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LETTERA DELL’AVVOCATO PIER VETTOR GRIMANI

Nel documento INDICI 2004-2013 (pagine 179-200)

Per conto della dott.ssa Giustiniana Migliardi devo rappresentare il carattere lesivo e comunque il contenuto criticabile dell’articolo apparso nel numero di agosto (anno X) della rivista da Lei diretta a firma della prof.ssa Maria Pia Pedani e dal titolo “Come (non) fare un inventario

d’ar-chivio. Le carte del Bailo a Costantinopoli conservate a Venezia”.

La dott.sa Migliardi è stata, come noto a Lei e a chi l’articolo ha scritto, Soprintendente Archivistico per il Veneto ed ha curato l’inventario del fondo citato e, senza entrare nel merito delle varie affermazioni di cui all’articolo, inutilmente aggressive e richiedenti semmai un più utile confronto costrut-tivo, ritiene necessarie alcune precisazioni.

Compito degli archivisti di Stato (e non degli storici che di questi utiliz-zano il lavoro) è quello di rendere consultabile agli studiosi il materiale archivistico loro affidato. Le varie descrizioni elencate dalla prof.ssa Pedani (naturalmente ben note agli archivisti veneziani) non erano indispensabili a rendere fruibile il materiale documentario del fondo Bailo a

Costantino-poli; proprio per adempiere a questo preciso compito istituzionale nel 1987

l’allora direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, dott.ssa Maria Francesca Tiepolo, dava l’incarico alla dott.ssa Migliardi di procedere all’ordinamento di tale archivio al fine di renderlo consultabile. Per tale ragione nella Guida

Generale degli Archivi di Stato Italiani, edita nel 1994, nella sezione “Antichi

regimi” curata dalla stessa dott.ssa Tiepolo, per tale archivio non è stato indicato alcuno strumento di corredo, come invece per altri fondi: come del resto ammesso dalla stessa prof.ssa Pedani quando ricorda (pag. 382) che è stato “ignorato” il precedente inventario indicato con il n. 36, già escluso dalla consultazione perché assolutamente parziale, settoriale e non rispon-dente all’organizzazione delle carte all’interno dell’archivio, e quindi non idoneo a permetterne la fruizione da parte degli studiosi.

Ancora, se il fondo fosse stato ordinato e consultabile il Ministero, su suggerimento della dott.ssa Tiepolo, non avrebbe certo autorizzato la col-laborazione della dott.ssa Migliardi con la sezione ottomana dell’École des Hautes Études di Parigi, collaborazione finalizzata proprio al raggiungi-mento dell’obiettivo e che ha potuto contare sulla consulenza di specialisti quali il compianto prof. Gilles Veinstein, membro del Collège de France, e la dott.ssa Dilek Desaive, esperta ottomanista; anche di questi ultimi peral-tro la prof.ssa Pedani sembra mettere in dubbio l’autorevolezza e la com-petenza, là dove ipotizza (p. 403) «un errore della lettura della data otto-mana…, come già accaduto in altri simili lavori appaltati (sic) da Venezia a Parigi». Si ribadisce che la decisione di non pubblicare a stampa l’inventa-rio, come peraltro richiesto da più studiosi, ma di immetterlo in rete al fine di consentire più facili interventi di revisione di un fondo così ampio (circa 500 contenitori di 12 cm ciascuno), è stata determinata proprio dalla

pre-dei fruitori; tali interventi, del resto, sono stati auspicati e sollecitati anche nel corso della presentazione dell’immissione in rete (e non di un inventario a stampa) avvenuta nel settembre 2012 – alla quale la stessa prof.ssa Pedani era presente – e dichiarati esplicitamente nell’introduzione.

Si sottolinea che la necessità primaria cui si è voluto provvedere, solle-citata anche dallo stesso Direttore dell’Archivio di Stato, era quella di for-nire quanto prima agli studiosi la possibilità di un accesso completo al fondo anche se, durante il lungo ordinamento (protrattosi anche a causa dei molti altri impegnativi incarichi istituzionali), la dott.ssa Migliardi ha sempre supportato tutte le richieste riguardanti le carte del Bailo; ora che le operazioni di censimento e ordinamento (delle quali la dott.ssa Migliardi è e resta titolare) hanno consentito di mettere a disposizione le carte, sarà possibile, per tramite della predetta o su autorizzazione del Direttore del-l’Archivio di Stato, operare tutte quelle correzioni ed integrazioni che con volontà collaborativa gli studiosi vorranno responsabilmente suggerire al fine di avere uno strumento di corredo sempre più adeguato.

