Copernico, che ho prima intervistato e poi seguito in classe.
L’analisi che ho condotto parte da un primo esame sul libro di testo adotta- to da questi docenti, soffermandomi sia sulla parte dedicata alla teoria che su quella dedicata agli esercizi. In seguito, sono state messe a confronto le interviste realizzate ai docenti e infine viene esaminato quanto fatto in classe da ognuno di loro.
Qualunque sia l’approccio adottato, prima di arrivare alla presentazio- ne della definizione di polinomio, vengono introdotti vari termini, come ad esempio variabile, espressione algebrica, espressione letterale, somma alge- brica, monomi, necessari alla costruzione del concetto di polinomio. E’ stato pertanto fondamentale vedere anche come questi fossero stati presentati, sem- pre seguendo il quadro esposto in precedenza.
Alla luce di tutto ciò, iniziamo ad analizzare il libro di testo adottato dai pro- fessori del Liceo Scientifico Niccolò Copernico, ovvero “Competenze Matema- tiche 1, Algebra” di “Re Fraschini, Grazzi [Fraschini M., Grazzi G. (2014)].
4.2
Il libro di testo
Un libro di testo, in particolare nella scuola secondaria di primo grado, do- vrebbe essere uno strumento in mano dell’insegnante, e non un libro di mate- matica dal quale apprendere dogmi; compito dell’insegnante dovrebbe essere quello di dare una lettura critica a tale testo e decidere quale possa essere l’uso migliore in base al proprio contesto di classe, dovrebbe quindi valutare se necessario integrare le lezioni con materiale aggiuntivo, preso da altri libri o creato personalmente. Non di rado capita che il docente segua metico- losamente il libro di testo, dandogli piena fiducia e presentando alla classe definizioni ed esempi come proposti da questo, rischiando di incappare in qualcosa di non propriamente corretto.
«occorrerebbe chiarire le finalità di un libro di testo, che è il risultato di una trasposizione didattica scelta dagli Autori e che non va quindi interpretato dall’insegnante come un libro di matematica scientificamente significativo a parte rarissime occasioni, dal quale si possono apprendere concetti corretti e certi. Il sapere dovrebbe già essere dominato dall’insegnante nel momento in cui adotta un libro di testo e queste conoscenze dovrebbero essere semplice- mente rilette e reinterpretate nella trasposizione didattica scelta dall’Autore, per poi accettarle in toto o riadattarle personalmente nel particolare contesto- classe» [Arrigo G. et al. 2010, p. 190].
Alla luce di queste considerazioni, andiamo ora a vedere come l’argomento polinomi viene trattato nel libro di testo adottato dai docenti con cui ho collaborato.
Nell’analizzare il testo, ricordo che seguirò in parte lo schema stilato in D’A- more, Fandiño Pinilla [D’Amore B., Fandiño Pinilla M. I. 2012] e ripreso in Bolondi, Ferretti e Maffia [Bolondi G. et al.(unpublished)] .
Il capitolo preso in esame si intitola “Monomi e polinomi”, e presenta subito l’elenco di obiettivi che si propone di perseguire durante questa trattazione. Li riporto di seguito:
• riconoscere monomi e polinomi e saperne individuare le caratteristiche • operare con monomi e polinomi applicando le regole sui prodotti notevoli • padroneggiare l’uso delle lettere come puro simbolo e come variabile • stabilire la divisibilità fra polinomi
Nonostante tra gli obiettivi si parli di “padroneggiare l’uso delle lettere come puro simbolo e come variabile”, in tutto il capitolo non viene mai men- zionata la parola variabile, ma si fa uso esclusivo del termine lettera, anche quando si studiano i polinomi come funzioni.
Il capitolo è aperto da una scheda intitolata “Matematica e realtà”; pur se nel titolo si enfatizza il legame tra questi due mondi, gli esempi presentati non hanno niente a che vedere con la realtà propriamente detta, o con un eventuale matematizzazione di questa: sono degli esempi “matematici”, ma- gari già visti nei capitoli precedenti, in cui ai numeri vengono sostituite le
4.2 Il libro di testo 37 lettere.
Si comincia quindi col dare la definizione di espressione algebrica letterale, dicendo che:
«Un’espressione algebrica letterale è un’espressione nella quale alcuni numeri sono rappresentati da lettere»
Si era già parlato nel capitolo “Gli insiemi N e Z” di espressione ed espres- sione algebrica dicendo che:
«per espressione si intende una serie di numeri legati fra loro dai simboli di operazione. Se l’espressione coinvolge numeri relativi, si chiama espres- sione algebrica.»
