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Le riforme di Deng Xiaoping: esperienze nel

La prosperità della Cina deriva da un corso di eventi iniziato oltre trent’anni fa: le riforme di Deng Xiaoping per portare la Cina sulla via del libero mercato, che determinarono, in varia misura, l’innalzamento degli standard di vita e la stabilità politica.

Hanno creato le condizioni di massima efficacia delle riforme le conquiste nel campo della tecnologia, delle reti di trasporto globale, la creazione di quello che è chiamato “villaggio globale”, per cui la tecnologia può ora dislocarsi laddove le risorse umane e gli incentivi finanziari sono migliori e l’industria manifatturiera dove la manodopera è più a buon mercato e la moneta è sottovalutata. Queste riforme, inaugurate nel 1978, mirarono a liberare le energie produttive, pur mantenendo la coesione sociale legiferando, negoziando e reprimendo a posteriori. Generarono dapprima forti disparità: non solamente avvantaggiavano alcune regioni, come le zone economiche speciali, e alcuni individui, i cittadini inurbati in grado di accedere all’istruzione superiore, ma creavano disparità permanenti tra le regioni ricche di materie prime già dotate di infrastrutture e di manodopera qualificata e le altre.

A differenza delle riforme precedenti, quella messa in opera nel 1978 non veniva portata avanti attraverso l’assegnazione di nuove funzioni amministrative agli agenti governativi, ma offriva una vera e propria alternativa al sistema tradizionale di produzione e di distribuzione delle risorse, rendendo ancor più evidente dalle istituzioni locali alle strutture

sociopolitiche, l’evoluzione delle istituzioni sociali. Questa evoluzione a sua volta determinò il sorgere di nuovi problemi relativi alle riforme delle stesse, così che si cominciò a rompere irreversibilmente la coerenza del sistema sociopolitico tradizionale.

A partire dal 1978, infatti, gli individui, le imprese e i gruppi sociali che possiedono forti capitali di relazione sono destinati a occupare una posizione privilegiata. Il capitale sociale, frutto delle nuove appartenenze formate all’epoca di Mao, diviene quindi una delle risorse essenziali al successo economico e sociale, più che il talento individuale e la selezione operata dal mercato. Lo smantellamento della pianificazione conduce ciascuno a cercare di inserirsi in una rete di conoscenze commerciali, politiche, professionali. Le riforme rimuovono i maggiori ostacoli all’iniziativa individuale: il controllo sui prezzi, le restrizioni alla mobilità degli individui, i limiti legali alle imprese, le etichette di classe.

Tuttavia la Cina non diviene per questo un sistema di mercato perfetto, e ciò da una parte perché lo stato conserva una chiara volontà di controllo e di organizzazione del mercato, d’altra parte perché il mercato stesso crea dei monopoli permettendo ai più forti di imporre le regole. In altre parole, la Cina sperimenta ciò che altri paesi hanno conosciuto in epoche storiche precedenti: lo sviluppo del capitalismo, che suppone l’azione e la formazione a volte congiunte, a volte conflittuali, ma sempre reciproche, dello stato e del

mercato143. Questo processo si contraddistingue dapprima per un’estrema prudenza da parte dei detentori del potere, poi, a partire dagli avvenimenti di piazza Tiānānmén, per un ripensamento più profondo dell’eredità dell’epoca socialista. In questo senso vanno le più recenti riforme inaugurate dallo stesso Deng Xiaoping nel 1992, caratterizzate come si è visto da una produzione legislativa volta a permettere alla Cina di aprire i propri mercati e entrare nel gioco della liberalizzazione e seguite, tra il 1997 e il 2001, dalla privatizzazione e dalla ristrutturazione di parte delle imprese statali, in un movimento che culmina con l’entrata della Cina nel WTO. Da questo momento la portata internazionale della Cina si fa sempre più importante, mediante investimenti diretti all’estero e la creazione di una sfera di influenza nella regione dell’Asia orientale e tra i Paesi emergenti, di cui si è trattato.