Le chiedo quindi che la presente lettera di precisazioni venga pubblicata nel prossimo numero della rivista, nonché nel sito web della stessa, con le stesse modalità seguite per la pubblicazione dell’articolo della Prof.ssa Pedani, e con chiaro riferimento all’inventario del fondo Bailo a Costanti-nopoli. Cordiali saluti.

F.to Avv. Pier Vettor Grimani

Al momento della stampa del presente fascicolo la prof. Pedani non ci ha ancora fatto pervenire la sua replica. La pubblicheremo eventualmente sul prossimo numero (aprile 2014).

Mediterranean, Stanford Univ. Press, Stanford, 2011

Nel crescente interesse per il tema della schiavitù nello spazio mediterra-neo e nel moltiplicarsi della produ-zione storiografica – in tal misura che diventa difficile seguirla puntualmente – l’opera di Gillian Weiss si impone all’apprezzamento per la specificità e originalità del tema, l’imponente docu-mentazione utilizzata, l’ampiezza e il rigore dell’apparato critico (note, bibliografia, indice). L’autrice persegue in effetti una ricostruzione specifica: in che modi la tutela e l’impegno per la restituzione in libertà degli schiavi francesi nel Maghreb barbaresco abbiano costituito un elemento nella ‘costruzione’ dello ‘stato’, nel rapporto con i sudditi-cittadini e nell’ intento di affermare un ruolo della Francia a livello internazionale. La liberazione degli schiavi francesi – alla quale si è pervenuti nel corso del tempo attra-verso modalità diverse – passò «from an expression of Christian charity to a method of state building and, even-tually, a rationale for imperial expan-sion» (p. 2). Prendere cura della sorte degli schiavi, in particolare di quelli nativi di determinati territori, incorpo-rati nel regno attraverso vicende dina-stiche e belliche, fu uno dei modi per conquistare consenso in nome della

essere ‘francesi’. Non si tratta perciò di una generica ricostruzione dei rapporti politico-diplomatici e di confronti mili-tari della Francia con gli stati maghre-bini né della presenza in sé di schiavi francesi in quei paesi.

Nell’introduzione l’autrice espone in modo esplicito la sua prospettiva e la inquadra nel percorso collettivo della storiografia, dalla fine del feno-meno schiavile mediterraneo ai nostri giorni; tocca dunque anche l’attuale confronto di visioni e di termini fra chi distingue o no ‘schiavi’ da ‘captivi’ e prigionieri di guerra. La questione è ‘sottile’, lo hanno già detto altri stu-diosi; respingere la distinzione non deve però significare una equipara-zione acritica della schiavitù mediter-ranea con quella atlantica, come han fatto alcuni studiosi nell’ultimo decen-nio – non a caso statunitensi – che hanno voluto mostrare, ed hanno rice-vuto ampio consenso ed eco nei media, una ‘continuità’ fra i ‘pirati’ arabo-musulmani di un tempo ( preferiscono il termine ‘pirati’ a quello più corretto di ‘corsari’) e i terroristi islamici dei nostri giorni. Il riferimento all’11 set-tembre apre invero l’introduzione, prendendo però le distanze da quella forzata interpretazione, che sembra ignorare la ‘reciprocità’ mediterranea nel catturare e utilizzare schiavi.

Nel coerente svolgimento della pro-pria plausibile tesi, il volume si arti-cola in otto capitoli – a loro volta ripartiti in paragrafi, da una pagina a due-tre di estensione – ciascuno con un suo titolo. Questa struttura con-sente agevolmente all’autrice di inca-stonare nel discorso principale richiami, integrazioni, commenti in molti casi su episodi, figure, aspetti particolari trascurati sinora dagli stu-diosi o persino da lei ‘scoperti’ o comunque per la prima volta segnalati nel contesto del tema generale; questi arricchimenti provengono perlopiù dalle ampie ricerche svolte anche nelle fonti letterarie e iconografiche, dei cui risultati si rende conto in modo molto preciso.

