: il risultato presentatogli fu proprio il Value at Risk (VaR). Questa nuova tipologia di misurazione fu quindi inserita in un documento che veniva redatto sistematicamente dagli analisti dalla società di investimento per essere consegnato ogni giorno, alle 4.15 del pomeriggio, al proprio Chairman (“4.15’ p.m. report”). Tale documento segnalava la perdita massima di denaro a cui la società era esposta, in relazione alle attività correnti in suo possesso, associata ad un determinato periodo di tempo (un giorno o dieci giorni) con un certo grado di probabilità (95% o 99%). Inizialmente sviluppato soltanto ad uso interno, il

44 Linee guida riguardanti i requisiti patrimoniali e prudenziali degli istituti di credito, concordati a livello

internazionale dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CB). Fonte:

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VaR fu successivamente reso noto al mondo nel 1994, grazie alla sua pubblicazione all’interno del documento chiamato “Risk Metrics”45.

Questa tecnica consentì di unire in un'unica misura in termini monetari, la perdita attesa entro un lasso di tempo e con un certo grado di probabilità di tutte le tipologie di rischi alle quali un portafoglio di attività può essere esposto. Senza entrare nel merito del calcolo statistico46, ciò che è necessario conoscere ai fini di questo elaborato è che il VaR può essere

calcolato seguendo tre approcci differenti:

1. Approccio classico, “Parametrico”, ovvero quello originalmente proposto da J.P Morgan, il quale presuppone come ipotesi fondamentali che la distribuzione dei rendimenti di un’attività finanziaria coincida con una funzione “normale” mentre media, varianza e covarianza rimangano costanti nel tempo (ipotesi di “Stazionarietà”);

2. Simulazioni storiche, in cui a differenza del precedente approccio, non viene fatta alcuna ipotesi circa la distribuzione della probabilità dei rendimenti in quanto questa viene dedotta dai dati passati, ritenendo che lo stesso avverrà per il futuro;

3. Simulazioni di Montecarlo, in cui in maniera similare al precedente, la distribuzione della probabilità si basa sui rendimenti storici i quali vengono successivamente associati tra loro tramite una formula matematica; questo consente quindi al metodo di avere anche un carattere di tipo “predittivo”.

Altre tecniche quantitative probabilistiche simili a quelle precedente sono il Cash Flow at Risk, l’Earning at Risk nelle quali, alla stessa maniera, si vanno a stimare delle possibili variazioni di valore entro un determinato lasso di tempo47.

Analisi degli Scenari

L’analisi degli scenari è una metodologia quantitativa non probabilistica solitamente utilizzata in fase di predisposizione di piani strategici (per esempio è uno dei documenti sistematicamente redatti in fase di elaborazione di un Business Plan). L’obiettivo è quello di provare a stimare degli effetti che determinati eventi, precedentemente identificati, possono generare su un obiettivo futuro; non basandosi infatti su dati storici

45 Altre informazioni sono disponibili nel documento tecnico “Risk Metrics” pubblicato da J.P. Morgan e

disponibile: https://www.msci.com/documents/10199/5915b101-4206-4ba0-aee2-3449d5c7e95a

46 Per approfondimenti si rimanda alla corposa letteratura disponibile in merito. 47 Per approfondimenti si rimanda alla corposa letteratura disponibile in merito.

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precedentemente raccolti, questa tecnica va a formulare previsioni di tipo prospettico e risulterà particolarmente efficace se svolta parallelamente ad altre in grado di associare una probabilità a ciascuno scenario. In particolare, l’analisi degli scenari quindi può risultare molto utile quando ci sono grandi differenze distribuzionali tra i risultati positivi e i risultati negativi, sia nel tempo che all’interno di un gruppo o un’organizzazione in generale.

Dopo aver stabilito una serie di ipotesi, si prendono in considerazione generalmente tre scenari che varieranno a seconda dei mutamenti dell’ambiente esterno:

1. Scenario più probabile, che conferma il risulta atteso;

2. Scenario migliorativo, che porta ad un incremento positivo del risultato atteso; 3. Scenario peggiorativo, che porta conseguenze negative sul risultato atteso.

Prendere visione di quelli che potrebbero gli scenari futuri consente inoltre di preparare eventuali azioni correttive quindi costituisce un input alla progettazione di eventuali azioni di mitigazione. Tuttavia, le maggiori difficoltà risiedono nel fatto che, essendo comunque una tecnica quantitativa, è soggetta alla disponibilità di dati; inoltre è fondamentale l’abilità dei decision makers di formulare scenari che siano i più realistici possibili.

Stress Testing

Solitamente utilizzata per testare la solidità degli gli istituti bancari circa eventuali crisi di liquidità, questa tecnica viene applicata ogniqualvolta si voglia esprimere un giudizio circa la solidità degli istituti finanziari in generale e si concentra su eventi che possono colpire in maniera estrema un’organizzazione A differenza della tecnica precedente, questa si concentra particolarmente su un unico evento esterno all’organizzazione che potrebbe impattarla con conseguenze estremamente elevate; essendo una tecnica quantitativa non probabilistica infatti, non si tiene conto della probabilità di accadimento dell’evento che, proprio per questa caratteristica di straordinarietà, si ritiene possa essere molto bassa ma comunque ragionevole. Queste caratteristiche fanno in modo che, lo Stress Testing, venga utilizzato in concerto con altre tecniche probabilistiche, ad esempio per studiare i possibili effetti di eventi risultati a bassa probabilità e quindi non valutabili efficacemente con le distribuzioni di probabilità. Tuttavia, a causa delle numerose stime, l’affidabilità dell’analisi tendere a diminuire con l’allungamento dell’orizzonte temporale di riferimento, perciò si dimostra particolarmente idonea per ragionamenti di breve periodo.

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Analisi di sensitività

Questa tecnica viene utilizzata per cercare di valutare l’impatto di variazioni normali di una variabile indipendente su una variabile dipendente, sotto determinate assunzioni; data la sua semplicità di calcolo, viene utilizzata spesso a supporto di altre tecniche probabilistiche, soprattutto in ambito operativo.

I passaggi principali della sua applicazione sono:

1. Individuazione della variabile obiettivo (c.d. “Variabile Dipendente”), come ad esempio il fatturato, il cashflow etc.;

2. Individuazione di fattori che possono spiegare le modifiche avvenute sulla variabile obiettivo (c.d. “Variabili Indipendenti”), come ad esempio margine di contribuzione, costi fissi etc.;

3. Costruzione di un modello logico-matematico che possa mettere in relazione le due variabili sopra descritte;

4. Definizione della variazione attesa della variabile Indipendente; 5. Analisi degli impatti sulla variabile obiettivo.

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4 Il contesto internazionale odierno: un’analisi delle

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