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Le procedure didattiche d’aula e di laboratorio

Nel documento L’INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA SECONDARIA (pagine 52-72)

Silvia Fioretti

1. Elementiteorici

Nella progettazione delle attività di insegnamento, quando si orga­ nizzano dei compiti, delle situazioni di apprendimento, allo scopo di sol­ lecitare l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, per attivare la mobilitazione delle risorse negli studenti, è necessario predisporre occa­ sioni reali, esperienze oggettive, contenuti significativi e interessanti. L’accurata progettazione dell’insegnamento e la scelta oculata di proce­ dure operative più adeguate offre, infatti, agli studenti l’occasione di e- sercitare e mettere in pratica le proprie conoscenze, abilità e le modalità più opportune per sviluppare le proprie competenze.

Per cercare di raggiungere finalità così complesse si rende necessario ripensare alcune procedure didattiche e, in prospettiva problematicista, è opportuno che queste non vengano interpretate in termini assoluti, vale a dire adottate come unico approccio. Piuttosto, è necessario utilizzare un atteggiamento antidogmatico, richiamare un’ampia gamma di proce­ dure per realizzare forme di integrazione ed di compresenza delle diver­ se possibili offerte. Con una proposta bilanciata delle diverse procedure didattiche è possibile, infatti, allontanarsi dal rischio di estremizzare le caratteristiche dei diversi approcci e di provocare squilibri formativi.

Per realizzare un’efficace alfabetizzazione culturale primaria in aula, ovvero per acquisire le conoscenze basilari e gli strumenti culturali fon­ damentali, è necessario adottare sia procedure didattiche individualizzate sia non individualizzate. Fra le procedure didattiche individualizzate vie­ ne indagato il modello metodologico del Mastery Learning56, teorizzato da Bloom e definito in chiave attuale. Fra le procedure didattiche non individualizzate viene presentata la ‘lezione’. Tale procedura, nonostante le diffuse critiche, continua ad occupare un ruolo centrale nell’ambito della trasmissione culturale e va riqualificata inserendola in un repertorio più vasto di tecniche di insegnamento. Per tradurre in pratica la propo­ sta formativa finalizzata all’alfabetizzazione secondaria, vale a dire l’acquisizione di strategie inquisitive, euristiche, creative, si illustra la procedura laboratoriale, teorizzata da Dewey e interpretata anche alla luce di recenti indicazioni normative indirizzate alla scuola secondaria.

Le procedure individualizzate

Il buon esito di qualsiasi proposta formativa dipende fondamental­ mente dall’azione di due tra i numerosi fattori che la realizzano. Le ‘condizioni di partenza’ dell’allievo, rispetto al genere di obiettivi prefis­ sati come meta dell’insegnamento-apprendimento e il ‘grado di adegua­ tezza’ previsto, in termini di adattamento individualizzato.

A questo scopo, per realizzare operativamente l’adattamento della proposta formativa, è fondamentale conoscere le ‘condizioni di parten­ za’ cioè le caratteristiche individuali degli studenti. Queste caratteristiche sono state raggruppate in quattro categorie maggiormente rilevanti ai fini dell’apprendimento: i codici linguistici, i tempi di apprendimento, gli stili cognitivi, i prerequisiti cognitivi posseduti57.

La riflessione intorno ai codici linguistici posseduti a scuola concerne la

capacità di comprendere il linguaggio verbale usato dall’insegnante o quello formalizzato usato dal libro di testo. In genere, la competenza linguistica posseduta dagli studenti è considerata trasversale rispetto alla grande maggioranza degli apprendimenti scolastici ed è ritenuta fonda- mentale nell’agevolare tante acquisizioni. Indubbiamente, il possesso di un codice linguistico ‘ristretto’ può influenzare negativamente la possibi­ lità di comprendere il compito d’istruzione trasmesso verbalmente. Per favorire l’adattamento è, quindi, necessario conoscere le peculiari diver­ sità dei codici utilizzati dagli studenti, per modulare la proposta didattica secondo livelli diversificati di complessità lessicale e sintattica. L’individualizzazione intende evitare, in questo modo, che il possesso di particolari abilità linguistiche, in forme e quantità diverse, risulti discri­ minante e influenzi, in modo negativo, gli apprendimenti successivi.