“Attraversare il fiume tastando le pietre”

Quando la Cina cominciò le sue riforme, le misure adottate miravano a risolvere i gravi problemi economici che si presentavano al governo e la natura dei provvedimenti dipendeva dal giudizio del governo su quello che riteneva essere accettabile e sopportabile per la società. Questo modo di procedere fu caratterizzato con il detto “attraversare il fiume tastando le pietre”: la riforma doveva procedere con prudenza e gradualmente, secondo il ritmo imposto dallo stato. Sebbene vi siano state fluttuazioni nel processo della

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Cfr. F. Braudel, Civilisation matérielle, économie et capitalisme

(XVe-XVIIIe siècle), tome 1, Paris, Armand Colin, 1967; K. Polanyi , The Great Transformation 1944.

riforma, il suo obiettivo principale è rimasto stabile. Il primo passo è consistito nella riforma delle micro-istituzioni che hanno dato autonomia a unità sociali ristrette, migliorando gli incentivi alla produzione e migliorando le risorse a disposizione.

Col procedere della riforma, tuttavia, sorsero dei conflitti tra le istituzioni generali che caratterizzavano l’ambiente sociale e economico e le nuove istituzioni micro-sociali: tale conflitto provocava contraddizioni interne al sistema economico. Se il governo scelse spesso i metodi tradizionali di ri-centralizzare o decentralizzare le unità amministrative per rendere le istituzioni micro-sociali coerenti con l’ambiente politico ed economico generale, tuttavia questo approccio creava una forte pressione sul tessuto sociale specialmente per dirigenti, lavoratori e contadini, e anche una forte pressione finanziaria. Di conseguenza, per lo stato non vi fu altra scelta che di estendere la riforma all’ambiente socio-economico generale per adattarlo all’ambiente micro- istituzionale.

L’evoluzione istituzionale era tuttavia foriera di tensioni sul piano sociale. L’indebolirsi degli apparati di controllo a seguito delle lotte tra fazioni hanno creato una certa autonomia di alcune categorie sociali: i giovani residenti nelle città e che hanno ricevuto un’istruzione superiore si rivelano difficili a controllarsi e i contadini decollettivizzano spontaneamente le loro terre, con la tacita approvazione dei dirigenti. Il rischio di una rivolta della popolazione è elevato. La fase di apertura che caratterizza l’epoca delle riforme è dunque strettamente correlata alla reazione di una parte importante della classe dominante che si sente in pericolo e

cerca una nuova fonte di legittimità nel miglioramento rapido del livello di vita della popolazione. In seguito, questo nuovo patto implicito prenderà un corso più complesso: la classe dirigente doveva garantire la prosperità di una parte significativa della popolazione e accrescerne la mobilità sociale.

La prima fase della riforma passa per la merceizzazione della terra, del capitale e della manodopera. Le specificità cinesi si fanno però presto sentire: la liberalizzazione è molto moderata. Non è la terra ad essere privatizzata ma solamente il suo sfruttamento; lo stato conserva il controllo sulla commercializzazione della maggior parte delle materie prime e sull’insieme del sistema bancario. D’altronde la merceizzazione del mercato del lavoro è ridotta, perché gli operai di stato conservano il loro status e le migrazioni restano limitate.

Nella Cina post-maoista, e più precisamente a partire dal 1976, anno della morte di Mao, i fondamenti della stratificazione sociale non cambiano, tuttavia nuove categorie sociali fanno la loro apparizione, per lo più al margine del sistema. Si nota dapprima la riproduzione del dualismo giuridico sociale che distingue la popolazione rurale e la popolazione urbana: il sistema di residenza huji zhidu che fissava le popolazioni nel loro luogo di nascita o di esercizio della professione, rimane soltanto formale e i contadini delle regioni suburbane sono autorizzati a spostarsi per vendere la loro produzione nelle città e anche a soggiornarvi in modo temporaneo.

Il loro livello di vita cresce in modo significativo: la liberalizzazione dei prezzi e il sistema di responsabilità sulle terre, che conferisce un diritto d’uso ai contadini, portano a un innalzamento dei prezzi dei prodotti agricoli, mantenuti fino a quel momento a livelli molto bassi. Essi diventano quindi padroni della natura della loro produzione e possono decidere delle tecniche di coltivazione impiegate e anche della destinazione del raccolto. Alcuni cominciano a specializzarsi in coltivazioni industriali o a creare imprese, specialmente di trasporti: tuttavia, nel lungo termine, il loro destino non riesce a cambiare radicalmente. A partire dalla metà degli anni ‘80, infatti, i loro redditi ricominciano ad abbassarsi rispetto a quelli dei cittadini, alcune professioni restano riservate ai cittadini e la polizia mette in opera interventi per rinviare gli indesiderati al paese natale.

