PNarm 66.362 [Tav XII, nr 27] è il più antico frammento pervenutoci di un’opera di Virgilio in forma di libro 97 Rotolo databile alla seconda metà del
2. Le trasformazioni del libro latino dal II 1 d.C al III 1 d.C.
A partire dalla metà del II secolo, nelle testimonianze letterarie latine cominciano a intravedersi cambiamenti nella mise en page, nell’ortografia, ma anche nella scrittura, che si consolideranno nel corso restante del secolo e in quello seguente. Alcuni sintomi si possono già constatare in testimonianze datate tra la fine del I e l’inizio del II secolo: a esempio, le minori dimensioni riscontrate in PNarm 66.382, che mostra anche un’evoluzione in senso grecizzante della forma di alcune lettere; oppure l’uso non più sistematico di segni interpuntivi (vd. supra, §1/III); tendenza generale è la diminuzione dell’ampiezza della colonna di scrittura, in conseguenza del progressivo influsso delle pratiche librarie greche.
I frammenti papiracei databili a questo periodo sono tutti di provenienza egiziana. Essi testimoniano: 1) la sempre più massiccia diffusione della conoscenza della letteratura latina in questa provincia, con numerosi papiri di contenuto letterario anche di livello bibliologico piuttosto elaborato allestiti in loco; ad essi continuano ad affiancarsi prodotti importati; 2) la trasformazione della scrittura
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latina, con l’inserimento nel tessuto capitale di forme onciali; la presenza di diversi livelli, più o meno eleganti, di corsivizzazione di tale scrittura, ben evidenti negli esercizi di scrittura che appaiono piuttosto diversi rispetto a quelli del periodo precedente; 3) forme diverse di apprendimento del latino, attraverso i testi tipici dell’ambiente scolastico: le favole, ma soprattutto i glossari, prima solo bilingui, poi anche digrafici.
§ 2/I PAPIRI LATINI DI CONTENUTO LETTERARIO IN CAPITALE LIBRARIA:IEX.-
IIEX.
Il panorama grafico-librario della prima metà del II secolo si presenta anch’esso abbastanza vario.
Particolare è la scrittura di POxy 2088 [Tav. XV, nr. 35], che tramanda un testo di argomento storico sul re Servio Tullio, di incerta paternità. Si tratta di un rotolo di papiro che mostra resti di una colonna contenente almeno 17 linee di scrittura, la cui ampiezza è di circa 11 cm. Trattandosi della parte centrale di una colonna di scrittura, non è lecito azzardare ipotesi sulle dimensioni complessive dello specchio di scrittura; nessun margine si è infatti conservato. Si può tuttavia constatare che 17 linee di scrittura in rapporto all’altezza del frammento, 11-12 cm (l’interlinea non è ampio e la scrittura appare piuttosto fitta), sembrano compatibili con un rotolo di formato greco piuttosto che latino, situato perciò a un certo grado di distanza rispetto ai testimoni finora esaminati. La scrittura latina è una corsiva particolare, con poche legature, che Lowe riteneva fosse propria dei libri di basso costo131 (tuttavia, come già osservato, queste distinzioni in ambito latino si rivelano spesso poco affidabili). La coda di g è un corto tratto orizzontale orientato verso destra sulla linea di scrittura; si trova spesso i lunga, usata senza valore distintivo (diversamente in PHeid L 1); il tratto mediano di n è una linea diritta e in alcune realizzazioni è posto molto in alto, dando quasi alla lettera forma di π; la pancia di q è ridotta a una linea con una coda inclinata obliquamente a destra; u ha due realizzazioni, una ampia132 e una a forma di v, meno frequente; si notano ispessimenti alle estremità di i, l, u; le forme di a senza traversa, b con pancia a
131 POxy XVII; CLA Suppl. 1714.
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sinistra, d quasi in forma minuscola e r in due tratti sono caratteristiche delle capitali corsiveggianti di questo periodo. Nel complesso il tratteggio della scrittura può apparire ‘a sgraffio’. Si nota inoltre l’uso sistematico degli interpuncta. Quanto alla datazione, propenderei per un periodo compreso tra la fine del I secolo e la prima metà del II. Un buon confronto grafico è offerto dalla scrittura di POxy 4955 [Tav.