Notiamo quindi che il testo fa una distinzione tra espressione algebrica e espressione algebrica letterale, sottolineando che in quest’ultima sono pre- senti anche delle lettere. Questa però non è una definizione, bensì una de- notazione essendo le condizioni date necessarie ma non sufficienti; secondo questa definizione infatti una espressione del tipo:
D + f − m6 : −)8(
potrebbe essere classificata come una espressione algebrica letterale.
Nel seguito della trattazione, non viene più usata l’intera dicitura espressione algebrica letterale, ma talvolta si usa solo espressione letterale, più spesso solo espressione algebrica. Nei primi esempi che seguono la definizione si parla di espressioni algebriche, ma vengono solo riportate espressioni algebriche letterali, essendo sempre presenti lettere oltre che numeri.
In conclusione, quindi, l’espressione letterale non viene mai definita, ma viene sempre correlata a quella algebrica. Inoltre tutti i termini, oltre a non essere propriamente definiti, sembrano confondersi e sovrapporsi, sia nella sezione riguardante la teoria che poi in quella riguardante gli esercizi.
Si passa dopo alla definizione di monomi e si dice che:
«Un monomio è un’espressione algebrica letterale nella quale:
• fra le lettere ci sono solo operazioni di moltiplicazione. »
Anche in questo caso non siamo davanti ad una vera e propria definizione, ma ad una descrizione, trattandosi stavolta di una condizione sufficiente, ma non necessaria. Facendo infatti riferimento a questa definizione e a quel- la di espressione letterale algebrica precedentemente data, verrebbero esclusi da questa classe sia i numeri che le lettere con esponente pari a 1, pertanto elementi come “3” e “b” non potrebbero essere considerati monomi senza fare ulteriori specificazioni.
A conferma del fatto che questi casi non vengono presi in considerazione ba- sta guardare la definizione di forma normale di un monomio:
«Diciamo che un monomio è scritto in forma normale se è il prodotto di un coefficiente numerico per una o più lettere, ciascuna con il proprio espo- nente e tutte diverse tra loro.»
Un accenno al caso di numero come monomio viene fatto quando parlando di grado del monomio si dice:
«Anche un numero, come per esempio 7 o −3/4, si può considerare come un monomio di grado zero.»
Il caso della sola lettera con esponente 1 non viene mai citato, non appare neanche nella “Verifica di comprensione” che viene proposta alla fine del pa- ragrafo. E’ certo che tralasciare o, comunque, non dare la giusta importanza a casi come questi non è affatto banale, risulta anzi necessario tenerne conto affinché la definizione di polinomio, data in seguito, abbia un senso.
Dopo aver definito, grado, monomi simili e monomi opposti, si passa a par- lare di operazioni con i monomi, e per prima cosa viene trattata l’addizione, di cui si enuncia la seguente regola:
«La somma di due monomi simili è un monomio simile a quelli dati il cui coefficiente numerico è la somma algebrica dei coefficienti dei due mono- mi.»
Nelle note a lato viene poi detto:
«Per eseguire l’addizione di monomi simili: 1) si sommano i coefficienti, 2) si mantiene la parte letterale»
4.2 Il libro di testo 39 e ancora:
«L’addizione fra due monomi è ancora un monomio solo se i due monomi sono simili»
Vanno pertanto fatte due considerazioni: la prima sull’uso improprio dei termini somma e addizione, e la seconda sul concetto di somma algebrica. Una prima questione da porsi è «perché introdurre una regola di addizione dei monomi simili» quando questa non è altro che «una conseguenza della proprietà distributiva» [Impedovo M. 1993]. Certo è che l’aspetto operativo risulta essere quello privilegiato, descrivendo i passi da compiere per portare a termine l’algoritmo: l’addizione non viene pertanto definita e viene inoltre confusa con il suo risultato, la somma. Si parla infatti indistintamente di somma e addizione, trattandoli come uno stesso oggetto.