Dal punto di vista sociale, la prima novità causata dalla riforma concerne il superamento della rigidità delle classi sociali, precedentemente fondata anche a livello giuridico: individui e famiglie di umili origini spesso rientrano con successo sulla scena sociale. La seconda novità riguarda l’educazione: a partire dalla seconda metà degli anni ‘70, dopo la fine della Rivoluzione Culturale, le università riprendono a funzionare normalmente e studiare diviene un’attività non solo legittima ma anche apprezzata.

Infine, si fa strada la legittimazione dell’impresa non pubblica: nelle città emerge una classe di mercanti, l’imprenditore individuale, una nuova figura che fa generalmente lavorare la sua famiglia e più raramente qualche impiegato. Tuttavia, la fisionomia sociale non evolve ulteriormente: l’istruzione ritorna ad essere un indicatore del

ceto sociale e intellettuali, ricercatori e tecnici restano poco numerosi, con un salario e condizioni di vita inferiori a quelle di operai e impiegati.

Per apprezzare la portata delle riforme è necessario ricordare le condizioni di vita della società cinese e il sistema produttivo in cui essa si organizzava: fino all’inizio degli anni ‘80, molti abitanti delle città e la quasi totalità degli abitanti delle campagne non possedevano bagni, frigoriferi, televisori, e l’acquisto di una lavatrice necessitava di una transazione illegale con uno straniero, per ottenere la valuta utilizzabile nei cosiddetti “negozi dell’amicizia”. I ristoranti, tutti pubblici, erano rari e non servivano più dopo le sei del pomeriggio, i vestiti erano strettamente uniformi, il mobilio ridotto al minimo, la bicicletta era per i più fortunati. La penuria materiale e la morale ascetica imposta dalle autorità impedivano qualunque nota personale anche nel comportamento quotidiano.

All’inizio le riforme agivano sulla modificazione dell’equilibrio del governo centrale e delle autorità locali decentralizzate, nonché sull’eliminazione delle diseguaglianze tra regioni e settori sociali attraverso una modifica delle istanze amministrative e politiche ad essi collegate. Tuttavia, questi cambiamenti non produssero altro risultato che alterare la capacità delle autorità locali e settoriali di distribuire le risorse: la strategia di sviluppo tradizionale, la natura del complesso sociopolitico e i meccanismi di distribuzione pianificata delle risorse, con tutto ciò che questo comportava in termini di complessità amministrativa, restarono intatti.

In effetti, l’interesse dei ceti dominanti sarebbe andato perduto in caso di modifiche rilevanti all’apparato politico- amministrativo: i centri di potere locali e settoriali cercarono di mantenere le proprie prerogative durante le successive riforme, di modo che le riforme risultavano in cicli di decentralizzazione e di ri-centralizzazione del potere, a cui corrispondevano cicli di espansione e di riduzione dei poteri locali.

Per decenni, per mettere in atto una strategia di sviluppo dell’industria pesante, la Cina e altri Paesi avevano fatto leva sulle forze del sistema socioeconomico tradizionale, senza però ottenere il successo sperato: i Cinesi ne trassero la conclusione che il sistema socioeconomico tradizionale dovesse quindi essere riformato in profondità.

La portata del “Sistema di responsabilità individuale”

Il sistema di produzione in vigore dal movimento di collettivizzazione del 1950 fino all’introduzione del Sistema di responsabilità familiare o HRS (household responsibility system) alla fine degli anni ‘70, era fondato su un sistema di produzione per squadre. Ogni lavoratore riceveva ogni giorno un gong fen, cioè un punto di lavoro. Alla fine dell’anno, il reddito della squadra di produzione, al netto delle imposte raccolte a beneficio dei fondi di accumulo pubblici, veniva redistribuito a ogni individuo pro rata secondo i suoi punti. Poiché però la natura del lavoro agricolo, allora predominante, è tale da rendere la supervisione molto costosa, il legame tra i punti-lavoro accumulati e il contributo di ciascuno alla produzione era molto debole, cosicché gli

incentivi al lavoro erano praticamente inesistenti. Il fatto che i lavoratori non potessero fuoruscire dalla comune riduceva inoltre ulteriormente i loro incentivi: il risultato era un rendimento insufficiente nella produzione agricola, causa di forti tensioni sociali.