XV, nr. 36], un registro di ordini militari databile allo stesso arco cronologico133. Allo stesso periodo ascriverei due tra i più significativi papiri latini letterari che l’Egitto ha restituito, che testimoniano la costante presenza in quel contesto di opere storiche, diffusamente lette. Mi riferisco ai frammenti sallustiani PRyl 42 (bellum
Iugurthinum 31.7) e PRyl 473 + POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a (historiae, forse dal libro I)134. Di entrambi i papiri ho preso visione a Manchester e a Oxford nell’agosto del 2009. PRyl 42 [Tav. XVI, nr. 37] è conservato in una teca di vetro con altri frammenti di numero d’inventario contiguo, tutti greci. Il frammento ha un’ampiezza complessiva di 13 × 12 cm. Sono visibili, frammentarie, sette linee di scrittura e vi sono tracce di un’ottava. Il margine inferiore, che appare integro, misura 6,2 cm; il margine esterno, o meglio l’intercolumnio visibile, misura 3 cm. Le lettere, di modulo ampio (alte almeno 5 mm), sono tracciate in inchiostro nero con calamo a punta morbida; molto accentuato, quasi ‘manieristico’, è il contrasto tra pieni e filetti. In base alle lettere rimaste ho calcolato che l’ampiezza media della colonna di scrittura doveva essere di circa 9-10 cm135, posto che il margine destro fosse effettivamente rispettato, come sembra suggerire la quantità di lettere per linea, ricostruibile essendo il testo noto. Il rotolo, dunque, doveva essere di buona qualità e grande formato, come fanno supporre i margini ampi; in ogni modo, la lunghezza della linea di scrittura parrebbe essere compatibile con la consuetudine greca
133 POxy LXXIII. Un altro confronto si può istituire con la scrittura di una lettera dell’archivio di
Claudio Tiberiano, databile all’inizio del II secolo (PMich 468, in PMich VIII e ChLA XLII 1217). In tutti e tre i frammenti si ritrova il medesimo andamento corsivo, ma più posato rispetto a frammenti con atteggiamenti corsivi più marcati (a esempio, PBerol inv. 8507r). I tre condividono inoltre il gusto per l’esasperazione di alcuni tratti, fatto che, come abbiamo visto, è presente in papiri latini dell’ambiente militare. La stessa tipologia, andamento corsivo e tratti ornamentali esasperati, la si ritrova in un frammento di contenuto giuridico in tema di testamentum militis di epoca successiva: PFay 10 + PBerol inv. 11533 (per il quale vd. infra, § 2/V). Si potrebbe dunque ipotizzare in ambito militare l’uso tipico di una scrittura corsiva, ma più posata rispetto ai documenti, per testi di contenuto letterario e paraletterario.
134 Una descrizione di entrambi i papiri è in Funari 2008, pp. 63-72 e 117-151. POxy inv. 68
6B.20/L (10-13)a è conservato alla Sackler Library di Oxford.
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piuttosto che con quella latina più antica. Per questo collocherei il papiro non nel I secolo, ma nel II. Rilevo inoltre la mancanza di interpuncta e di qualsiasi altra forma di separazione delle parole.
PRyl 473 [Tav. XVI, nr. 38] + POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a è stato edito complessivamente da Roberts nella serie dei Rylands papyri (PRyl III). Il frammento
mancuniano mostra la parte inferiore di una colonna di scrittura, ma sono visibili tracce anche della colonna successiva. Si osserva che il rispetto del margine destro non è costante. Le dimensioni complessive sono 12,5 × 18,3 cm. POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a è costituito in tutto da 4 frammenti (A, B, C, D). A, il più grande (largo 17 cm e alto 18,4 cm), reca la parte inferiore di una colonna di scrittura e tracce di una seconda. Da entrambi si ricavano dati utili e coerenti sulle dimensioni del rotolo (o dei rotoli) originari. L’intercolumnio, misurabile in entrambi, è di 4 cm. L’ampiezza del margine inferiore, originariamente superiore ai 7 cm, si ricava da POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a. L’altezza della linea di scrittura sommata all’interlinea è di 0,8 cm. L’ampiezza di una linea di scrittura sarebbe compresa tra 8,5 e 9 cm. Le lettere di PRyl 473 + POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a hanno un andamento più verticale rispetto a quelle di PRyl 42. Fra PRyl 473 + POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a, che mostra una capitale rettangolare, e PRyl 42, che mostra invece una capitale quadrata, si riscontra una distinzione già osservata in alcuni papiri ercolanesi di buona qualità, quali a esempio, rispettivamente, PHerc 1475 e 1067.
