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Le prospettive geopolitiche italiane all’inizio del XXI° secolo

3.1 L’eredità delle Guerra Fredda: una Paese “geopoliticamente” immaturo.

“La terza guerra mondiale c’è stata ed è terminata, come ogni guerra, con vincitori e vinti … Questa volta l’Italia è dalla parte dei vincitori. Il rischio non è dissimulare una sconfitta con la maschera della vittoria, come nel 1945, o vivere una vittoria come una sconfitta, come nel ’19 o agli inizi degli anni Venti, ma sprecare una vittoria, ignorandola.”.150

Aldilà dei giudizi storici, ancora contraddittori, sull’esito delle due guerre mondiali del ’19 e del ’45, non c’è dubbio che l’Italia stia pagando un prezzo altissimo, in termini geopolitici, alla vittoria (certa, questa sì) riportata nella Terza Guerra Mondiale, la guerra fredda.

“L’Italia risente più di ogni altro paese europeo del contraccolpo della pace. Liberata dall’incubo della guerra, l’Italia si immerge alla ricerca di un nuovo ruolo nella sua questione nazionale, alla ricerca di un’identità sfuggente.151

La guerra fredda, attraverso la divisione del globo in due blocchi contrapposti, aveva conferito all’Italia, che si veniva a trovare all’estremità meridionale del “mondo libero”, una posizione geopolitica di estremo vantaggio (visto che si parla del periodo bipolare, sarebbe meglio parlare di posizione geo-strategica).

Scrive Carlo Jean:

“Sul piano strettamente geostrategico, la fine della guerra fredda ha fatto perdere all’Italia talune rendite di posizione, e in particolare la possibilità di godere di una quota della sicurezza collettiva sicuramente superiore al suo contributo politico e

150

L. Incisa di Camerana: “La vittoria dell’Italia nella terza guerra mondiale”, Laterza Editori, Roma-Bari, 1996, premessa.

151

115 militare all’Alleanza atlantica, scambiando la concessione di basi militari con la quasi completa libertà d’iniziativa politica e commerciale a sud e a est. Inoltre, la presenza di un forte partito comunista ha fatto a lungo temere che l’Italia potesse scivolare nel neutralismo facendo crollare l’intero fianco sud dell’alleanza. Tale situazione ha fatto sì che i nostri alleati ci perdonassero qualsiasi cosa e che la politica militare e, più in generale, la politica estera nazionale, potessero godere del massimo sia di irresponsabilità che di impunità.152”.

Per oltre quarant’anni, il dibattito geopolitico sugli interessi del paese si è così eclissato, nella convinzione che essi fossero interamente assorbiti dalle politiche dell’Alleanza Atlantica (in campo militare) e delle Istituzioni europee (in campo economico e finanziario).

Il paese ha vissuto un periodo di grande “spensieratezza geopolitica”: l’ultima grande scelta strategica del Paese prima dell’oblìo è stata quella dell’adesione all’Alleanza Atlantica; da allora, fino al termine della guerra fredda, l’Italia ha vivacchiato nelle tranquille acque euroatlantiche, assicurandosi una buona dose di libertà d’azione nel contesto mediterraneo, segnatamente quello mediorientale, contando sull’acquiescenza americana.

Il dirompente sviluppo dell’economia italiana degli anni cinquanta e sessanta (il c.d. “miracolo economico”) e la progressiva costruzione di un sistema di welfare al tal punto protettivo da sfociare presto nel puro assistenzialismo statale (sfruttando il risparmio sulle spese per la sicurezza nazionale, che in larga parte era coperto dall’Alleanza Atlantica, ovvero dagli Stati Uniti), ha riempito le “pance” e le tasche degli italiani e svuotato ulteriormente di contenuti il dibattito geopolitico sugli interessi nazionali, confermando plebiscitariamente la lungimiranza della decisione di delegare ad altri la responsabilità delle scelte di politica estera e la difesa del territorio della penisola.

A tal proposito Carlo Maria Santoro conferma che

152

116 “durante la Prima Repubblica non furono elaborati precisi progetti geopolitici e non furono individuati gli assi prioritari preferenziali su cui concentrare sforzi e risorse.153”.

La scomparsa dello spauracchio sovietico, compensata solo in parte dalle aumentate necessità strategiche della Nato e dell’Alleanza Atlantica nel quadrante sud del mediterraneo orientale, e la conseguente divaricazione politica (si può discutere sulla sua profondità, non sulla sua esistenza154) tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, oltre all’accelerazione delle competizione geoeconomica a livello globale, regionale e intraregionale, hanno fatto svanire le motivazioni di fondo della rendita geopolitica italiana e hanno improvvisamente risvegliato il paese dal suo pluridecennale sonno geopolitico.

La disabitudine a “pensare se stessi rispetto al mondo”, ha reso, tuttavia, molto più difficile il processo italiano verso l’identificazione degli interessi nazionali sullo scacchiere globale.

Contribuiscono senz’altro ad aggravare il quadro le “tare” storiche italiane, tra le quali spiccano la debolezza dell’identità nazionale e la consolidata prassi trasformista che svilisce le idee e i progetti di respiro nazionale polverizzandoli in interessi particolari e campanilistici.

Il paese ha, perciò, una coscienza geopolitica immatura: pur avendo origini antichissime, l’Italia è un attore geopolitico che stenta ad “autorappresentarsi”.

La vera eredità della guerra fredda, per l’Italia, è stata quella di averla consegnata al Ventunesimo secolo senza un’identità precisa e un ruolo definito nel mondo.

Le condizioni sistemiche impongono ora all’Italia una rapida crescita culturale e l’urgente avvio di un dibattito geopolitico “democratico” e approfondito: la accresciuta competitività del sistema economico globale ha rimesso in discussione le “tranquille certezze parassitarie” dell’Italia e ha diminuito il suo peso internazionale sotto molti punti di vista.

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C. M. Santoro: “La politica estera di una media potenza”, In Mulino Editore, Bologna, 1991, p.84.

154

A tal proposito, per un approfondimento, si veda: R. Di Leo: “Lo Strappo atlantico”, Laterza Editori, Roma-Bari, 2004.

117 L’Italia, tra i paesi occidentali, è tra quelli più impauriti e preoccupati dall’emergere “degli altri”, delle nuove forze economiche e finanziarie che si stanno imponendo a livello globale.

Alla “paura liquida globale”, quello del terrorismo di matrice islamica, attecchita peraltro anche in Italia senza che essa, nonostante il suo coinvolgimento nelle guerre in Afghanistan e Iraq, sia stata colpita da alcun attentato sul proprio territorio, si è sommata la “paura liquida nazionale”: quella dell’ “invasione cinese”, terribile alfiere di un barbaro “mercatismo155” senza regole che annienta le imprese italiane.

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