Proprio per riparare alla situazione, fu introdotto alla fine degli anni ‘70 il Sistema di responsabilità familiare, articolato in tre fasi successive: la fase dei contratti per quota di lavoro, la fase dei contratti per quote di produzione, e finalmente la fase dei contratti di responsabilità. Ogni fase fu sottoposta allo stesso processo evolutivo, dal contratto con un gruppo di lavoratori fino al contratto individuale con ogni lavoratore, e alla fine al contratto con una famiglia.

Secondo il contratto per quota di lavoro, le unità di produzione si vedevano assegnare un certo ammontare di lavoro che rispondeva a requisiti predeterminati di tempo, quantità e qualità; e in base ai risultati raggiunti, il gruppo di lavoratori era ricompensato o punito: in effetti, definendo chiaramente quantità, qualità e compensi per il lavoro, lo stato induceva i villaggi a riorganizzare le squadre di lavoro su base volontaria e a ridurre i comportamenti opportunistici. Invece, con il contratto di produzione familiare, che prese piede nelle prime fasi delle riforme, una specifica quota di produzione e un appezzamento di terreno erano assegnati a ogni famiglia, che nominava anche un responsabile per la produzione e si impegnava a consegnare alla squadra una determinata quantità di prodotto.

Il prodotto che eccedeva tale quantità sarebbe rimasto nelle mani della famiglia o sarebbe stato condiviso tra la famiglia e

la squadra di produzione. Con i contratti HRS la terra veniva assegnata ad ogni famiglia secondo il numero dei suoi membri o secondo una media ponderata tra il numero dei suoi membri e la quota totale dei lavoratori del villaggio. Alle famiglie veniva richiesto di pagare tasse statali, di produrre determinate quote di prodotto e di consegnarne una certa quantità alla squadra di produzione per contribuire ai fondi di accumulazione pubblici: una volta soddisfatti questi obblighi, tutto il resto della produzione apparteneva alla famiglia. La differenza più significativa tra questo sistema e il contratto per quote di produzione fu l’eliminazione della ripartizione uniforme dei redditi da parte della squadra di produzione. Questo micro-sistema di libero mercato privato della produzione, un tempo completamente illegale, cominciò a divenire parzialmente legale, fino ad essere promosso dal governo. Durante gli anni delle Comuni del Popolo, i governi locali avevano permesso contratti simili allo HRS solo quando si erano verificate forti carestie. Questo sistema, anche se si era dimostrato efficace nel corto termine, veniva puntualmente ritirato una volta passata l’emergenza poiché poco coerente con l’ideologia socialista. Già nel 1950, quando il sistema delle comuni del popolo era appena entrato in vigore, il HRS emerse e poi scomparve. Nei tardi anni ‘70, quando l’economia nazionale era sull’orlo del disastro, fu di nuovo adottato: veniva tollerato come un’eccezione piuttosto che condannato come una devianza verso il capitalismo. Nel settembre 1979, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese promulgò la cosiddetta “Decisione concernente l’accelerazione dello sviluppo dell’agricoltura”: i contratti di produzione con le famiglie erano permessi per

alcune filiere di produzione e per le famiglie che vivevano isolate in aree remote. Questo documento fu la prima indicazione ufficiale che, seppure in situazioni particolari, i contratti di produzione con le famiglie potevano essere tollerati nel lungo termine. Quando fu dimostrato che il HRS era necessario per risolvere il problema delle frequenti carestie e della sottoproduzione, le politiche del governo si fecero più indulgenti.

Gli appunti delle riunioni del comitato centrale del Partito Comunista Cinese intitolate “Questioni riguardanti l’ulteriore accelerazione e il perfezionamento del sistema di produzione HRS agricolo”, nell’autunno del 1980, riportano infatti: “nelle aree più povere e più remote, la produzione dovrebbe essere affidata alle famiglie, sotto forma di sistemi di produzione familiare per quote oppure del sistema di responsabilità familiare, se così vogliono i membri delle squadre di produzione”.

