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Prima di trattare nel dettaglio i singoli vocaboli suddividendoli a seconda della loro area di provenienza, trovo opportuno dedicare qualche paragrafo all’analisi di tutti quei termini che si possono inserire nel «lessico della villeggiatura».

In tutte e tre le commedie che compongono la Trilogia si ritrovano, infatti, almeno quattro macro-settori che rispecchiano lo stile di vita e i passatempi prediletti dai villeggianti facendo da sfondo, talvolta, a quelle che sono le vicende che si susseguono nell’opera; questi quattro grandi ambiti sono la moda, i giochi e, in

particolare, i giochi di carte d’azzardo, l’alimentazione e, infine, il settore economico-burocratico.

Le voci lessicali ad essi appartenenti saranno presentate, in questa parte iniziale, attraverso l’ausilio delle definizioni date dai vocabolari utilizzati per la ricerca al fine di rendere più completa ed esaustiva l’analisi dei termini.

2.1 La moda e l’abbigliamento nel Settecento

Per quanto concerne il lessico della moda, ciascuna delle commedie della Trilogia risulta essere un’ottima testimonianza di quelli che erano i costumi più in voga nel corso del Settecento, l’epoca di Goldoni.

Cominciando lo spoglio linguistico dalle Smanie per la villeggiatura, la prima in ordine di composizione, già nella didascalia iniziale si registrano tre termini annoverabili all’interno del settore dell’abbigliamento:

Paolo che sta riponendo degli abiti e della biancheria in un baule, poi Leonardo. [Didascalia, SV, I, I]

I vocaboli qui interessati sono:

abiti, s. m. sinonimo di vestiti, dal latino habitus vestis, vestimentum, “vestimento,

foggia, e modo di vestire” (Vocabolario della Crusca, 1612).

Nel GDLI la definizione riportata per il termine è molto simile a quella precedentemente proposta in quanto si dice di abito, “veste, vestito; modo o foggia di vestire; particolare tipo di abbigliamento […]; uniforme, divisa.”

biancheria, s. f. dall’agg. bianco, “i panni di tela bianca che servono al vestire e

altri usi di casa” (Tommaseo-Bellini).

Il Vocabolario della Crusca, nella sua terza edizione del 1691, propone come definizione del termine “ogni sorta di panno lino di color bianco”, facendolo derivare dal latino res linearia.

Infine, un significato più moderno della voce lessicale interessata è quello proposto dal GDLI che intende biancheria come “denominazione generica degli indumenti d’uso personale (camicie, mutande, sottane) - anche: biancheria da

tavola (tovaglie, salviette, tovaglioli, ecc.), da letto (lenzuola, federe), da toeletta o da bagno (asciugamani, accappatoi)”.

Il lemma, così come viene impiegato da Goldoni nella didascalia delle Smanie, sembra poter rispondere all’ultimo significato proposto dal momento che, per andare in villeggiatura, oltre ai vestiti, era necessario portare anche oggetti utili per la casa.

baule, s. m. dallo spagnolo baúl, “cassa da viaggio (di legno, di cuoio, di fibra,

una volta cerchiata di ferro) con coperchio convesso (almeno originariamente) e, di solito, con chiusura a linguette (e con lucchetto): per biancheria, oggetti personali, ecc.” (GDLI).

Se questa risulta essere la definizione più completa ed articolata per il termine, sia il Tommaseo-Bellini che il Vocabolario della Crusca ne propongono una molto più sintetica, indicando il baule come una “sorta di cassa o di valigia da viaggio”.

Riporto di seguito due battute riprese dalle Smanie per la villeggiatura che contengono tre termini rilevanti, relativi all’abbigliamento, utilizzati piuttosto frequentemente nella Trilogia da Goldoni:

Non signore. Il vestito nuovo glielo fa il sarto. [Paolo, SV, I, I]

Guarda se trovi Berto. Se non c’è, corri dal mio sartore, digli che assolutamente […] vo’ che mi porti il mio mariage. [Vittoria, SV, I, VII]

Analizzandoli in ordine, il primo vocabolo che si registra è vestito, dal latino

vestītus, definito nel GDLI come “abito; insieme degl’indumenti esterni che

servono ad abbigliare la persona”.

Interessante in proposito è evidenziare le definizioni che vengono proposte negli altri due dizionari di riferimento, ovvero il Tommaseo-Bellini e il Vocabolario

Nel primo, il termine vestito è considerato principalmente come participio passato e aggettivo da vestire, tanto che l’esempio proposto per la spiegazione lo chiarisce: “Dant. Purg. 12. A noi venía la creatura bella Bianco vestita, e, nella

faccia, quale Par tremolando mattutina stella”, ma accanto a questa definizione,

il lemma viene inteso anche come “vestimento”.