E' un’ovvia constatazione asserire che gli allievi si differenziano per quanto riguarda i tempi di apprendimento dimostrati. Infatti, con uno stes­

so tempo a disposizione, cioè con un trattamento formativo indifferenzia­ to, allievi diversi per i tempi dimostrati raggiungeranno differenti livelli di apprendimento. Come conseguenza della differenziazione dei tempi con­ cessi dagli insegnanti agli studenti, quindi con un buon grado di adatta­ mento dell’insegnamento alle caratteristiche individuali, il tempo necessa­ rio agli studenti per apprendere, molto probabilmente, risulterà ridotto.

Gli stili cognitivi sono le modalità preferenziali per l’apprendimento. Si­

curamente l’apprendimento risulterà facilitato e reso più veloce se verrà presentato in modo abbastanza conforme e coerente con i modi di cono­ scere acquisiti dagli studenti. Gli studenti si diversificano, infatti, per

quan-57 F. Frabboni, Manuale di didattica generale. Laterza, Bari-Roma 1992; M. Baldacci,

to riguarda la ricezione e l’elaborazione dell’informazione (ad esempio di tipo seriale, distico...) e mostrano anche una maggiore o minore facilità di assimilazione a seconda del medium utilizzato (verbale, iconico...). In

questo caso l’insegnante, considerando l’eterogeneità degli stili sicuramen­ te presenti all’interno della classe, dovrà differenziare le forme della tra­ smissione culturale e le modalità di presentazione degli argomenti58.

I prerequisiti cognitivi costituiscono le basi di una disciplina, definiscono il

livello di conoscenza raggiunto, possono essere intesi come abilità e cono­ scenze essenziali per progredire con successo nella padronanza della ma­ teria. La proposta individualizzata intende adattare il compito di appren­ dimento al livello effettivamente posseduto dagli studenti, proponendo contenuti alla loro portata, tentando di evitare che livelli differenti di co­ noscenze possano pregiudicare il raggiungimento della padronanza.

Le procedure individualizzate si pongono l’obiettivo di fornire una risposta concreta alla esigenza fondamentale di offrire una proposta formativa adeguata a tutti, secondo le capacità di ciascuno, differenzian­ do la proposta di insegnamento e assicurando, in tal senso, il principio democratico dell’uguaglianza delle opportunità formative.

Il modello di individualizzazione maggiormente formalizzato è noto con il nome di ‘Mastery Learning59. Il termine, che tradotto suona: “ap­

prendimento per padronanza”, designa una serie di azioni formative, at­ tuate negli Stati Uniti negli anni ’60 e ’70, in un contesto behaviorista caratterizzato dalla pedagogia per obiettivi. Il Mastery, utile a delineare

una serie di interventi differenziati, è fondato principalmente sull’idea che tutti gli alunni possano accedere alla padronanza se beneficiano del tempo necessario e di una qualità dell’insegnamento che si calibri in modo continuo grazie alle indicazioni fornite dalla valutazione formativa.

Il teorico del Mastery learning, Benjamin Bloom, muove da una con­ statazione-. la distribuzione dei risultati cognitivi riproduce le caratteristi­

che degli allievi al momento dell’ingresso nel percorso di istruzione. L’ipotesi scaturita da tale constatazione sostiene che la grande maggio­

ranza di studenti dovrebbe raggiungere il livello dei risultati raggiunti da 1/3 di allievi. Due tesi sorreggono tale ipotesi: la prima afferma che

l’apprendimento può essere garantito a tutti se si interviene in modo tempestivo e differenziato; la seconda sostiene che l’attitudine di un al­ lievo verso un apprendimento è predittiva solo del tempo necessario a conseguirlo, non del grado finale di abilità raggiungibile.