Proprio il confronto con i materiali ercolanesi ha spinto gli studiosi ad alzare la datazione dei due frammenti. Se per Roberts e per Lowe erano entrambi databili al IV secolo, Bassi, Cencetti, ma soprattutto Nicolaj e Cavallo, hanno proposto datazioni decisamente più alte136. In particolare, Nicolaj 1973 colloca i papiri nel periodo di fioritura del canone della capitale libraria, quindi al II-III secolo. A conclusioni più estreme giunge Cavallo 1996 [2005], che – a partire dalla retrodatazione del contenuto del verso di PRyl 473, ovvero PRyl 527, un trattato di
136 CLA 2.223 e CLA Suppl. 1721; Nicolaj 1973; Cavallo1996 [2005]. Aggiungo che l’inchiostro
nero usato in entrambi i papiri è poco compatibile con una datazione al IV secolo, poiché in quell’epoca i manoscritti in capitale imitativa mostrano pressoché tutti inchiostro marrone di composizione ferrogallica.
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astronomia in greco riferibile al II e non al V secolo – propone di collocare entrambi i frammenti sallustiani nel I secolo.
Nonostante ciò, ribadisco la mia propensione per una datazione al II secolo, come suggerisce la mancanza di interpuncta e la colonna di scrittura, che sembra già risentire dell’influsso dei modelli librari greci; si consideri infatti la maggiore ampiezza della colonna di scrittura dei papiri latini ercolanesi citati a confronto137. Le differenze fra i due papiri sallustiani, inoltre, non hanno a mio parere valore cronologico-relativo, ma rappresentano semplicemente l’opera di due mani diverse138, educate entrambe all’esecuzione della scrittura di più alta qualità formale. Quanto al luogo d’allestimento dei due rotoli, non è improbabile che siano stati allestiti in Egitto, forse nella stessa Ossirinco139, dove sono stati rinvenuti, e nell’ambito di un medesimo progetto editoriale.
Per questo periodo esistono altri esempi di capitale libraria. Alla prima metà del II secolo attribuirei il papiro di Milano, Museo Archeologico inv. 180140, che ha margini ampi e una colonna di scrittura larga 9 cm141. Assenti interpuncta, come conferma Dingel142; questi, avendo ritrovato versi senari nella sequenza metrica delle ll. 2-3, ipotizza che il frammento testimoni una sententia di un antico dramma romano, tragedia o commedia, forse una traduzione dal greco. Meraviglia la relativa esiguità della colonna di scrittura.
Anche PPalau-Ribes 151143 [Tav. XVII, nr. 39] è datato al II secolo d.C. Misura 7,5 × 9,8 cm ed è scritto solo al recto. Sono leggibili le ultime lettere di una colonna troncata in basso, ma con il margine superiore ancora conservato, alto al massimo 2 cm; l’intercolumnio misura 3 cm. Si ricostruisce con facilità la parola bibliotheca, ma
137 Capasso 1991, p. 224.
138 Simile a, più allungata in PRyl 473 + POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a, più quadrata in PRyl 42. La
b è in entrambi alta e in quattro tratti. Identiche le n, ma in PRyl 42 la lettera appare più diritta. Identica è anche la forma della s, in tre tratti, alta sulla linea di scrittura. Il tracciato di u/v è anch’esso analogo, con tratto sinistro curvo e destro diritto, seppure con esiti leggermente diversi. Le g sono tuttavia diverse (contrariamente a quanto sostiene Cavallo 1996 [2005], una g è visibile anche nel PRyl 42).
139 A questo proposito ritengo di dover rigettare la ricostruzione proposta da Funari 2008, p. 17,
secondo il quale PRyl 42 e PRyl 473 + POxy inv. 68 6B.20/L (10-13)a sarebbero stati prodotti in uno scriptorium dell’Italia meridionale.
140 CLA Suppl. 1735, dove rileva che il frammento ha subito danni durante la seconda Guerra
mondiale.
141 Secondo Lowe; secondo l’editore, meno attendibilmente, 11 cm. 142 Dingel 1974b.
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l’andamento del testo, per il quale non sono state proposte identificazioni, sembrerebbe narrativo piuttosto che documentario. L’editore nota la presenza di un segno non alfabetico a l. 11, forse un tipo di paragraphos o altro espediente indicante interruzione di sezione. Nell’edizione sono segnati anche interpuncta.
PHeid L 3144 testimonia lo stesso tipo di capitale; è di contenuto giuridico e mostra interpuncta. Ugualmente PVindob L 16 [Tav. XVII, nr. 40], frammento da rotolo papiraceo di contenuto non identificato, di buona qualità apparente, che daterei al II secolo. Rivela tracce di 8 linee di scrittura e il margine superiore è di almeno 3 cm. La scrittura capitale è tracciata con tratti molto spessi. I punti medi sono originari, mentre gli accenti e i segni di quantità, a giudicare dal colore dell’inchiostro, sono stati apposti in un secondo momento145.