Per quanto riguarda il Vocabolario della Crusca, la situazione sembra essere analoga dal momento che l’unica definizione proposta per vestito rimanda al sostantivo vestimento.

Un altro termine da considerare negli esempi riportati è sarto, s. m. dal latino

sarcinator, “quegli che taglia i vestimenti, e gli cuce” (Vocabolario della Crusca,

1623).

Il GDLI, invece, dà come definizione “artigiano che, come lavoratore autonomo o in quanto impiegato in un laboratorio, taglia, cuce e confeziona abiti maschili o femminili - in partic. chi dirige una sartoria o una casa di moda, curandone personalmente la creazione e i modelli”.

Nella Trilogia della villeggiatura, il termine sarto viene impiegato anche nella sua variante arcaica sartore.

Infine, nel secondo esempio riportato, si registra la voce lessicale mariage, un prestito integrale dal francese che, in uno dei suoi significati secondari, sta ad indicare “un felice accostamento di colori” (Garzanti Linguistica); in questo caso specifico, dunque, il mariage è da intendersi come un particolare abito da donna caratterizzato da due nastri di diverso colore intrecciati tra loro e posti su una stoffa; la particolarità consisteva nella bravura del sarto nel combinare i colori in armonia: è l’abito che si contendono Vittoria e Giacinta per apparire come le più eleganti durante il periodo della villeggiatura.

Si fa fare delle mantiglie, de’ mantiglioni, delle cuffie da giorno, delle cuffie da notte, una quantità di forniture di pizzi, di nastri, di fioretti […] e tutto questo per andare in campagna. [Paolo, SV, I, I]

Come si evince chiaramente da questa battuta, Le smanie per la villeggiatura risulta essere, tra le tre, la commedia più ricca di riferimenti all’ambito della moda

e questo perché i protagonisti sono in procinto di partire e stanno preparando il necessario da portare con loro a Montenero, luogo della villeggiatura.

Analizzando l’esempio sopra citato, si ritrovano svariati elementi da prendere in considerazione in vista dello spoglio linguistico, tra questi:

mantiglie, s. f. dallo spagnolo mantilla, “specie di mantellina di seta, per lo più

nera, per uso delle signore, piuttosto ampia e lunga, le cui falde passando sulla piegatura delle braccia scendevano allargate sul dinanzi fin verso le ginocchia” (Vocabolario della Crusca, 1863).

Nel GDLI la definizione di mantiglia rende conto, anche, tanto delle indicazioni relative al periodo temporale in cui quest’abito era in voga quanto delle sue caratteristiche al tempo di Goldoni: s. f. “mantella, mantellina, scialle alquanto ampio e lungo (e nella moda femminile, soprattutto nel secolo XVIII, indicò una mantellina, per lo più nera, di merletto o di seta, con doppio bavero o cappuccio, che ricopriva le spalle e scendeva fino alla vita). - In partic. scialle di merletto, di lana, di seta, che ricade sulle spalle e sul petto (ed è indumento tipico delle donne spagnole che lo portano sostenuto sul capo da un altro pettine infilato fra i capelli).”

mantiglioni, s. m. “mantiglia con cappuccio” (GDLI).

Nel vocabolario preso in esame, l’esempio riportato per il termine appartiene proprio all’autore Carlo Goldoni; con molta probabilità, volendo l’autore distinguere il termine mantiglioni da mantiglie, con il primo intendeva indicare delle mantelle più ampie che scendevano lungo tutto il corpo.

cuffie, ant. cùfia, scùffia, s. f. “copricapo leggero di lana, di stoffa o di tela, ben

aderente al capo, che scende fino al collo e viene fermato sotto il mento, mediante due lacci”, in Goldoni “berretto da notte” (GDLI).

Nel Vocabolario della Crusca del 1729 il termine è definito come “copertura del capo, fatta di panno lino, o d’altro, la quale per lo più si lega con due cordelline, nastri, o bende, che la ‘ncrespano da una banda”.

La voce lessicale considerata si ritrova, nella Trilogia, anche nella sua variante antica e popolare scuffie [Vittoria, SV, III, IV], con il medesimo significato di “adornamento o riparo di varie fogge in capo delle donne” (Dizionario del

dialetto veneziano - Giuseppe Boerio).

forniture, s. f. “ornamento, guarnizione (di un vestito)” (GDLI), in Goldoni forniture di pizzi significa propriamente “ornati con un merletto”.

nastri, s. m. dal gotico nastilō, «cinghia», “tessuto liscio o operato, di piccola

altezza, comunemente di seta o di cotone, fabbricato con particolari telai e usato per guarnizioni, orlature, legature” (Treccani).

fioretti, s. m. “qualità di tela o di seta, molto sottile” (GDLI).