Ci è piaciuto il titolo del cap. 1, Mediterranean slavery (pp. 1-26) uno dei primi impieghi di questa dicitura, da usare, a parer nostro, al singolare per riconoscerne tutta la specificità; alcuni paragrafi in particolare mostrano la varietà di argomenti, di punti di vista, di suggestioni che il libro offre. Nel paragrafo France free soil (pp. 10-11) si torna su schiavi e captivi e sulla ransom slavery (captivité de rachat). A un certo punto di fa cenno ai ‘rinnegati’ europei (Analyzing apostasy, pp. 23-25), e vi si parla della intrigante figura di Thomas d’Arcos, brevemente schiavo a Tunisi nel 1625, e più tardi convertitosi da libero all’islàm e tornato nel Maghreb; la vicenda, sinora ben poco indagata, ha la fonte principale nell’epistolario con l’umanista Nicolas Claude Fabri de Peiresc. Salvation without state è il titolo del cap. 2, che concerne il riscatto di schiavi e più in generale la gestione di quel problema e dei rap-porti con l’altra sponda del Mediterra-neo, quando non se ne occupava il governo centrale ma le autorità regio-nali e cittadine più direttamente coin-volte, di Marsiglia ovviamente e della

potente Chambre de commerce locale, ovvero – per le iniziative di riscatto – dagli ordini religiosi, Trinitari anzi-tutto, che avevano quella attività come finalità istituzionale. Nelle pagine del capitolo compaiono alcune incisioni, dalle edizioni della Histoire de Barbarie del padre Dan; nel volume sono quin-dici, una pregevole documentazione iconografica con qualche pezzo poco noto o inedito.

Dal cap. 3 (Manumission and abso-lute monarchy, pp. 52-71) il testo comincia a considerare e analizzare l’azione di Luigi XIV, l’avvio della linea politica di cui si è detto, fatta di tratta-tive, di concessioni, di favori – in qual-che modo nella linea della ‘empia allenza’ di Francesco I con l’impero ottomano – ma anche di minacce e di impiego massiccio della forza militare (cap. 4, Bombarding Barbary, pp. 72-91). Dalla morte di Luigi XIV (1715) molti aspetti della situazione muta-rono (cap. 5, Emancipation in an age of enlightenment, pp. 92-117): le azioni politiche e militari precedenti avevano ridotto il numero dei francesi in condi-zione servile, mentre la flotta comin-ciava a ridurre il numero delle galere, sino a un completo declino, con un conseguente minor bisogno di galeotti, in parte schiavi musulmani. Nel para-grafo T rans-oceanic parallels (pp. 98-99) si richiamano pensatori ben noti come Rousseau (con riferimento però a Une grève d’esclaves à Alger au XVIIIe siècle avec Emile et Sophie ou les soli-taires, rimasto a lungo sconosciuto), o meno noti come Joseph André Rou-baud e la sua Histoire générale extra-europea, che ebbe diretta influenza sulle idee di Diderot a proposito della schiavitù; nel paragrafo finale dello stesso capitolo (Emancipation and sen-timent, pp. 116-117) viene presentata una delle ultime descrizioni d’una pro-cessione di schiavi, del poeta Laurent Pierre Béranger (1783).

Dalla Rivoluzione in poi molte cose mutano naturalmente nel Mediterra-neo, nel rapporto fra stati europei, anzitutto la Francia, e i Barbareschi; ne trattano i cap. 6 (Liberation and empire from the Revolution to Napoleon, pp.118-130), 7 (North African servitude in black and white, pp. 131-155) e 8 (The conquest of Algiers). Il quaranten-nio dalla Rivoluzione alla occupazione di Algeri è stato forse meno indagato, a parte ovviamente l’evento che iniziò la presenza coloniale francese nel Maghreb. In questa ultima fase si deli-nea e si compie quel passaggio – fon-damentale per la storia e per l’attuale identità della Francia – dalla preoccu-pazione per la sorte di qualche migliaio o centinaio di francesi in condizione schiavile alla realizzazione nel Medi-terraneo e in Africa del destino ‘impe-riale’ della Francia; è interessante seguire lo sguardo dello storico sull’av-vio di un destino che vede ormai, nella Francia come in tutta l’Europa, la conclusione d’una sua bicentenaria parabola.

Torniamo sugli aspetti formali del volume; su quasi 400 pagine, 171 costituiscono il testo. Seguono due preziose appendici, ormai punto obbli-gato di riferimento. La prima è l’elenco (Slave numbers, pp. 179-211) di tutte le indicazioni sul numero di schiavi, francesi e ‘cristiani’ nel complesso, ripartite per città, e sulle relative fonti; resta il problema, quando le cifre riguardano soltanto la città e, even-tualmente, i suoi immediati dintorni, di quanti schiavi vi fossero nell’intero paese. La seconda appendice è costi-tuita da un elenco delle redenzioni a favore di schiavi francesi operate da trinitari e mercedari e delle successive processioni, (Religious redemptions and processions, pp. 212-220). Le pagine delle Note (pp. 221-324) sono più della metà di quelle del testo; un dato che parla da solo. Nella

