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Limiti della Teoria in rapporto al contemporaneo:

Nel secondo capitolo sono stati presi in esame i concetti fondamentali della

Teoria del restauro di Cesare Brandi, in relazione a specifiche problematiche

di conservazione dell’arte contemporanea. Da una breve rassegna di interventi – realizzati da restauratori, storici dell’arte e filosofi che hanno preso parte al dibattito italiano e internazionale sui temi riguardanti la validità e l’applicabilità della Teoria al contemporaneo – è emerso un quadro di posizioni che potremmo definire plurale. La valutazione che più di tutte, sembra abbia suscitato maggiore consenso tra gli esponenti della comunità scientifica italiana e internazionale, riguarda l’inadeguatezza della Teoria per definire soluzioni conservative e di restauro appropriate nel caso di opere concettuali, processuali, effimere, monocromi e opere che prevedono supporti tecnologici. Nel terzo capitolo, si è poi fatto notare un altro aspetto preminente nella pratica della conservazione del contemporaneo, l’adozione del metodo “caso per caso”. Ogni oggetto artistico rappresenterebbe, in considerazione dei problemi specifici che veicola, un caso di studio, quasi sempre, a sé stante. La singola opera, non è più concepita come luogo d’azione di una disciplina retta da regole assolute e considerate universalmente valide, inoltre è rispetto a problemi specifici che si sono sviluppate riflessioni teoriche e pratiche.

Riepilogando, in sintesi, i limiti della Teoria brandiana rispetto alla conservazione dell’arte contemporanea, vale la pena di riproporre i primi due principi della teoria. Il restauro è «il momento metodologico del

riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetica e storica» e «deve mirare al ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte», senza per questo commettere un falso artistico,

un falso storico o cancellare le tracce lasciate dal tempo. Questi due concetti, alla base dell’approccio brandiano, si rivelano inadeguati alla conservazione di molte opere d’arte contemporanee che presentano fini e mezzi estetici distinti dalle opere antiche.

Innanzitutto il «riconoscimento» nella coscienza del fruitore del valore di artisticità dell’opera sottintende, anche, l’imperativo alla conservazione, presupposto difficilmente conciliabile nel caso di opere effimere o concettuali che rifiutano la longevità dell’oggetto o nel caso di opere realizzate – consapevolmente o inconsapevolmente – con materiali fragili, destinate, pertanto, a una vita breve. In secondo luogo, il restauro è finalizzato alla conservazione della consistenza fisica dell’opera e non contempla la dimensione immateriale che caratterizza molte espressioni artistiche contemporanee. Infine, la salvaguardia della «duplice polarità estetica e

storica» prevista da Brandi poco si adatta a un approccio “funzionale” (teoria

contemporanea del restauro) o al concetto di serialità e comunque a quei materiali sostituibili che mettono apertamente in discussione la categoria di autenticità, mentre altre opere rifiutano la storicità poiché sono alla ricerca di una perenne “purezza” formale, come ad esempio i monocromi.

Più in generale è lo stesso concetto di opera d’arte su cui fonda il «riconoscimento» come atto critico a essere messo in discussione. Come ritiene Brarassi, Brandi propone un concetto di arte puramente visivo e statico, non prende quindi in considerazione le opere che includono il gusto, l’olfatto, il movimento, la funzionalità o che si offrono in qualità di arte processuale, relazionale, progettuale o concettuale.218

4.3 Limiti della Teoria in rapporto al contemporaneo: mutamento di

paradigma

Nel primo capitolo si è tentato di tracciare il mutamento di paradigma a partire dalle riflessioni filosofiche di Gillo Dorfles e Arthur C. Danto. L’uno e l’altro, descrivono il radicale cambiamento dei canoni e del ruolo dell’arte, rispetto all’estetica tradizionale, attraverso concetti quali “centro e periferia”, “policentrismo”, “pluralismo”. In entrambi, la ricerca è indirizzata a mettere in

rilievo l’eterogeneità e la complessità delle espressioni artistiche contemporanee, ampliando la definizione di ciò che designa un oggetto d’arte come tale. Secondo questa prospettiva, il mutamento di paradigma potrebbe essere sintetizzato ed espresso in questi termini: “non qualunque cosa è arte, però qualunque cosa è in potenza arte”.

Un simile cambiamento potrebbe avere conseguenze anche nell’ambito del restauro. Se consideriamo valida questa ipotesi, si dovrà anzitutto tenere in considerazione il fatto che i criteri teorici elaborati da Brandi, sono concepiti per il restauro di opere antiche e moderne. Di conseguenza la «doppia polarità

estetica e storica» su cui fonda il «riconoscimento» come atto critico

(momento metodologico del restauro) perde coerenza nell’epoca poststorica. Il riconoscimento dell’opera d’arte, così pure della produzione artistica, già non fonda su una “narrazione” o un canone estetico che costituisce il “centro”. D’altronde, le diverse narrazioni su ciò che è “arte”, ”autentico” o “originale” ciascuna di esse rappresenterebbe solo una delle interpretazioni possibili ma nessuna è assunta come prioritaria rispetto alle altre, tutte si equivalgono. In secondo luogo, il critico e teorico senese nel suo scritto Teoria del restauro, prende in esame il tempo storico nell’opera d’arte. L’utilizzo di questa categoria è accettabile nel caso di opere d’arte tradizionali, poiché in esse predomina il supporto fisico, ma non è utile a definire l’arte effimera e concettuale, manifestazioni che non cercano la trascendenza ma la loro attuazione “qui e ora”. La loro durata è precaria e in molti casi il progressivo deperimento dei materiali o la distruzione completa dell’opera, si manifesta come espressione diretta dell’intenzione dell’artista.219

Brevemente, l’estetica di Brandi affronta il problema dell’opera d’arte in termini di ricezione nella coscienza e del suo riconoscimento in essa. Questa riflessione estetica, focalizzata al restauro, consente di individuare gli assiomi della Teoria (ovvero l’istanza estetica e storica e si restaura solo la materia) con cui legittimare le pratiche concrete del restauro. Questi assiomi – che

219 In questi casi, un aspetto importante della conservazione è la documentazione, nel quale si raccolgono anche le intenzioni dell’artista.

scaturiscono dalla questione filosofica del «riconoscimento» – caratterizzano il restauro come un’attività che «deve mirare al ristabilimento dell’unità

potenziale dell’opera d’arte».