Nel Tommaseo-Bellini e nel Vocabolario della Crusca è assente la definizione del termine nell’accezione intesa da Goldoni nella Trilogia.

Ancora all’interno della prima commedia dell’opera, mentre fervono i preparativi per la partenza, Ferdinando conversa con Vittoria a proposito del mariage che ha commissionato al sarto e sostiene che molte signore, pur di non rimanere a Livorno nel periodo della villeggiatura, si sono fatte fare degli abiti sontuosi arrivando anche a contrarre numerosi debiti:

Se n’è fatto uno ella pure, e ha preso il drappo in credenza […]. La signora Costanza, per farsi l’abito nuovo, ha venduto due paia di lenzuola ed una tovaglia di Fiandra e ventiquattro salviette. [Ferdinando, SV, I, VIII]

I termini inerenti all’ambito della moda che sono interessanti da mettere in evidenza in questa battuta sono:

drappo, s. m. dal lat. tardo drappus, forse di origine gallica, “tela di seta pura,

come velluto, ermisino, raso, taffettà, e sim.: anticamente ed anche in oggi significa Tela così di lana come di seta” (Tommaseo-Bellini).

tovaglia di Fiandra, s. f. dal lat. tobalia, “panno lino bianco, tessuto a opere, per

uso d’apparecchiar la mensa” (Vocabolario della Crusca, 1612).

La provenienza fa riferimento ai tessuti della zona di Fiandra, in particolare alla tela di lino damascata che veniva impiegata, appunto, per la realizzazione di tovaglie.

salviette, s. f. gallicismo da serviette, “tovagliolino” (Vocabolario della Crusca,

1729).

Il termine fa parte di quei francesismi che sono stati accolti nella lingua italiana già prima del XVIII secolo, tanto che nel GDLI ritroviamo il seguente commento alla voce salvietta: “vero è che fuor di Toscana è molto comune. Del resto ha esempi sino dal Seicento”.

Un altro termine da considerare in vista dell’analisi del lessico della moda è

polverina, s. f. “sopravveste da viaggio” (GDLI), in genere di seta, era utile per

ripararsi dal freddo oppure veniva indossata come semplice oggetto di ornamento:

Sarebbe una villania portare la polverina di tela; vuol essere di seta. [Giacinta, SV, I, X]

Nel Vocabolario della Crusca la voce considerata risulta essere assente, mentre nel Tommaseo-Bellini la sola accezione che si ritrova del termine è “dim. di

polvere, non di quella del terreno, ma cosa in polvere che serve a qualche uso.”

Poco dopo nella commedia, proseguendo il discorso con il padre Filippo circa l’abbigliamento che va di moda in quello stesso anno, Giacinta ridicolizza gli uomini dell’epoca che, a differenza di quelli dei secoli prima, sembrano aver perso tutta la loro virilità dal momento che vestono quasi come fossero delle donne:

Una volta […] si mettevano le gambiere di lana, le scarpe grosse: ora portano anch’eglino la polverina, gli scappinetti colle fibbie di brilli, e montano in calesso colle calzoline di seta. [Giacinta, SV, I, X]

Ed usano il palossetto ritorto. [Giacinta, SV, I, X]

Come si può notare, entrambe le battute di Giacinta presentano numerosi termini relativi alla moda dell’epoca; analizzandoli in ordine, i più rilevanti sono:

gambiere di lana, s. f. da gamberuolo, “armadura di gamba” (Vocabolario della Crusca, 1612), era una protezione generalmente in cuoio che fasciava l’intera

gamba ai guerrieri antichi.

Il GDLI per gambiera dà come definizione “parte delle antiche armature destinata a proteggere le gambe del guerriero”.

scappinetti s. m. Region. Disus. da scapinéto, “scarpettino e scarpettina, scarpetta

leggera” (Dizionario del dialetto veneziano - Boerio); la medesima definizione viene riportata anche nel GDLI, mentre nel Vocabolario della Crusca il lemma risulta essere assente.

fibbie di brilli dove con fibbie si intende s. f. dal latino fibula, “strumento di

metallo, o d’osso, di figura quasi circulare, sbarrato da una traversa” (Vocabolario

della Crusca, 1612) o “fermaglio di metallo o d’altro materiale provvisto di una

staffa a cui sono fìssati una o più punte o un gancio, che, passati in buchi predisposti, servono a tenere chiuse cinture, mantelli, parti dell’armatura, scarpe, ecc.” (GDLI).