bibliogra-fia credo che ogni specialista, anche di lungo corso, troverà qualche scheda per lui del tutto nuova – fra l’altro, su riviste ‘locali’ francesi, di epoche ante rete, ovviamente – e altre che sinora poteva ancora credere fossero note solo a lui. Questa diligenza che accom-pagna il rigore della ricerca si rispec-chia nell’Index, dei nomi propri e geografici, ma anche in qualche misura analitico con numerose voci di ‘popoli’, istituzioni, questioni e aspetti (come muslim, ransom, plague, iden-tity,) certamente di grande comodità per gli studiosi e per ogni altro lettore.

Salvatore Bono

Ana Isabel López Salazar, Fernanda Olival, João Figueirôa Rêgo (a cura di), Honra e sociedade no mundo ibérico e ultramarino. Inquisição e Ordens Milita-res, séculos XVI-XIX, Caleidoscópio, Casal de Cambra, 2013, pp. 388

Approfondire l’universo dell’onore, sapere come si provavano attributi quali purezza di sangue e statuto nobi-liare, individuare i responsabili diretti nell’appurare queste qualità marcanti delle società iberiche costituiscono gli assi tematici del volume coordinato da Ana Isabel López Salazar, Fernanda Olival, João Figueirôa Rêgo e che ha coinvolto in un percorso intergenera-zionale, oltre che internaintergenera-zionale, sto-rici e studiosi afferenti a diverse istituzioni e centri di ricerca lusitani, ma non solo.

Dalla penisola iberica l’affiatato gruppo di lavoro ha spaziato fra centri e periferie, toccando pure ambiti d’ul-tramare, affiancando questioni meto-dologiche/storiografiche a casi concreti recuperati dall’attento esame di sva-riati fondi archivistici. I tre coordina-tori, afferenti al CIDEUS (Centro Interdisciplinar de História, Cultura e Sociedades) dell’Università di Évora e

patrocinati dalla FCT (Fundação para a Ciência e a Tecnologia) e dal CHAM (Centro de História de Além-Mar da Faculdade de Ciências Sociais e Humanas da Universidade de Lisboa e da Universidade dos Açores), introdu-cendo il volume dichiarano chiara-mente uno degli obiettivi che si sono proposti: «non si aspira a fare scissioni tra storiografia, agenti, pratiche. Al contrario si vuole porre in evidenza l’articolazione tra queste categorie nel lavoro di fare storia» (p. 5). Ed effettiva-mente, in una calibrata tripartizione, i 13 saggi hanno saputo rapportare sto-riografia, uomini e pratiche quotidiane di mondi che presentano affinità strut-turali, culturali oltre che geografiche.

Ancora ci è sembrato che questo volume, esteso nelle cronologie e costruito su nuove tecniche di analisi, abbia saputo osservare il tema del-l’onore come «una delle sfere della società tradizionale, allacciato alla struttura interna della stessa», per riprendere le parole di José Antonio Maravall nel suo studio del 1979 Poder, honor y élites en el siglo XVII.

Apre questo nuovo percorso il monolitico studio Linajes, honra y manipulación nel quale Jaime Contre-ras ritorna sulle potenzialità degli estatutos de limpieza e sulle loro capa-cità documentali. Mezzi ad hoc per il controllo del processo di formazione e di consolidamento dei gruppi sociali dominanti, attraverso i quali è possi-bile conoscere la vera morfologia del potere e la sua stratigrafia in tutte le corporazioni delle società spagnola o portoghese. Ispirati dall’ideologia nobi-liare vennero, tuttavia, applicati da corporazioni regie come Colegios Mayo-res, Tribunal del Santo Officio, Órdenes Militares. Istituzioni selettive per eccel-lenza e che si specializzarono nel com-pito di certificare l’onore. Eppure se studiati non solo come strumenti selettivi di lignaggi cristiani, tali fonti

consentono di addentrarsi in molte-plici campi non solamente di esclu-sione, ma anche di infiltrazione e di ascesa sociale, fino a recuperare si -stemi di valori materiali e simbolici (si veda inoltre tra i piú recenti contributi E. Soria Mesa, Los estatutos municipa-les de limpieza de sangre en la Castilla moderna. Una revisión critica, «Medi-terranea - ricerche storiche», 27, aprile 2013, pp. 9-36).

