2.2.1 – Origini, caratteri di fondo, sviluppi
La propensione ad associarsi sembra essere caratteristica innata della natura umana: molte migliaia di anni prima della celebre definizione aristotelica dell'uomo come animale sociale, la formazione di gruppi clanici e di strutture tribali ha consentito ai nostri antenati di difendersi meglio, di procurarsi più cibo, di costruire e perfezionare la loro cultura materiale; ha permesso in sostanza agli individui di perseguire con più efficacia i propri obiettivi, individuali e sociali, nei confronti dell'ambiente, della collettività e di gruppi estranei.
Dentro i clan e le tribù, sotto-gruppi più o meno strutturati sono sempre esistiti sin dall’alba della società, con forme, nomi e vincoli diversi: caste, corporazioni,
consorterie, sette, ordini, ecc. Nelle società tradizionali tali associazioni hanno prevalentemente carattere difensivo, tendono alla copertura di fabbisogno114 e sono in genere istituzioni di reciprocità115, in cui l’uomo aiuta l’uomo, in cui la solidarietà
è l’elemento centrale del progetto (religioso, etico, economico o politico) verso il quale punta l’associazione. In questo senso non è certamente trascurabile l'influenza dei movimenti riformisti del XVI secolo: lo scisma di luterano catalizzò una serie di reazioni a catena, liberando dai ceti popolari e piccolo-borghesi energie confluite in una moltitudine di movimenti civico-religiosi ad alto potenziale utopistico: calvinisti, anabattisti, movimenti chiliastici diventarono presto politicamente pericolosi, e quindi dichiarati eretici e perseguitati, per la loro spinta autonomista, scismatica, per la loro ribellione allo strapotere aristocratico ed ecclesiastico, per le loro ipotesi di micro-società ideali, delle volte veri e propri rules de saints116. Thomas Müntzer, Melchior Hofmann, Jan Matthys, Jan di Leida, Bernhard Knipperdolling, erano questi i predicatori che infiammarono l’impero di Carlo V di una nuova utopia inframondana, per vedere realizzata la quale furono disposti a tutto117. Ma adesso, grazie al torchio per la stampa, il loro progetto sociale, politicamente eterodosso, si incamminava per le vie di tutta Europa.
Da un punto di vista di una relazione di aiuto mono-direzionale già nel XVII secolo si svilupparono nel mondo anglosassone le charitable organizations (organizzazioni filantropiche private con finalità caritatevoli). Differentemente che in Italia, anche in ragione dell'opposto ordinamento giuridico dei due paesi, l'Inghilterra non norma con precisione le caratteristiche di queste organizzazioni, preferendo piuttosto indicare le finalità che esse devono perseguire. Lo Statute of Charitable Law del 1601 (conosciuto anche come Statute of Elizabeth), nel suo preambolo asserisce che “Il sostegno degli anziani e dei poveri, il soccorso dei soldati e dei marinai malati e mutilati, la protezione delle scuole libere e degli studenti all'università, la riparazione dei ponti, dei porti, dei rifugi, delle strade, delle chiese, l'educazione degli orfani, il mantenimento delle case di correzione, il sostegno delle giovani per portarle al matrimonio” sono tra gli scopi delle organizzazioni caritatevoli. In Inghilterra già nel Seicento, dunque, si discuteva di quali fossero le attività filantropiche e di interesse 114 Cfr. Werner S., I classici della sociologia, Armando Editore, Roma, 2009.
115 Cfr. Alberoni F., Classi e generazioni, Bologna, Il Mulino, 1970.
116 Come la città tedesca di Münster, le cui vicende sono narrate nel recente romanzo storico Q, di
Luther Blissett, Einaudi, Torino, 2000.
117 Cfr. lgor' Rostislavovic Safarevic, Il socialismo come fenomeno storico e mondiale, La Casa di
Matriona, Milano, 1980. In particolare: capp. I e II, reperibili su internet: (http://utenti.lycos.it/armeria/safarindex.html).
generale e di quale sostegno dovesse garantire loro lo Stato.
Si continuò a discuterne anche nei secoli successivi: l'interpretazione dello Statute
of Charitable Law, infatti, è stata espansa in un considerevole corpo di sentenze. Nel
1891, in Commissioners for Special Purposes of Income Tax v Pemsel, Lord McNaughten individuò quattro categorie relative al concetto di “carità” la cui definizione è stata poi sostanzialmente accettata e ripresa dal Charities Act del 2006:
1. l'assistenza alla povertà;
2. il miglioramento dell'istruzione; 3. la diffusione della religione;
4. altri propositi di cui la comunità è considerata beneficiaria).