Il concetto di somma algebrica, in precedenza era stato presentato in una nota a lato, quando nel capitolo “Gli insiemi N e Z si parlava di differenza tra due numeri interi. La nota diceva:
«Poiché ogni sottrazione, può essere trasformata in un’addizione, si parla in generale di somma algebrica.»
E la stessa osservazione viene ripresa alla fine del paragrafo riguardante la sottrazione dei monomi in cui si dice ancora una volta che:
«una sottrazione può essere trasformata in una addizione; per questo, per indicare la somma o la differenza di due monomi, si parla generalmente di somma algebrica di monomi».
In entrambi i capitoli, quando si parla di somma algebrica non viene data una definizione, ma una denominazione, facendo riferimento ad operazioni già note, e unificandole in uno stesso nome. Stessa cosa verrà fatta quando saranno introdotte le operazioni tra polinomi.
Riprendendo quanto dice Sfard, si può dire che questo è un processo di “sa- ming” (uguagliamento), che si ottiene:
«by assigning one signifier (giving one name) to a number of things that, so far, have not been considered as in any way “the same” but are mutually replaceable in a certain closed set of narratives» [Sfard A. 2008, p. 170].
(assegnando un significante (dando un nome) ad un certo numero di cose che, fino ad ora, non sono state considerate in alcun modo la stessa, ma sono reciprocamente intercambiabili in un certo insieme chiuso di narrazioni). Tornando un attimo al capitolo sui relativi, credo che la trattazione dell’o- perazione di addizione crei dei problemi ai ragazzi nella comprensione di tale concetto: tra le proprietà dell’addizione infatti non si parla né di elemen- to neutro dell’operazione, né di elemento inverso, in questo caso opposto, rispetto all’operazione. Introducendo da subito questi due concetti si po- trebbe da un lato semplificare, e dall’altro rendere più precisa e rigorosa la trattazione di questo tema. Si ridurrebbero i «fastidi che si incontrano nella presentazione [. . . ] dei vari significati che il segno “ - ” ha nella tradizionale notazione matematica. Precisamente: 1) il segno “ - ” si impiega, come il segno “ + ”, per “orientare” i numeri assoluti: −3, +5, . . . ; 2) il segno “ - ” si impiega per l’operazione di “opposto”: −a, . . . ; 3) il segno “ - ” si impiega per indicare l’operazione di sottrazione: 3 − 5, a − b» [Prodi G. 1977, p. 139]. Prodi sottolinea il fatto che una volta introdotta l’operazione di addizione e la proprietà dell’opposto nei numeri relativi, «la scrittura a − b viene inte- sa come un’abbreviazione della scrittura a + (−b)» [Prodi G. 1977, p. 139], senza dover così fare troppi giri di parole sull’operazione di sottrazione. Sempre riguardo al concetto di elemento neutro e alle difficoltà riscontrate dagli studenti nella comprensione di questo, Impedovo dice:
«Il concetto di elemento neutro non è di immediata comprensione, forse per- ché non appartiene alla cultura occidentale; lo zero è stato importato dall’o- riente perché in Europa non si è ritenuto per secoli di dare un nome ad un concetto che appunto contraddistingue il nulla; non è raro che uno studente ci dica che 3 − 3 dà come risultato niente.» [Impedovo M. 1993].
Un’adeguata riflessione su questi concetti durante la trattazione dei numeri relativi, a mio avviso, ridurrebbe le varie difficoltà incontrate quando si in- troducono le operazioni tra monomi.
Tutto questo per dire che non mi è chiaro il motivo per cui nel libro di te- sto preso in esame, nel capitolo sui monomi si torni a parlare di sottrazione
4.2 Il libro di testo 41 dando la seguente regola:
«Per sottrarre due monomi si somma il primo con l’opposto del secondo.» Mi chiedo allora che senso avesse enunciare la regola della somma parlando di somma algebrica e perché non potesse essere tutto rimandato alla trattazione di questi concetti nel capitolo dei numeri relativi.
Infine, viene data la definizione di polinomio:
«Si chiama polinomio la somma algebrica di più monomi simili.»
Questa è una vera e propria definizione, in quanto è una condizione ne- cessaria e sufficiente, ma ovviamente fa riferimento alle definizioni date in precedenza.