58 Per la problematica connessa al consolidarsi di uno ‘stile versatile’ si veda M. Bal- dacci, l'individualizzione, cit., pp. 40-56.

59 B. Bloom, Caratteristiche...., cit; J.H. Block, L.W. Anderson, Mastery teaming in classe, Loescher, Torino 1978.

Così Bloom, nel 197660, struttura un modello interpretativo dell’ap­ prendimento scolastico per analizzare le variabili che possono essere mo­ dificate allo scopo di mettere la maggior parte degli studenti in grado di apprendere quello che la scuola insegna. In pratica, intende dimostrare che le differenze nei livelli di profitto raggiunti dagli studenti sono determinate dalla storia scolastica e dalla qualità dell’istruzione che hanno ricevuto. La storia scolastica determina il livello raggiunto da ogni allievo nei prerequi­ siti necessari e la sua predisposizione affettiva, in termini motivazionali, nei confronti del compito successivo. Migliorando la qualità dell’istruzione è possibile osservare un aumento negli studenti sia del loro livello di pro­ fitto, sia del loro impegno/sforzo impiegato, osservando nel contempo una diminuzione del tempo richiesto. In sintesi, i risultati dell’istruzione non dipendono esclusivamente dalle caratteristiche iniziali degli allievi ma dall’interazione di queste con la qualità dell’istruzione.

Le procedure non individualizzate: la lezione

La lezione è una procedura comunicativa estremamente complessa, prevalentemente verbale, influenzata dalla capacità dell’insegnante di ar­ ticolare il proprio discorso in rapporto ai comportamenti degli allievi. Tali comportamenti rappresentano infatti la loro situazione cognitiva, motivazionale ed emotiva. In questo senso le attività di insegnare e ap­ prendere non sono nettamente distinte, è riduttivo affermare che chi in­ segna stimola e chi impara risponde. L’insegnante riceve stimoli, forni­ sce risposte comportamentali in risposta alle sollecitazioni del compor­ tamento degli alunni. Questi rispondono non soltanto agli stimoli offerti dall’insegnante ma ne introducono di nuovi, personali o di contesto. L’insegnante rinforza gli atteggiamenti mostrando di apprezzare i com­ portamenti degli alunni giudicati positivamente quali l’attenzione e la di­ sciplina con le lodi e i buoni voti. La classe avvalora i comportamenti ‘graditi’ dell’insegnante con il consenso e l’accettazione, mentre cerca di estinguere con la contestazione, il disturbo o l’assenteismo i comporta­ menti di insegnamento poco apprezzati61. La lezione si caratterizza, quindi, come una modalità di organizzazione dei comportamenti di in­ segnamento funzionale alla facilitazione dell’apprendimento. Le proce­ dure didattiche legate agli schemi o modelli di lezione collettiva privile­ giano diverse forme utili all’appropriazione del contenuto culturale62. Le

60 B. Bloom, Caratteristiche umane . . . , cit.

61 G. Ballanti, Analisi e modificazione del comportamento insegnante, Giunti, Teramo 1979.

62 Cfr. M. Mazzotta, Come organizsare la lezione, Giunti, Teramo 1985; L. Fontana, Far

modalità principali, sicuramente non esaustive, possono essere rappre­ sentate nel modo seguente.

La lezione monologo, la ‘bella’ lezione di ispirazione gentiliana, criticata

in quanto autoreferenziale e adatta a relegare gli studenti al ruolo di a- scoltatori passivi. Da ripensare in quanto la qualità della lezione dipende non solo dalla conoscenza del contenuto dell’insegnante e dal modo in cui è strutturata ma, in particolare, dalla capacità di entrare in sintonia comunicativa con chi ascolta.

La lezione dialogica, ispirata al dialogo socratico. Gli allievi sono coin­

volti a turno dal docente, in un’interazione a due a due, è maggiormente indicata nei gradi scolastici superiori. La lezione discussione rappresenta una

sorta di estensione del dialogo all’intero gruppo classe, incrementa atteg­ giamenti e motivazioni personali, stimola processi cognitivi superiori (a- nalisi, sintesi, intuizione).