Il termine brilli, riferito nella battuta a fibbie, deriva dal latino beryllus, ed è indicato nel GDLI come “falso diamante; berillo”; un esempio interessante riportato nel Grande Dizionario della Lingua Italiana in proposito è ripreso dalla

Marfisa bizzarra di Carlo Gozzi in cui l’autore scrive le fibbie or di metallo ed or di brilli: sia Goldoni che il suo più celebre antagonista mostrano di utilizzare

termini della lingua con la medesima accezione.

palossetto, diminutivo di paloscio o palosso, s. m. dal serbo-croato palos, “arma

per aprirsi il cammino nella boscaglia, sia per finire grossi animali, e portata dai battistrada e dai guardaportoni anche a scopo decorativo” (GDLI).

Nel Vocabolario della Crusca, la voce risulta essere assente, mentre il Tommaseo-Bellini propone una definizione piuttosto sintetica del termine, ovvero “spada corta da un sol taglio”.

Nella Trilogia, palossetto viene ridicolizzato da Giacinta accostandolo all’aggettivo ritorto.

Più avanti nella commedia, Giacinta, chiacchierando con Vittoria, cerca di metterle invidia elencandole gli abiti e gli accessori che il sarto ha realizzato per lei al fine di non sfigurare in villeggiatura e di essere tra le più eleganti:

Mi ho fatto una sopravveste di cambellotto di seta col suo cappuccietto, che non vi è pericolo che la polvere mi dia fastidio. [Giacinta, SV, II, XII]

All’interno dell’esempio citato, rientra nel lessico della moda il termine

cambellotto, variante arcaica di cammellotto, s. m. dal francese camelot, «stoffa»;

l’edizione del 1863 del Vocabolario della Crusca lo definisce come una “specie di stoffa molto fine, che solevasi fare di pel di cammello”: il tessuto, infatti, in origine era di pelo di cammello, ma successivamente divenne di pelo di capra. Proseguendo l’analisi con la commedia centrale della Trilogia, Le avventure della

villeggiatura, in questa il lessico relativo alla moda sembra ridimensionarsi

totalmente rispetto alla commedia iniziale, tanto da ritrovare, oltre a qualche termine già analizzato, solamente un riferimento specifico all’abbigliamento. All’interno della didascalia che apre la scena IV dell’atto primo delle Avventure

della villeggiatura e poi ancora poco più avanti nella commedia, si registra il

termine abito di confidenza con cui si era soliti indicare un vestito non ricercato, da utilizzare in situazioni non formali, quando ci si trovava in compagnia di persone con cui si aveva, appunto, un elevato grado di confidenza:

Ferdinando in abito di confidenza, poi un servitore. [Didascalia, AV, I, IV] Mi sono vestita così in abito di confidenza. [Vittoria, AV, I, X]

Il secondo esempio riportato viene citato dal GDLI sotto la voce confidenza dove il termine viene inteso come locuzione, ovvero di confidenza; l’espressione abito

di confidenza viene qui definita come “abito da casa, che si indossa per stare a

proprio agio.”

Nella commedia conclusiva della Trilogia, Il ritorno dalla villeggiatura, il lessico della moda continua ad essere piuttosto limitato poiché lo svolgimento della vicenda è incentrato per lo più sulle nozze tra Vittoria e Guglielmo e sulla situazione economica di Leonardo; tuttavia, alcuni vocaboli si registrano ugualmente:

Ho troppo rispetto per lui, […] per i suoi begli abiti gallonati. [Bernardino, RV, I, V]

Con l’espressione abiti gallonati, si intendono propriamente degli abiti dai colori sgargianti, ma a livello generale il gallone, dal francese galon, era una “specie di nastro, per lo più a opera, fatto di filo d’oro, d’argento, o di seta, per uso di guarnizione, e, nelle divise militari, per distinzione di gradi” (Vocabolario della

Crusca, 1863).

Definizione analoga viene riportata nel GDLI, il quale propone anche la voce

gallonato come “fregiato, ornato con galloni (un capo di vestiario, un abito di

servizio, una divisa o anche un tessuto, un arazzo, ecc.).