Nei secoli XVI-XVII, in un contesto di forte stigmatizzazione sociale, anche la memoria venne coinvolta in un nuovo processo distintivo che impo-neva a tutta la società una concezione differenziale del ricordo: molto preciso e vivido per il cristiano-nuovo; molto vago e quasi inesistente per chi non lo era. Da qui la necessità di legalizzare quella differenza immemorabile attra-verso carte riconosciute da una nor-mativa e il cui ritmo era battuto dal denaro. Moneta sonante che affermava l’onore – piuttosto che sminuirlo – manipolando pure i meccanismi necessari per ottenere quei certificati immacolati. Le testimonianze riguar-davano singoli individui, ma si ramifi-cavano fino a coinvolgere intere famiglie, clan, parentele, fazioni, gene-rando innumerevoli conflitti per l’ac-cesso o il mantenimento di posizioni privilegiate in molteplici contesti di potere urbano. Ciononostante le pro-vas de limpeza de sangue – come ricordano i coordinatori nel testo intro duttivo – non comportavano solo costi, richiedevano anche tempi piú o meno lunghi che, a loro volta, genera-vano sospetti, alimentagenera-vano appren-sioni, causavano angosce. Tutto questo rientrò nella cultura della prova, di modo che il sistema di com-provare la purezza del sangue segnò in forma indelebile ampi strati della società di Antico Regime, tanto negli spazi peninsulari iberici quanto nei tropici.

Dal canto suo Roberto López Vela, nel saggio La España de los malos españoles. Judíos, limpieza de sangre y nacionalidad ibérica en la historiografía de la segunda mitad del XIX, com-prende cronologie diverse, proponendo uno studio approfondito della volumi-nosa opera di José Amador de los Ríos edita nel 1876. Nelle cinquanta pagine che compongono il testo, l’opera Histo-ria social, política y religiosa de los judíos de España y Portugal viene con-frontata con altre coeve pubblicate dalla storiografia spagnola ma anche portoghese, e da storici ebrei tedeschi come Heinrich Graetz. Disuguaglianze, coincidenze e parallelismi caratteriz-zano questi classici dedicati alla pre-senza dei giudei nella penisola iberica nel periodo medievale e che, abbrac-ciando la storia dei “mori” e dei prote-stanti, raggiungendo temi come Inquisizione ed espulsione degli ebrei toccano pagine dolorose del passato nazionale che hanno ossessionato gli storici della seconda metà del XIX secolo. Anche nello studio di Lopez Vela – come in quello di Contreras – viene rimarcata l’importanza degli sta-tuti voluti nel 1547 dal cardinale Juan Martínez Silíceo, arcivescovo di Toledo, che consacrarono definitivamente la limpieza de sangre in Spagna. Una data capitale e un provvedimento che animò il dibattito della storiografia liberale ma al quale soprattutto José Amador ha dedicato pregnanti pagine. Castiglia ma anche Aragona e Porto-gallo sono stati i contesti geografici dove il tema della limpieza e il feno-meno dei conversos hanno attecchito particolarmente, sebbene siano stati de los Ríos e Graetz a dedicare in forma piú ampia la loro attenzione rispetto a quanto ha svolto da parte sua Alexandre Herculano, anticipando pure altri storici portoghesi.

Nell’interessante volume che andia mo segnalando in queste

pagine, potremmo dire che la sezione dedicata alle questioni metodologiche e storiografiche non si chiude propria-mente con il contributo di Joaquim Ramos de Carvalho il quale, in Redes, auto-organização e interpretação histó-rica, propone diverse considerazioni trasversali al tema principale del libro e molto utili agli studi sugli agenti e ministri di antico regime. Nuove meto-dologie e alcune esemplificazioni con-sentono all’autore di evidenziare l’importanza dell’analisi di reti nelle relazioni interpersonali per accedere alla comprensione di fenomeni sociali del passato. Pertanto, studiando la circolazione delle informazioni nel XVIII secolo e visualizzando le reti di prestigio “emergenti” dalle scelte dei padrini, è interessante capire il modo in cui gli elementi di un sistema inte-ragiscono tra di loro e la forma in cui queste relazioni costituiscono reti. In ciascun esempio si può individuare una connessione preferenziale (liga-ção preferencial): un meccanismo creato da scelte individuali che influenzano sistematicamente quelle successive degli individui, facendo emergere regolarità persistenti nel tempo. Analogamente ai casi di studio esposti, l’analisi aggregata delle scelte fatte da ministri e officiali può rivelare

Nel documento INDICI 2004-2013 (pagine 179-200)