Per tentare di definire il comportamento dell’insegnante e avere uno ‘mappa’ di orientamento per la regolazione di un modello comporta­ mentale nelle lezioni espositive, può essere utile prendere in considera­ zione alcuni elementi dell’insegnamento classificati da De Landsheere63 sulla base di ricerche sperimentali.

Le interazioni, non solo verbali, fra l’insegnante e la classe sono state analizzate attraverso un elenco di /unioni. In qualche modo le ricerche

compiute hanno inteso analizzare che cosa fa l’insegnante quando intera­ gisce e parla con la classe. Lo schema di funzioni individuate contrappone comportamenti verbali di tipo promozionale a comportamenti di tipo im­ positivo nei confronti degli allievi. Al di là delle intenzioni i compor­ tamenti degli insegnanti sembrano oscillare frequentemente fra sviluppo e controllo, facilitazione o eliminazione delle risposte degli studenti. Funzioni di organizzazione, l’insegnante regola la partecipazione degli studenti; orga­

nizza i movimenti degli alunni in classe; ordina; interrompe situazioni di conflitto. In questo caso, l’insegnante organizza verbalmente la classe nelle attività che non riguardano direttamente il contenuto da insegnare.

Funzioni di imposizione, l’insegnante impone informazioni; impone

problemi, metodi di soluzione, modi di procedere che indagano un de­ terminato contenuto; suggerisce le risposte. L’insegnante intende facili­ tare ma non agevola l’operatività degli allievi, stimola soltanto la loro ri­ spondenza, li invita a convergere verso il suo modello.

Funzioni di sviluppo: l’insegnante stimola, chiede un’attività personale;

struttura il pensiero dell’allievo (chiarisce, invita, propone, chiede), fornisce

63 Cfr. G. De Landsheere, Come si insegna. Analisi delle interazioni verbali in classe, Giunti, Teramo 1979.

un aiuto richiesto (risolve, orienta, risponde). Queste funzioni comprendo­ no quelle espressioni verbali tese a stimolare l’iniziativa, l’operatività degli studenti. L’alunno è invitato ad acquisire in modo personale le informazioni, può scegliere i contenuti e i mezzi da utilizzare per appropriarsene.

Funzioni di personalizzatone: l’insegnante accetta una manifestazione

spontanea; invita l’alunno a servirsi della sua esperienza extrascolastica; interpreta una situazione personale. Il docente tende a valorizzare e ad utilizzare le esperienze personali degli allievi, la loro esperienza persona­ le e sociale.

Funzioni di feed-back positivo: l’insegnante approva in modo stereotipato

(“bene...”, “sì”); approva ripetendo la risposta dell’allievo; approva in modo specifico; approva in altro modo (con un cenno, con lo sguardo). La verifica della correttezza della risposta costituisce un’importantissima forma di rinforzo per gli allievi. In questo caso l’insegnante ha la possibilità di aumentare la probabilità di ripetere nel futuro le risposte corrette che ha verificato approvandole.

Funzioni di feed-back negativo: l’insegnante disapprova in modo stereo­

tipato; disapprova ripetendo la risposta in modo ironico o accusatore; disapprova in modo specifico; differisce il feed-back. Il docente disap­ prova le risposte errate allo scopo di bloccarne la ripetizione futura.

Funzioni di concretizzatone-, l’insegnante utilizza materiali e invita

l’alunno a servirsene; scrive alla lavagna; utilizza tecniche audiovisive o multimediali. I comportamenti non verbali sono estremamente impor­ tanti per il rinforzo degli allievi.

Funzioni di affettività positiva: l’insegnante loda, riconosce il merito,

porta ad esempio; mostra sollecitudine, incoraggia, promette una ricom­ pensa; ricompensa; dimostra senso umoristico. Le funzioni affettive si rivolgono al comportamento ritenuto generalmente positivo dell’alunno, tendono ad assicurarne la ripetizione futura.

