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Lessico di Corneille e lessico di Montale

In alcuni passi del Cid di Montale sembra possibile riconoscere una certa tendenza, a livello lessicale, ad aderire al dettato corneliano, vale a dire a tradurre un termine francese con quello che, in italiano, gli corrisponde, o gli si avvicina di più, a livello formale e fonico, anche se non ha esattamente lo stesso significato: ne deriva, quindi, uno scarto semantico rispetto al testo originale.

A questo proposito, si può richiamare l‟osservazione di Rita Meoli Toulmin, la quale, con riferimento alla traduzione montaliana della Figlia che piange di T.S. Eliot, e in particolare al v. 2, «lean on a garden urn» ‒ che Montale rende con «appoggiati ad un‟urna di giardino» ‒ osserva che

per quanto riguarda la versione in sé, essa sembra a volte quasi troppo aderente al testo inglese, come quando, al secondo verso, la parola urn (vaso) è resa con urna, che in italiano ha un significato più accentuatamente funerario.73

72 Musatti 1980, pp. 125-126.

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È chiaro che la presenza di questo tipo di calchi lessicali non indica necessariamente che la traduzione sia avvenuta in maniera automatica, senza tenere presente lo slittamento semantico determinato dal passaggio da una lingua all‟altra: può trattarsi anche, da parte del traduttore, di una scelta del tutto consapevole, dettata da peculiari finalità espressive. Comunque, il caso qui descritto dall‟autrice può essere affiancato a fenomeni simili che si riscontrano anche nella traduzione del Cid.

Un primo esempio di questo genere è stato già brevemente affrontato, nel capitolo 3, in relazione ai versi con i quali Chimena descrive al re la morte del padre, in una pozza di sangue: «ce sang qui tout sorti fume encore du courroux» (v. 663), tradotto da Montale «quello che ancora fuma, sgorgando, di corruccio» (v. 622): commentando quest‟ultimo verso si è notata la differenza tra il termine francese, che significa “ira, collera”, e il ben più lieve corruccio italiano74. La stessa differenza si può riscontrare all‟inizio del II atto, quando Don Arias consiglia al Conte ribelle di sottomettersi al sovrano: «Le Roi vous aime encore; apaisez son courroux» (v. 363), e Montale traduce di nuovo: «V‟ama ancora il sovrano: lenite il suo corruccio» (v. 327). Si noti comunque che questa non è l‟unica traduzione adottata da Montale, che in un terzo caso, «Je reconnais mon sang à ce noble courroux» (v. 264), rende lo stesso termine con il sostantivo sdegno: «Nel tuo sdegno / riconosco il mio sangue» (vv. 247-248); la scelta appare qui più precisa dal punto di vista semantico, considerato che Don Diego loda l‟indignazione con cui il figlio reagisce quando viene messo in dubbio il suo coraggio.

Un altro caso di scelta lessicale “calcata” sul francese si ricava invece da questi versi con i quali Chimena si rivolge a Rodrigo:

Si quelque autre malheur m‟avait ravi mon père, Mon âme aurait trouvé dans le bien de te voir

L‟unique allégement qu‟elle eût pu recevoir (vv. 918-920) Se un qualche altro malore m‟avesse rapito il padre, nel bene di vederti l‟anima mia poteva

trovare forse il suo solo conforto (vv. 875-877)

Qui il termine malheur, al v. 918 del testo corneliano, si rispecchia nel malore della traduzione di Montale; ma è chiaro che, nonostante la somiglianza formale, il significato dei due sostantivi è ben diverso, e che il padre di Chimena non è stato ucciso da un

74 Cfr. Battaglia: «Sdegno contenuto che si manifesta attraverso un atteggiamento di imbronciato dispetto e di collerico malumore; collera stizzosa, intimo risentimento».

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malore, ma è morto in duello per mano di Rodrigo: si è trattato piuttosto di una disgrazia, o di una sventura, come traducono in questo caso sia Dettore che Monti. Un po‟ più complicata è la situazione che si verifica in quest‟altro passo, in cui a parlare è Don Diego, che ha appena subito l‟affronto dello schiaffo da parte del Conte, e si rivolge così alla sua spada:

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Et toi, de mes exploits glorieux instrument, Mais d‟un corps tout de glace inutile ornement, Fer, jadis tant à craindre, et qui, dans cette offense, M‟a servi de parade, et non pas de défense

E tu, delle mie imprese, glorioso strumento ed inutile orpello di un corpo ormai di ghiaccio, ferro tanto temuto che in quest‟offesa

servisti solo a parare, e non già per difendere

All‟ultimo verso, va notata l‟antitesi corneliana fra i sostantivi parade e défense, che Montale sceglie di rendere con due verbi, parare e difendere. Il primo di questi risulta particolarmente problematico, perché è evidentemente calcato sul sostantivo francese parade, ma non ne rispecchia il valore semantico. Lo sconforto di Don Diego, infatti, deriva dal fatto di non essere più in grado di manovrare la spada, che si riduce quindi ad un ornement, un oggetto puramente decorativo, “da parata”, che è esattamente il significato dell‟espressione de parade75

: su questa linea si collocano le traduzioni di Dettore, «sei servito di mostra senza darmi difesa», e di Monti, «servisti d‟apparenza e non come difesa». La traduzione montaliana invece è caratterizzata da una certa ambiguità, perché anche il verbo parare può avere il significato di “ornare”, ma su di esso prevale decisamente, in questo caso, quello di “parare un colpo”, specialmente considerato che si sta parlando di un duello. Con questo secondo significato, il verbo parare non risulta poi così lontano da difendere, e si perde quindi il valore dell‟antitesi.

In altri casi, la tendenza fin qui analizzata non riguarda singoli vocaboli, ma piuttosto espressioni e costruzioni adattate su quelle francesi, che risultano poco comuni alla lingua italiana, benché in genere il significato non ne risenta:

75 Secondo il Furetière, il primo significato del termine parade è «estalage de ce qui est de plus beau, monstre de ses ornemens, de sa magnificence», e tra gli esempi si legge proprio il verso in questione: «Un vieillard ne porte une espée que par parade. Ainsi Corneille a fait dire à Dom Diegue: […] M‟as servi de parade, & non pas de deffense». Cfr. anche Œuvres Complètes, p. 1492: «L‟épée a servi à l‟ostentation […] et non à une défense effective. Ne pas comprendre parade au sens de l‟escrime».

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