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Il Testo unico in materia di società partecipate pare confermare la prospettiva interpretativa resa nelle pagine che precedono, affermando la piena riconducibilità di tali enti al prototipo societario di matrice civilistica.

Tuttavia, con l’introduzione di una più stringente regolamentazione della possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di ricorrere allo strumento societario subordinandola al rispetto di particolari requisiti e condizioni, sembra aver inciso, limitandola, sulla loro capacità negoziale nell’attività imprenditoriale.

135Cass. civ. sez. VI, 12 luglio 2016, n. 14250; Cass. civ., sez. II, 14 marzo 2016, n. 4938; Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2014, n. 6835.

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In particolare, l’art. 4 del d.lgs. 175/2016, dedicato alle “finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche”, immette nel sistema un doppio vincolo, stabilendo al primo comma che si possa procedere all’acquisizione e alla gestione di partecipazioni pubbliche purché si tratti di “società aventi per oggetto attività di produzione di beni e

servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” (c.d. vincolo di scopo); e prevedendo al secondo comma che le

amministrazioni pubbliche possano, direttamente o indirettamente, costituire società o acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività ivi specificamente indicate (c.d. vincolo di attività)137.

Come evidenziato da attenta dottrina, nessuno dei due vincoli può essere pienamente condiviso138. Non può esserlo il primo poiché, nel presupporre un rapporto di stretta necessarietà, sembra contraddire la natura discrezionale del potere della pubblica amministrazione di individuare caso per caso gli strumenti più opportuni per il raggiungimento dei propri obiettivi. Per quanto concerne il secondo, non v’è dubbio che gli scopi istituzionali dell’ente possano essere perseguiti mediante l’esercizio di attività anche diverse da quelle elencate nell’art. 4.

137 Ai sensi dell’art. 4, co. 2 del d.lgs. 175/2016 “Nei limiti di cui al comma 1, le

amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:

a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;

b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;

e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016.”

138CUONZO, L’applicazione del diritto comune alle società pubbliche, in

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Dalla lettura della norma sembrerebbe discendere una rinnovata attenzione alla strumentalità e dunque alla funzionalizzazione della società alle finalità istituzionali dell'ente come presupposti condizionanti l’esistenza stessa delle società partecipate, che potrebbe spingere alcuni interpreti ad ipotizzare una generale sottoposizione del soggetto privato alle regole e ai principi di diritto pubblico. Peraltro, questa possibile via interpretativa sembrerebbe avvalorata dal dettato del successivo art. 5 t.u. che disciplina il procedimento di adozione e il contenuto dell'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica introducendo analitici obblighi motivazionali, nonché delle forme di consultazione pubblica cui deve essere sottoposto l’atto deliberativo.

D’altronde, in letteratura non manca chi ritiene che, quand’anche la partecipazione pubblica non sia sufficiente ad alterare la tipicità strutturale del negozio societario, è tuttavia capace di alterarne la conformazione causale139. Quando, infatti, “l’interesse pubblico penetra all’interno dell’atto negoziale,

finisce inevitabilmente per contaminarne anche la fisionomia causale, pur lasciandone inalterata la tipicità strutturale”140, quasi come se il Testo unico autorizzasse a ritenere sussistente nelle società partecipate una causa tipica “pubblica”141, differenziata dalla causa lucrativa o privatistica.

Dunque, sembrerebbe che “con il Testo Unico n. 175 del 2016[sia] stata

positivizzata la “causa pubblica” mediante il riferimento alle finalità istituzionali dell’ente pubblico, di cui all’art. 4, comma 1. Possiamo, dunque, affermare, che con il contratto di società pubblica, e art. 2449 c.c., i soci conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di perseguire le “proprie” finalità istituzionali”142.

Non è tuttavia possibile ricostruire il rapporto tra finalità pubbliche e scopo lucrativo in termini di contrapposizione143, facendo prevalere le prime

139CAMPOFILONI, Interesse pubblico e causa societaria: la difficile riconciliazione tra

finalità lucrative e provenienza pubblica delle risorse, in Le Società Pubbliche, op. cit.

140Ibidem

141 GUARINO, La “causa pubblica” alla luce del testo unico n. 175 del 2016, in Le

Società Pubbliche, op. cit., p. 282.

142 Ibidem

143 In questo senso TERRACCIANO, Le società a partecipazione pubblica, tra il Testo

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poiché una simile conclusione, implicando una tendenziale applicazione della disciplina pubblicistica, non risulta coerente e con i principi generali vigenti in materia e con quanto espressamente sancito dal legislatore nel t.u. all’ art. 1, comma 3, laddove è espressamente previsto che “per tutto quanto non

derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.

Sembra preferibile recuperare le raffinate argomentazioni sviluppate da autorevole dottrina sul concetto di strumentalità collegandolo esclusivamente all’oggetto sociale (ossia all'attività) e non anche alla causa sociale (che rimane lucrativa)144.

Se la funzionalizzazione al perseguimento anche dell'interesse pubblico fosse interpreta tout court come limite all’esercizio dell’attività d’impresa, destinato a trasformare la causa societaria, “al di là di ogni altro possibile

argomento, si derogherebbe ad un punto centrale del sistema codicistico, senza alcuna espressa autorizzazione legislativa”145.

www.amministrativamente.it. Per l’Autore “(…) la finalità finisce per costituire l’elemento

significativo per la qualificazione della causa tipica e quindi della natura della società, a fronte di un sistema codicistico che non sembra accettare tale distinzione almeno quanto allo schema tipico del contratto societario, alquanto neutrale sul punto. Può, allora, legittimamente dubitarsi che l’analisi sostanzialistica possa prescindere dal dato formale e consentire la ricostruibilità di uno statuto giuridico tanto differenziato delle società pubbliche da costituire un tipo o un genere a sé stante. Vero è che le società in house providing, per statuto di legge, non possono svolgere attività commerciale o industriale (se non nei limiti del 20%), ma solo perseguono finalità di interesse generale, ma ciò non pare allo stato sufficiente quanto a elidere la natura privatistica del tipo societario, sia pure riconoscendo il regime giuridico derogatorio, proprio per l’attrazione pubblicistica. Ma allora, detti soggetti, pur operatori economici nell’accezione comunitaria, difficilmente potrebbero in senso proprio considerarsi imprenditori commerciali, con la conseguenza che dare per scontato, implicitamente, che si tratti di soggetti fallibili rappresenta una posizione interpretativa valevole e plausibile almeno quanto quella opposta. Proprio in ciò la critica al testo unico sulle società pubbliche, che avrebbe dovuto, con coerenza, in modo esplicito definire la fallibilità o meno delle società in house, sebbene non si possa non evidenziare come, indipendentemente da ogni configurazione giuridica astratta, spetti solo al giudice del fallimento valutare in concreto la presenza delle condizioni e dei presupposti, soggettivi ed oggettivi, per la dichiarazione di fallimento, con buon uso di ogni ricostruzione dommatica.”

144GOISIS, La strumentalità pubblicistica delle società a partecipazione pubblica: profili

critici di diritto nazionale e comunitario e implicazioni di riparto di giurisdizione", in Dir. proc. amm., 2011, 1351 ss.

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