Tognino con abito assai lungo, con parrucca lunga a tre nodi e cappello colla piuma all’antica. [Didascalia, RV, III, VI]

Questa didascalia che apre la scena VI dell’ultimo atto del Ritorno dalla

villeggiatura, dà una descrizione di quelli che erano i vestiti usuali nella moda

dell’epoca; in particolare, nel Settecento era buon costume, anche per gli uomini, indossare una parrucca che diventava parte dell’abbigliamento a tutti gli effetti. Per la definizione del termine: s. f. dal latino caliendrum, “comunemente, de’ capelli posticci” (Tommaseo-Bellini) o, in modo più approfondito, “capigliatura posticcia usata per travestimenti in costume, per truccature teatrali, per nascondere la calvizie o per semplice abbellimento o ornamento solenne (e fu d’uso comune,

Infine, per concludere, un altro abito che viene menzionato in quest’ultima commedia è l’andriene, s. m. “veste da donna sciolta, ma chiusa e serrata, a differenza di quel vestimento, che vesta da camera si appella” (Tommaseo-Bellini).

La grafia corretta del termine, quella che si ritrova nei dizionari consultati, presenta la n geminata del tipo andrienne, tuttavia, nell’opera, il termine si registra nella sola forma scempia: dal momento che nel Dizionario del dialetto

veneziano ritroviamo il termine sotto la voce andriè definito come “sorta d’abito

femminile con coda, che ora più non s’usa”, la congettura proposta è che Goldoni, in questo caso, abbia ceduto ad una grafia tipicamente dialettale e abbia unito le due forme, quella geminata e quella veneziana, originando la forma scempia non corretta andriene:

Guardi, guardi, che ha versato il caffè sull’andriene. [Rosina, RV, III, VII]

Concluso questo breve excursus che riguarda i termini inerenti alla moda intesa in senso stretto, questo macro-settore si può ampliare inserendo al suo interno anche tutti quegli utensili, di cui viene fatta menzione nell’opera, che i villeggianti hanno premura di procurare prima della partenza in modo tale da non sfigurare agli occhi dell’opinione pubblica: si tratta di tutti quei termini che hanno a che vedere con gli oggetti d’arredamento, in particolar modo relativi all’allestimento della tavola per pranzi e cene.

Convien essere preparati. Le posate si mutano frequentemente, e due coltelliere non bastano. [Leonardo, SV, I, I]

Oppure ancora:

Andate da monsieur Gurland, e pregatelo per parte mia, che mi favorisca prestarmi due coltelliere, quattro sottocoppe, e sei candelieri d’argento. [Leonardo, SV, I, I]

coltelliere, s. f. da coltello, “astuccio di più coltelli” (Tommaseo-Bellini) oppure,

una definizione più completa è “astuccio in cui si conservano i coltelli da tavola” (GDLI).

In quest’ultimo vocabolario, l’esempio citato per chiarire il termine e il contesto in cui viene impiegato è ripreso proprio dalla Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni.

sottocoppe, s. f. “tazza sopra la quale si portano i bicchieri dando da bere”

(Tommaseo-Bellini; Vocabolario della Crusca, 1729).

candelieri, ant. candelabro, voce toscana, s. m. “arnese dove si ficca la candela

per tenerlavi accesa” (Tommaseo-Bellini).

Nel GDLI, “arnese, per lo più di metallo, atto a sostenere una sola candela”.

Nella seconda commedia della Trilogia, mentre i protagonisti sono in villeggiatura, una delle usanze abituali è ritrovarsi presso i salotti altrui per pranzare o cenare in compagnia; in questo particolare contesto, vengono menzionati altri oggetti comuni tipici dell’arredamento della tavola imbandita e tra questi il tondo, s. m. impiegato per indicare il piatto in cui si mangia tramite l’utilizzo di una sineddoche, ovvero l’uso della caratteristica fisica per indicare l’oggetto vero e proprio cui si vuole fare riferimento:

Basta dire, che se avanzava roba sui tondi, erano lì pronti i servitori di casa. [Tita, AV, III, X]

Annoverabili nel lessico della moda sono anche tutti quei termini che indicano i particolari mezzi di trasporto, più o meno lussuosi, che i borghesi utilizzano per recarsi in villeggiatura; tra questi sono da menzionare i cavalli di posta, un servizio in voga dal XVI al XIX secolo che consisteva nel cambiare i cavalli ad ogni stazione di posta, ovvero ad ogni tappa, in modo tale che non fossero mai stanchi e l’andatura potesse essere sempre piuttosto elevata:

Un altro mezzo di trasporto che viene frequentemente menzionato nella Trilogia è il calesse, s. m. ad indicare “una piccola vettura, per lo più a due ruote e tirata da un solo cavallo, con un seggiolino sostenuto da cinghie e molle al di sopra delle

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