Funzioni di affettività negativa: l’insegnante critica, accusa, ironizza; am­

monisce, rimprovera, punisce; rinvia in modo vago; rifiuta una manife­ stazione spontanea; assume un atteggiamento indifferente. Come per le funzioni precedenti l’insegnante si rivolge al comportamento degli allievi in generale allo scopo di impedirne la reiterazione futura.

Da queste note ricerche emerge che le funzioni di imposizione (34,5%) e organizzazione (27%) occupano più della metà del tempo de­ dicato all’interazione fra docenti e allievi. Seguono poi le funzioni di concretizzazione (13,3), di feedback positivo (11,4%), per arrivare alle esigue funzioni di affettività negativa (3,8%), personalizzazione (3,7%), feed back negativo (2,7%), sviluppo (2,1%) e affettività positiva (1,4%).

Le procedure laboratoriali

L’apprendimento attivo e legato all’esperienza occupa un ruolo mi­ noritario nell’ambito della didattica quotidianamente applicata nei conte­ sti scolastici, nonostante sia evidente l’opportunità di mantenere uno stretto contatto tra gli elementi contingenti e reali e i contenuti dell’inse­ gnamento per sviluppare negli allievi un atteggiamento attivo e di ricer­ ca. Questo provoca una progressiva estraneità degli allievi non soltanto rispetto alle tematiche e ai contenuti scientifici, tradizionalmente legati all’esperienza condotta in laboratorio, ma anche rispetto alla coltivazione profonda degli atteggiamenti mentali di curiosità, ricerca, indagine che costituiscono le basi di ogni progresso intellettivo.

Tradizionalmente la trasmissione delle conoscenze si è fondata su di un contesto formativo caratterizzato dall’insegnamento formale, dal­ l’imitazione e dall’ascolto64. Allo scopo di favorire il rinnovamento dell’istruzione tradizionale, per superare il nozionismo a favore di pro­ cessi attivi, Dewey propone di far ricorso ad un’istanza pedagogica basi­ lare. To learn by living and by doing - imparare attraverso il vivere e attraver­

so il fare - è l’enunciato che rappresenta tale istanza. Infatti, si impara in modo incisivo e duraturo quando si realizzano esperienze concrete. Sol­ tanto un apprendimento ottenuto attraverso il fare può interessare e co­ involgere gli alunni e, allo stesso tempo, garantire un’assimilazione con­ sapevole delle conoscenze.

Dewey, in opposizione al nozionismo, propone di stabilire una rela­ zione intelligente e significativa, in quanto intenzionale, fra l’esperienza e l’oggetto di apprendimento65. Il soggetto diventa consapevole delle sue capacità perché, attraverso il controllo intelligente dell’ambiente, dirige e convalida le conoscenze teoriche, le abilità operative, gli atteggiamenti che gli sono utili per realizzare i suoi fini. L’azione intenzionale è, allo stesso tempo, la meta dell’intero processo educativo e il mezzo attraver­ so il quale si raggiunge la meta. Il pensiero è attivo in quanto, intenzio­ nalmente, trasforma il proprio oggetto. L’apprendere dell’allievo diventa quindi un processo attivo della conoscenza, un fare significativo.

Per la formazione di un compito così arduo, per consentire all’allievo di operare in modo competente e riflessivo, è necessario disporre di un metodo didattico accurato e in grado di corrispondere agli scopi. Vengo­ no individuate due accezioni riferibili al metodo didattico66. Una prima intenzionale predisposizione delle attività, utile a far acquisire determinate

64 J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1963 (1899).

65 J. Dewey, Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze 2004 (1938).

abilità, ed una seconda, implicita al contesto scolastico, tesa ad occuparsi della formazione delle inclinazioni e dei comportamenti del soggetto.

La prima propensione, definibile come ‘metodo stretto’, corrisponde alle procedure didattiche, ai mezzi che vengono utilizzati per insegnare conoscenze e abilità specifiche e disciplinari.