Anche negli Stati Uniti, almeno dal XIX secolo, la rete di organizzazioni civiche distribuita nella confederazione era molto articolata ed estesa. Ne dà testimonianza Alexis de Tocqueville in alcuni capitoli di Democrazia in America, in cui, forte dell'esperienza del suo viaggio nel 1831, descrive la forte e radicata esperienza delle associazioni dei cittadini americani che mettevano in pratica il principio associativo come nessun paese al mondo al fine di per promuovere la sicurezza pubblica, i commerci, l'industria, la moralità e la religione.
Ma è già nell'Italia della civiltà comunarda e dell'umanesimo civile la culla delle organizzazioni della società civile. Si pensi alle centinaia di associazioni e corporazioni di arti e mestieri diffuse nell'età comunarda, le quali spesso avevano anche scopi mutualistici. Nello stesso periodo anche la chiesa (in ossequio al principio evangelico dell'accoglienza e della cura del prossimo, nel quale i cattolici vedono Cristo stesso) si muove con le le prime organizzazioni caritatevoli, soprattutto gli Ospedali in cui, fin dall'alto Medioevo, frati e suore accoglievano e curavano poveri, ammalati e pellegrini. A differenza delle confessioni protestanti, in cui vige il dogma della predestinazione, nella religione cattolica le “buone opere” quotidiane rappresentano la via per la salvezza eterna. Tale impostazione favorisce dunque l'azione caritatevole, diretta non solo verso la cura della salute o il soddisfacimento dei bisogni primari, ma anche verso ambiti culturali, come ad esempio, nel caso della biblioteca ambrosiana, fondata a Milano dal cardinale Borromeo nel 1690.
sociale che nell'età contemporanea, soprattutto a partire dalla metà del XIX secolo, vede realizzarsi non solo un consolidamento della precedente tradizione caritatevole, ma anche per lo sviluppo – a causa dei mutati assetti sociali determinati dalla rivoluzione industriale – di nuove concezioni di auto protezione sociale. In un'epoca in cui la legislazione sociale, e specie quella previdenziale, erano agli albori, nacquero ad esempio le Società di Mutuo Soccorso, fondate da gruppi familiari o di lavoratori, per sostenere le persone e le famiglie nel caso di malattia o di morte di qualche congiunto118. Nello stesso clima vede la sua nascita il movimento cooperativistico, che trae origine non solo da iniziative operaie ma anche dalle leghe contadine, largamente presenti in molte regioni europee, e che in Sicilia, tra i primi casi in Europa, prese la forma dei fasci dei lavoratori uniti nella lotta contro il latifondo. Tale movimento rivendicava con forza la necessità di una riforma agraria ed il diritto ad affittare, acquistare e coltivare la terra in gruppi, appunto, cooperativi.
2.2.2 - La nascita della Nazione e il riflusso dell'associazionismo durante il fascismo
Fino al 1860 la penisola non aveva mai avuto stati nazionali e dunque l'attività svolta dai privati attraverso gli enti orientati a scopi di obiettiva rilevanza pubblica (assistenza, sanità, istruzione) non avevano conosciuto il rapporto con un potere monolitico e autoritario, sviluppandosi ampiamente ed in varie forme e strutture organizzative. Con l'unificazione e lo sviluppo dello Stato moderno, le istituzioni pubbliche iniziarono ad ampliare i propri confini funzionali, raggiungendo ambiti della vita sociale da cui, fino ad allora, erano rimaste estranee. Inoltre, in quegli stessi anni, con l'avviarsi dei processi di industrializzazione e di inurbamento, la stessa condizione di povertà cominciò a mutare forma e consistenza. Il bisogno di protezione sociale e sanitaria della popolazione cambiò per qualità e quantità anche alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche, che permisero alla medicina di trattare risolutivamente una quantità di fenomeni e patologie prima insperata.