Nell’analisi dei vari libri di testo riportata nell’articolo di Bolondi, Ferretti, Maffia [Bolondi G. et al.(unpublished)] , si legge che questa è la definizione di polinomio che viene usata dalla maggior parte dei libri di testo italiani, mentre in un libro di testo adottato negli USA, “Gantert - Integrated Algebra 1” si legge:
«A monomial or the sum of monomials is called a polynomial.»
La differenza sostanziale tra le due definizioni è che in quest’ultima viene evidenziato il fatto che i monomi sono polinomi. Nella maggior parte dei libri di testo italiani, invece la classificazione di monomi come polinomi viene giustificata considerando la somma del monomio dato e del monomio nullo. Il libro di testo da me preso in analisi non fa mai nessuna osservazione di questo genere!
Altra caratteristica che differenzia il modo in cui vengono trattati i polino- mi nei vari libri di testo, è data dal percorso seguito per definire tali oggetti. Spesso trovare lo stesso definiendum non vuol dire trovare gli stessi definiens. Nell’articolo di Bolondi, Ferretti, Maffia [Bolondi G. et al.(unpublished)] a tal proposito viene condotta un’altra analisi che schematizza il percorso che i vari libri di testo seguono. Riassumo nella tabella che segue lo schema proposto dal libro di testo preso da me in analisi:
Seppure il testo sembra seguire uno schema alquanto lineare, si è già visto quante insidie ci sono dietro al processo di definizione del polinomio, già dal- l’inizio della trattazione. Sia la definizione di espressione algebrica letterale che quella di somma algebrica infatti, senza i dovuti accorgimenti fatti da parte del docente, potrebbero influenzare l’allievo in maniera non costruttiva. Se poi ci mettiamo, ad esempio, nei panni di uno studente che si è trasferito da una classe ad un’altra, cambiando così anche il libro di testo, ci rendiamo subito conto di quanto il solo utilizzo del libro di testo per affrontare lo studio dei polinomi non sia sufficiente. L’uso ambiguo di certe definizioni portereb- be di certo il ragazzo in confusione: un esempio è il termine somma algebrica usato talvolta per parlare di somma tra i coefficienti dei monomi, talvolta come operazione sull’insieme dei monomi. Aggirare questo problema, forse, può essere possibile facendo il giusto uso di esempi, controesempi ed eserci- zi. Sfard [Sfard A. 2008] sostiene che nel rapporto tra pratica e teoria sta la soluzione al paradosso presentato in precedenza, “la pratica prima della teoria” potrebbe essere la formula che riassume la soluzione a tale problema [Bolondi G. et al.(unpublished)] .
Guardiamo allora che tipo di esempi ed esercizi riporta il libro di testo preso in analisi, e cerchiamo di capire che uso ne vuole fare.
Partendo dagli esempi fatti all’interno del capitolo, notiamo come non ci sia continuità nell’utilizzo che si fa dei vari termini fino ad allora introdotti. Sia
4.2 Il libro di testo 43 negli esempi e che nei primi esercizi proposti nelle “Verifiche di comprensio- ne”, nel paragrafo in cui è stata definita l’espressione algebrica letterale, si parla sempre e solo di espressione algebrica.
Gli esempi proposti mostrano come si passi dal linguaggio naturale al linguag- gio algebrico, traducendo delle espressioni verbali in espressioni algebriche; attraverso poi le sostituzioni delle lettere con i numeri, si mostra come va- ria il valore dell’espressione al variare dei numeri attribuiti alle lettere: in quest’ultimo tipo di esercizi poteva essere introdotto il concetto di variabile, ma il testo non lo fa. Stesso approccio viene usato nella parte relativa agli esercizi.
Nel paragrafo sui monomi, coerentemente con quanto non osservato dopo averli definiti, non compaiono mai numeri e lettere con esponente pari a 1 tra gli esempi di monomi. Nella parte relativa agli esercizi, però, il primo esercizio di “Comprensione” dice:
«Indica quali tra i seguenti sono monomi»
e tra le scelte proposte compare un « 4 »!!! Ovviamente questo è un mo- nomio, e anche nelle soluzioni a questi esercizi ovviamente viene considerato tale. Mi chiedo allora come possa fare uno studente a saperlo, se in tutta la trattazione di questo argomento questa osservazione non è stata mai fatta! Magari con questo unico esercizio si potrebbe insinuare in lui il dubbio che anche un numero è un monomio.