Con questa politica meno rigida, la proporzione delle squadre di produzione che optavano direttamente per i contratti di produzione familiari oppure per il HRS crebbe in modo notevole, dall’1,1% all’inizio del 1980, fino a circa il 20% alla fine dello stesso anno. Da quel momento i villaggi più poveri avevano tutti adottato questo sistema, poiché esso rispondeva meglio alle attese dei lavoratori agricoli. La produzione agricola aumentò sostanzialmente dovunque fosse adottato il sistema contrattuale con le famiglie. Dato il successo, il governo rese ancora più indulgente la propria politica nel 1981, e nel 1982 eliminò tutte le restrizioni. Ciò permise al 30% delle squadre di produzione a più basso

reddito, nonché a un terzo delle squadre di produzione a più alto reddito di adottarlo.

Nel 1983, lo stato provvide a una giustificazione ideologica di questa riforma. Il HRS fu accettato esplicitamente come un modus operandi dell’economia collettivista socialista, che combinava l’iniziativa individuale e il lavoro organico. Esso era considerato “in linea con il patto di sviluppo attuale, dove il lavoro agricolo è perlopiù di natura manuale, e adatto alle caratteristiche della produzione agricola. Il sistema è anche conforme ai bisogni di produttività e alle necessità di aumentare la produttività nel processo di modernizzazione”. Così, un altro 15% delle squadre ad alto reddito, si aggiunse alla lista. Nel 1984, il governo promulgò nuove misure attraverso le quali rafforzare e migliorare il sistema, fino a che il restante 4% delle migliori squadre di produzione vi aderì, segnando così il compimento della riforma della produzione nelle aree rurali144.

I dati statistici rivelano che la crescita agricola totale e la crescita annuale media dal 1978 al 1984, quando il HRS divenne predominante, ammontavano rispettivamente al 42,23% e al 6,05%, cifre che non erano state registrate dai tempi della fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1948. La ragione per la quale il HRS può essere ritenuto l’elemento che più contribuì allo sviluppo agricolo è che con questo sistema, alle famiglie fu permesso di trattenere la produzione in eccesso delle quote richieste, cosicché il vantaggio comparativo della Cina nell’agricoltura, cioè

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Cfr M. Hammer, Au coeur de la politique chinoise: les débuts de

l’ère de Deng Xiaoping, Genève, Insitut Universitaire de Hautes

l’abbondanza di manodopera, poté essere sfruttato appieno. Tuttavia è bene tener presente che la riforma agraria in Cina non cambiò i diritti di proprietà sulla terra, poiché il HRS può essere considerato come una specie di sistema di leasing. Un importante sforzo che migliorò ulteriormente il HRS fu lo stabilimento e la miglioria del sistema operativo del settore agricolo. Nelle prime fasi, l’organizzazione collettivista all’interno dell’economia cooperativa era in larga parte incapace di offrire servizi quali le infrastrutture agricole, i fattori di produzione e l’organizzazione della vendita dei prodotti, tutti caratterizzati da economie di scala, che necessitavano di unità di produzione superiori alle squadre di produzione.

Fu quindi anche per dare nuovo impulso alla costruzione di progetti di irrigazione e di infrastrutture che le organizzazioni della società civile furono riformate: nel sistema delle comuni del popolo, infatti, le organizzazioni della società civile erano nate per servire la strategia del “balzo in avanti”. Le organizzazioni comunitarie dovevano svolgere varie funzioni e prima di tutto assicurare il controllo delle risorse di produzione affinché non potessero essere usate in altri settori. Dovevano anche garantire che la forza lavoro agricola non fosse trasferita fuori dal settore agricolo, e che i sovrappiù della produzione agricola restassero sotto il controllo dello stato. Inoltre, le organizzazioni sociali dovevano contribuire al controllo delle vendite dei prodotti e alla raccolta delle tasse. La loro funzione più importante era di assicurare che i prodotti agricoli principali fossero venduti ai prezzi calmierati decisi a livello statale, permettendo allo stato di imporre una tassa invisibile sui prodotti agricoli, a vantaggio

dei prodotti industriali: la maggior parte degli studiosi concorda che vi fu un drenaggio di risorse dall’agricoltura ad altri settori per sostenere lo sviluppo industriale. Infine, le organizzazioni comunitarie dovevano esercitare il proprio controllo su tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica della comunità rurali: l’esempio più evidente di tale funzione di controllo è la pianificazione familiare.

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