Si è visto, che nell’arte contemporanea i canoni estetici di armonia, di equilibrio, di simmetria della forma, l’ideale assoluto di bellezza si sono sgretolati. Oggi, l’arte non si avvale più di quel carattere di unità che spetterebbe all’intero, ma si riferisce a una nuova “unità” che potremmo definire, una “unità” che si raggiunge attraverso il consenso intorno alle diversità, o meglio una “unità” della diversità che si basa su una visione di integrità. Come si è già affermato precedentemente, Danto non considera più l’arte contemporanea in conformità a un determinato periodo della storia dell’arte, ma come una categoria eterogenea e generica. Al termine “opera d’arte” il filosofo americano attribuisce una concezione che è essenzialista, e al tempo stesso, storicista. In questo modo, il concetto di arte è coerente con tutto ciò che è arte: in esso si dovrebbe poter accettare la coesistenza dell’arte contemporanea in tutte le sue manifestazioni, dell’arte tradizionale e dell’arte antica. Inoltre, Danto afferma che il pluralismo dell’universo artistico contemporaneo richieda un pluralismo anche nella critica d’arte, e ciò significa che: «la critica non deve dipendere da una narrazione storica improntata all’esclusione, ma considerare ogni opera di per sé, relativamente alle sue motivazioni, significati, e riferimenti intrinseci, e al modo in cui tutto questo prende forma e deve essere interpretato»220.

A questo punto, si potrebbe affermare che la riflessione teorica di Brandi poggia su un paradigma estetico del tutto inconciliabile con quello del contemporaneo e presumibilmente i principi della Teoria, in toto, non possono essere considerati validi anche per l’arte contemporanea. Questa valutazione trova, peraltro, un riscontro pertinente in quella precisa ossessione di Brandi di preservare e conservare la consistenza fisica dell’opera, in quanto luogo in cui si manifesta l’epifania dell’immagine, che è portatrice di quei valori estetici e storici definiti in funzione a criteri oggettivi e improntati all’esclusione, criteri

inerenti alla “Verità” dell’oggetto artistico. L’opera d’arte è concepita come un

unicum. Certamente, il teorico italiano, nel suo scritto non si è posto il

problema della riproducibilità, dei nuovi medium e tecniche nell’arte ma neppure poteva prevedere la straordinaria apertura che, da lì a poco, avrebbe interessato il mondo dell’arte e che l’avrebbe radicalmente cambiato. Per fare solo un esempio, basti pensare la trasgressione all’imperativo di originalità presente in molte proposte artistiche dei nostri giorni, che si manifesta con l’inversione di gran parte dei criteri di autenticità – criteri definiti da norme e regole che rispecchiano l’alta cultura –.

In forma di rapida digressione, si vuole ricordare il tentativo da parte degli esponenti della teoria contemporanea del restauro, di superare i criteri teorici brandiani sostituendoli con un approccio “funzionale” del restauro: emergono posizioni volte a decostruire i concetti di “autenticità” e “Verità”, criteri sui quali si era basata la teoria classica del restauro; i valori storico-estetici sono sostituiti con altri valori attribuiti all’oggetto, da una più ampia rete di soggetti. Per rispondere a tutte le aspettative assegnate all’oggetto dagli agenti sociali coinvolti, si delinea un approccio etico del restauro che trova riscontro nelle idee di negoziazione, dialogo e soprattutto di consenso.

Fatta questa breve digressione sull’attuale indirizzo della teoria del restauro, si segnala che oggi alcuni esperti continuano a sostenere la validità dei principi brandiani – o parte di essi – e rivendicano la loro applicabilità anche per l’arte contemporanea, in particolare se l’oggetto artistico appare accomunabile a un’opera d’arte tradizionale. Certamente non si vuole mettere in dubbio il riconoscimento internazionale ottenuto da Brandi che, peraltro, con il suo lavoro ha influenzato la pratica del restauro in molti paesi europei ed extra- europei. Tuttavia, è necessario riflettere su una questione di carattere cronologico temporale: le creazioni artistiche contemporanee sono un prodotto del nostro tempo e nonostante alcune di esse siano rapportabili per tecnica all’arte tradizionale, tutte queste manifestazioni non possono essere percepite come tali. In questo senso, anche se alcuni principi brandiani sono ritenuti validi e quindi applicabili all’arte contemporanea, si dovrebbe poter ricorrere a

loro solo se ricompresi all’interno di una nuova teoria, che li preveda come parte della stessa.

Prendendo in considerazione l’idea di una nuova “unità” – che ho descritto nei termini di “intergrità” o “unità che si raggiunge attraverso il consenso intorno alle diversità” – si intende guardare anche all’eterogeneità dei soggetti che, nel sistema dell’arte, prendono parte a ciò che Maria J. Martinez Justicia ha definito “orizzonte di aspettativa sociale”.

4.4 Il pubblico del museo d’arte contemporanea e il suo orizzonte di

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