Nonostante appaia evidente che verso la seconda metà del II secolo non esistano convenzioni grafico-librarie universali che regolino l’assetto del libro latino, si evidenziano quali elementi di una trasformazione in atto, la riduzione dell’ampiezza della colonna di scrittura e l’uso non più sistematico degli interpuncta.
Un caso interessante è PMich 429 [Tav. XVIII, nr. 41] + PLitLond 184, un testo grammaticale rinvenuto a Karanis e variamente attribuito146. Lowe ne ha definita la scrittura ‘capitale rustica di tipo antico’: a è senza traversa; d, m, n sono ampie; f scende molto oltre la linea; g e q hanno la coda che va da sinistra a destra; i è lunga in inizio parola; u ha forma di v. Si tratta di un riuso: il recto ospita infatti PMich 447, registro militare in corsiva latina databile al più tardi al 172 d.C.147 I due frammenti non sono immediatamente avvicinabili, ma è probabile che PMich 429, trattando di dittonghi e quindi di un argomento introduttivo, venisse prima di PLitLond 184, che riguarda le parti del discorso. In PMich 429 si trova a l. 18 una citazione di Verg. Aen. 9.26. Alcune parole, compresa la citazione virgiliana, sono sopralineate per essere evidenziate, così come lettere e dittonghi quando sostantivati. Le dimensioni di PMich, 9,5 × 21 cm, che reca ventidue linee parziali di scrittura con tracce di una ventitreesima e un margine superiore di 6 cm, fanno pensare a un
144 Sulla retrodatazione di questo frammento vd. infra, cap. IV, 1.
145 PVindob L 16 è attribuito erroneamente a PMich 429 + PLitLond 184 (per il quale vd. infra) in
Cherubini-Pratesi 2004, p. 10; per un confronto tra i due item vd. Nicolaj 1973, p. 19.
146 Un riesame di tutte le posizioni in Wouters 1979.
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allestimento di buona qualità. PLitLond misura 18 × 17,3 cm, ha margini visibili ampi (quello inferiore di 5 cm) e l’intercolumnio di 4 cm; riporta due colonne di scrittura di diciassette linee ciascuna. Secondo Wouters, il rotolo integro doveva essere alto almeno 27,3 cm. Si noti tuttavia che il modulo delle lettere, 3,5 cm, è ridotto rispetto ai modelli capitali sin qui esaminati; inoltre, l’ampiezza della colonna è ridotta, circa 8 cm (si misura integra nel frammento londinese), e l’interpunctio è assente. Wouters data il testo grammaticale tra gli ultimi decenni del II secolo e i primi del III; secondo i primi editori (PMich VII) si trattava di un testo scolastico copiato dall’esperta mano di un maestro. Osserva tuttavia Wouters che, intorno al 200 d.C., la conoscenza del latino in Egitto non doveva essere particolarmente diffusa: esso era usato solo nell’esercito, nei gradi più elevati dell’amministrazione, nella vita commerciale. Non ci sono elementi perciò, conclude Wouters, per attribuire il papiro all’ambiente scolastico. Il testo, piuttosto dettagliato e tecnico, fu forse copiato per uso personale da un alto funzionario romano specialmente interessato alla grammatica; come materiale scrittorio usò fogli d’archivio dismessi, che deteneva presso di sé. Su questa linea interpretativa si pone Seider (PLP II 1, nr.
5), secondo il quale lo stile della scrittura del rotolo porta un interessante contributo alla conoscenza dello sviluppo della scrittura libraria romana, «die in den Schreibstuben des römischen Heeres gepflegt wurde». Il frammento, insomma, fornirebbe un esempio di capitale parzialmente stilizzata in senso ‘militare’. La teoria ha il pregio di giustificare dal punto di vista grafico l’attribuzione all’ambiente militare del testo grammaticale, ma, dal canto mio, non sono convinta che sia opportuno parlare, per questo livello cronologico, di vere e proprie stilizzazioni. A mio parere, PMich 429 + PLitLond 184 dimostra che, all’epoca in cui fu scritto, in ambito provinciale vigeva ancora quello stato di non distinzione fra scritture latine librarie e documentarie, cui si è più volte fatto cenno. Anche le datazioni proposte per questo frammento sono varie; accetto quella di Wouters a fine II-inizio III secolo148.
148 Pur essendo in capitale, ci sono differenze rispetto ai PRyl sallustiani nel tracciato di alcune
lettere: un tratto ricorrente è il senso rientrante della base di a e m; diverse sono inoltre la forma di g e di q. Secondo Radiciotti 2008b, p. 138 e n. 1 PMich 429 + PLitLond 184, sebbene ancora identificabile come espressione della capitale libraria, offre disegni di a e d, che lasciano chiaramente presagire le trasformazioni proprie dell’onciale.
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