Negli esercizi in cui vengono proposte espressioni di monomi da semplificare o di cui calcolare il valore, compaiono sia numeri che lettere con esponente pari a 1.
Negli esempi sulle operazioni tra monomi si fa un abbondante uso delle pa- rentesi, sottolineando forse la differenza tra segno del monomio e segno del- l’operazione: passaggio di certo utile quando lo studente entra in contatto per la prima volta con questi oggetti, ma che, a mio avviso, andrebbe presto abbandonato per dare più spazio al concetto di somma algebrica.
Nella sezione di esercizi riguardante questo paragrafo, negli esercizi sulla sot- trazione viene chiesto:
«Dopo aver indicato la differenza fra le seguenti coppie di monomi simili, trasformala in addizione operando gli opportuni cambiamenti di segno. Infi- ne esegui il calcolo.»
Anche qui, come nella trattazione teorica, si parla di addizione e sottrazione come due operazioni distinte, senza mai menzionare il termine somma alge- brica e parlando addirittura di trasformazione di un’operazione nell’altra. Tra gli esercizi di “Comprensione” sui polinomi, in un esercizio di “Vero o Falso” si trova la seguente affermazione:
«−15 è un polinomio di grado zero»
ovviamente vera. Ma nel testo, oltre a non esser sottolineato il fatto che un numero è un monomio, non viene neanche osservato che un monomio è un polinomio.
Nella sezione in cui si studiano i polinomi come funzioni, figura per la prima volta il termine variabile, senza dare alcuna definizione e senza averlo mai menzionato nella parte teorica.
Quanto fatto con le operazioni tra monomi, viene ripreso per quelle tra poli- nomi, ovvero si continua ancora a parlare di trasformazione della sottrazione in addizione. In un “Esercizio guida”, si mostrano i vari passaggi per attua- re questa trasformazione sottolineando il fatto che il segno “−” davanti alle parentesi fa cambiare tutti i segni al suo interno.
Il libro propone in questo capitolo più di 800 esercizi, di questi meno di 20 sono problemi. Si insiste sempre sulle stesse tipologie di esercizio, operazioni da eseguire, espressioni da calcolare o da semplificare, che pertanto risultano poco stimolanti e causano scarsa motivazione e scarso interesse nei confronti della materia di studio. Inoltre la risoluzione dei problemi, pochissimi tra l’altro, è proposta soltanto dopo questa miriade di esercizi di calcolo, come a dire che il consolidamento del calcolo è la sola abilità indispensabile per la risoluzione di questi.
L’eccessiva insistenza nell’applicare formule e algoritmi risolutivi, spesso sen- za le dovute motivazioni, porta di certo i ragazzi a meccanicizzare certi passaggi e ad affidare la risoluzione di esercizi e problemi alla sola memoria.
4.3 Le interviste 45
4.3
Le interviste
Il mio lavoro con i docenti è iniziato, come già accennato, col proporre loro un’intervista strutturata al fine di capire quale fosse il loro modo di intro- durre e trattare i polinomi in classe.
Ho ritenuto utile proporre l’intervista prima di seguirli in classe per ottenere delle risposte il più possibile oggettive, e per avere poi modo di verificare se vi fosse una corrispondenza di intenti, e quindi coerenza, tra quanto dichiarato nell’intervista e quanto effettivamente svolto in classe.
Altro scopo del questionario è quello di capire che uso fanno i docenti del libro di testo: quanto sono condizionati da questo nel seguire l’ordine e il modo in cui presentare determinati argomenti, se vi ripongono un’eccessiva fiducia o se lo seguono col dovuto spirito critico, e in tal caso, in che modo ne integrano le eventuali mancanze.
Già dalle risposte date nell’intervista speravo di potere avere un’idea del fat- to che i docenti avessero o meno consapevolezza dell’esistenza degli schemi di definizione analizzati nell’articolo di Bolondi, Ferretti, Maffia
[Bolondi G. et al.(unpublished)] e di come quindi affrontassero la questione “definizione” dei vari oggetti matematici in questione.