La seconda tendenza, definibile come ‘metodo largo’, si occupa di strategie educative e didattiche, dell’organizzazione del contesto adegua­ to allo sviluppo di abiti cognitivi e affettivi degli studenti. Il ‘metodo lar­ go’ si origina sulla base degli interessi e delle attività, non trascurando però le discipline e i contenuti programmatici. I contenuti e le discipline vengono elaborati sulla base delle esperienze reali condotte a scuola, in rapporto agli interessi degli allievi.

Lo stesso metodo può assumere entrambi i significati. Può essere u- sato in senso ‘stretto’ di procedura, per ottenere risultati in termini di apprendimento di conoscenze e abilità nel breve periodo. Può assumere il senso ‘largo’, di strategia, in vista del prodursi di effetti collaterali e a lungo termine, quali la formazione di abitudini di pensiero astratte.

Per tentare un’analisi maggiormente rigorosa della complessità della pratica laboratoriale e favorire un orientamento fra i variegati e multi­ formi aspetti, può essere opportuno considerare il doppio ruolo che as­ sume l’esperienza in laboratorio. La pratica laboratoriale assume una doppia proprietà, una doppia valenza, in senso ‘stretto’ e ‘largo’67.

Il laboratorio, in senso ‘stretto’, viene solitamente interpretato come una procedura:, l’insegnante e gli allievi si recano nell’aula intesa come spazio

laboratoriale, all’interno della quale si insegnano determinati contenuti, si utilizzano specifici strumenti, si osservano particolari esemplificazioni, si traducono in pratica procedimenti dettagliati e si realizzano prodotti.

La procedura laboratoriale, in senso ‘largo’, può essere intesa anche come una strategia utile allo sviluppo di competenze, certamente nel me­

dio e lungo periodo. Perciò, la procedura laboratoriale rappresenta lo strumento utile all’organizzazione delle attività, per far sì che esse ven­ gano apprezzate dagli studenti, siano percepite come interessanti e mo­ tivanti, vicine ai loro interessi e alla loro esperienza quotidiana ed, anche, fare in modo che possano produrre conseguenze auspicabili, aiutarli nel­ la risoluzione di situazioni problematiche. È opportuno ricordare che non è necessario uscire dall’aula tradizionale e recarsi in laboratorio per ottenere un’esperienza di apprendimento attivo. Infatti, quello che caratterizza l’imparare facendo, in ‘senso largo’, è il coinvolgimento dello

studente, il suo interesse nei confronti dei contenuti proposti, la possibi­ lità di proporre e intervenire liberamente nella predisposizione del per­ corso, di sperimentarlo praticamente ed anche di esplorare nuovi itinera­ ri. Ad esempio, un ‘laboratorio di poesia’ prevede una situazione didatti­ ca caratterizzata da questi elementi, ed esige un intervento attivo e co­ struttivo per la realizzazione autonoma di nuovi prodotti prescindendo dalla necessità di fruire di uno spazio appositamente attrezzato.

2. Aspettimetodologici he attività individualizzate

L’assunto fondamentale del Mastery sostiene che la grande maggio­

ranza degli allievi può conseguire la piena padronanza degli obiettivi ba­ silari in presenza di una adeguata qualità dell’insegnamento. Tutto ciò è possibile indipendentemente dall’“attitudine” dimostrata da un allievo nei confronti di una certa materia, infatti tale attitudine consente di pre­ vedere soltanto il tempo necessario al raggiungimento di un determinato livello d’apprendimento.

La struttura proposta, con degli aggiustamenti rispetto al modello bloomiano utili ad elevare la fattibilità e la concretezza operativa, presenta le seguenti fasi operative:

- Progettazione, questa fase contiene la delicata scelta dei contenuti e

della selezione degli obiettivi.

- Segmento iniziale d’istruzione, basato sulla trattazione didattica consue­

Nel documento L’INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA SECONDARIA (pagine 52-72)