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LETTURE E VISIONI

Nel documento Direzione: Carmelo Di Prima (pagine 72-76)

Suggerimenti a cura della redazione

L’ascolto gentile. Racconti clinici di Eugenio Borgna, Einaudi, 2018.

“Dare parola al proprio dolore significa evitare che il cuore si spezzi”

Eugenio Borgna Ascolto gentile: due parole che, accanto ad altre, contribuisco-no a creare quelle condizioni favorenti l’incontro con l’altro, un incontro che in primis è tra persone, al di là del ruolo rivestito in quel particolare momento. Va poi da sé che sarà proprio il ruolo a determinare quale inclinazione quell’incontro potrà prendere.

Nel libro del professor Borgna si parla di incontri, a volte si-lenziosi a volte meno, ma sempre densi di dolori, sofferenze e angosce tra chi ne è portatore e chi in qualche modo cerca di le-nirne le manifestazioni e gli effetti. Si parla di un tempo remoto, quando ancora gli ospedali psichiatrici erano aperti e tanto era il lavoro che vi si svolgeva all’interno. Nello specifico riguarda il reparto femminile dell’ospedale psichiatrico di Novara, luogo dove Borgna ha a lungo esercitato la sua professione di psichia-tra, incontrando e scontrandosi con la malattia mentale.

Sono la narrazione di cinque racconti clinici, cinque casi, cin-que storie di vita attraverso i quali viene sottolineata l’impor-tanza dell’autenticità della relazione terapeutica. Relazione che se è tale può portare al cambiamento non solo di chi è curato ma anche di chi cura, nel suo aprirsi all’altro. Relazione che si caratterizza e si consolida anche attraverso la fiducia, altro

ele-mento fondamentale, ma alquanto fragile, che va continuamente rinnovata in ognuno di noi. Relazione dove ascoltare vuol dire prestare attenzione a ciò che l’altro porta, non sempre attraverso le parole, ma anche con il proprio modo di stare in silenzio. È un’attenzione che avvicina ai pensieri, alle emozioni, alle dispe-razioni, alle speranze e alle attese dell’altro, ma inevitabilmen-te anche alle proprie. Un dialogare continuo che metinevitabilmen-te l’uno di fronte all’altro, in un confluire di parole e silenzi di chi parla e di chi ascolta, di chi è curato e di chi cura.

Dalla lettura emergono la delicatezza e l’incedere cauto con i quali Borgna si avvicina alle persone, alla loro sofferenza, alla loro intimità. Un camminare in punta di piedi, dando voce a toni bassi a ciò che si prova e si intravede. Un viaggio in luoghi reali e in luoghi dell’anima attraversati da angosce spesso inenarrabi-li, che diventano poi dicibili quando l’incontro medico-paziente diviene incontro tra persone.

Emerge anche la frattura, il divario tra quello che la psichiatria avrebbe dovuto essere e quello che la psichiatria era, ove qua-si mai era salvaguardata la dignità delle pazienti e dei pazienti all’interno del manicomio in quanto persone. Per fare ciò, sottoli-nea Borgna, occorrevano (e, aggiungo io, occorrono ovviamente ancora oggi in quelli che sono i contesti odierni di incontro con la sofferenza) cultura, vocazione, sensibilità e una concezione del tempo vissuto che deve adattarsi all’esperienza del tempo che si vive nella follia.

Maria Micheloni

Madres paralelas

di Pedro Almodóvar, 2021

Tra i molti spunti di riflessione suggeriti da quest’ultima opera di Almodovar, due mi hanno colpita in particolar modo perché strettamente legati al nostro presente. Il primo è che l’identità ha una duplice dimensione: storica e biologica. Il secondo è il ruolo del maschile oggi.

Dico questo perché il regista sembra posare lo sguardo non solo sulle vicende di uomini e donne ma anche sulla storia dei luoghi che abitano, sottolineando come esse siano inestricabil-mente intrecciate. La nostra formazione umana, infatti, avviene sotto l’influsso di una certa cultura dominante. Che si è consoli-data nel tempo e che esprime dei valori più o meno condivisibili.

Scegliere se accettarli o rifiutarli ci caratterizza e ci differenzia come persone e contribuisce a plasmare la nostra identità. Che poggia su un altro pilastro: le nostre origini. Non per nulla - la mia esperienza lavorativa me lo conferma – ragazze e ragazzi adottivi o dati in affido rivendicano, con fierezza e ben prima dei tempi consentiti dalla legge, il diritto di sapere da dove pro-vengono e chi sono i loro genitori naturali. L’esigenza di radi-camento riguarda tutti indistintamente e soprattutto chi ha un percorso di vita accidentato. Ho infatti toccato con mano quanto certi segreti familiari che ruotano intorno al tema della nascita, mai svelati neanche in punto di morte, continuino ad aleggiare tra le mura domestiche, corrompendone l’atmosfera. Questo per ribadire che un’identità costruita sulla menzogna o sul non detto ha basi fragilissime.

Almodovar affida il tema della ricerca delle origini a una gal-leria di ritratti femminili tanto coraggiosi quanto imperfetti. Tan-to che a un primo sguardo potremmo definire Madres paralelas una storia tutta al femminile, di amori e di amicizie. In cui spicca Janis, fotografa quarantenne, orfana di entrambi i genitori, che promette alla nonna che l’ha cresciuta di dare degna sepoltura al bisnonno. Questi giace da decenni in una fossa comune con altri valorosi compatrioti ammazzati dai falangisti. Janis è convinta che la memoria non riguardi solo il passato, ma estenda la sua ombra sul presente e sul futuro. E lotta per lasciare a sua figlia un mondo in cui ricordare e restituire dignità a chi ha combattuto perché godessimo di un futuro migliore, è il passaggio del testi-mone che rinsalda e suggella il patto intergenerazionale.

Per realizzare il suo sogno, Janis chiede aiuto ad Arturo, an-tropologo forense e padre di sua figlia. Curiosamente Arturo è l’unico personaggio maschile positivo del film, se si escludono le

vittime della guerra civile. Di altri uomini si sente accennare fu-gacemente. E si tratta di figure inconsistenti se non decisamente squallide. Che sia un invito del regista a certa parte dell’universo maschile a recuperare il proprio ruolo nel mondo? Che ovvia-mente non è né quello sbiadito o assente né quello pericolosa-mente machista, di cui le donne pagano un prezzo altissimo.

Mi piace molto l’esortazione di Almodovar a una ricomposi-zione del femminile e del maschile. Senza squilibri né egemonie.

Soprattutto in questi tempi bui. Perché ridà dignità a tanti uomi-ni che non si riconoscono nel ruolo di aggressori. E impedisce la diffusione dell’idea pericolosa oltre che banale che il maschile sia male a prescindere.

Fulvia Ceccarelli

NEL MONDO DELLA PSICOANALISI

Nel documento Direzione: Carmelo Di Prima (pagine 72-76)

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