All'indomani dell'unificazione la politica nazionale si pose quindi il problema della razionalizzazione e riduzione dell'iniziativa dei privati in campo sociale come 118 Le iniziative delle Casse Mutue furono difatti evoluzioni di esperienze in qualche modo
preesistenti, che a causa delle limitate risorse a disposizione, dovettero studiare nuove pratiche di gestione aziendale, in modo da poter garantire assistenza su crescenti soglie di operatività nonostante un contenuto dispendio di mezzi.
dell'eccessivo patrimonio disponibile agli enti ecclesiastici. Nel 1862 furono emanati i primi provvedimenti volti a regolamentare le Opere Pie; nel 1866 con il Regio Decreto per la soppressione delle corporazioni religiose e la successiva Legge per la liquidazione dell'asse ecclesiastico, lo Stato tentò un drastico ridimensionamento della rete di protezione sociale operante nel Paese. Tutto ciò però non fu sufficiente per spegnere l'iniziativa privata nel sociale, sia di matrice cattolica che laica nei diversi comparti, tanto da far evidenziare ad un censimento delle opere pie nel 1880, una presenza di circa 22.000 istituzioni operanti in 33 settori diversi, con una rendita di 81milioni l'anno, che comparata alla rendita dei beni di patrimoniali dello Stato che allora era di 34,3 milioni, restituisce bene l'idea di quanto fosse pesante l'influenza di tali organizzazioni sociali.
Il processo di controllo sulle attività dei privati con quella dello Stato arrivò a maturazione con la legge 6972/1890, meglio nota come Legge Crispi, attraverso cui fu effettuata una storica opera di statalizzazione e laicizzazione di un comparto che fino ad allora era considerato presidiato dai privati ed in particolare dalla Chiesa Cattolica. Con l'attuazione di questa legge, lo Stato impose per via legislativa il controllo statale a un elevato numero di enti e istituzioni che dovettero forzatamente assumere la nuova veste di IPAB, Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza. Questa trasformazione, se nei fatti burocratizzava e ingessava l'intero sistema, ponendo soprattutto gli enti maggiori sotto un rigido controllo statale, fu avviata non tanto per vincolare la natura delle attività, quanto per uniformare la disciplina in tema di amministrazione, contabilità, fiscalità.
Tale impostazione si mantenne sostanzialmente immutata per tutto il corso legislativo del ventennio fascista durante il quale si accentueranno le ingerenze dell'autorità statale nella vita e nelle opere delle IPAB. Ma se le grandi istituzioni caritatevoli riuscirono in qualche maniera a sopravvivere e a conservare almeno una parte dei propri patrimoni, piccole e grandi associazioni (ad es. gli scout), cooperative di lavoratori e case del popolo, associazioni politiche e sindacali furono presto dichiarate fuorilegge ed espropriate di beni e strutture. Dal momento in cui sale al potere il fascismo, infatti, il libero associazionismo verrà colpito in maniera dura, specialmente le leghe di matrice socialista e le organizzazioni autonome degli operai: il regime si impegnerà per la chiusura e la trasformazione in “case del fascio” delle Società di Mutuo Soccorso119, dei circoli ricreativi e culturali, delle Case del 119 Dopo la formazione dello stato unitario, in Italia migliorano le condizioni economiche e sociali e
Popolo120. Attraverso le leggi eccezionali del 1926, il regime instaura delle organizzazioni proprie di tipo paramilitare, sindacale e associativo. L’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) fu uno strumento che permise al regime di intervenire in campo previdenziale, nelle attività ricreative e nel tempo libero, al fine di attuarne un totale controllo. Questa organizzazione assistenziale assicurò il controllo di numerose attività nell’ambito delle escursioni e dello sport, dell’educazione artistica, della cultura popolare, dell’insegnamento professionale, dell’assistenza e dell’igiene, del dopolavoro femminile, della propaganda e della stampa. Con la caduta del regime cessa la storia dell’OND, in quanto il Regio Decreto Legge del 2 agosto 1943 n. 104, ne sancisce il passaggio alle dipendenze del Consiglio dei Ministri.
Alla caduta del fascismo riprende il fermento associativo, nonostante il regime avesse cercato di reprimere ogni forma di associazionismo che non rientrasse nella propria struttura di sistema: i Comitati di Liberazione Nazionale (CNL) si impegnano in favore delle forze democratiche, desiderose di recuperare il possesso delle sedi che il fascismo aveva tolto. Le ex case del fascio diventano centri di vita democratica, ospitando varie associazioni e partiti, in un contesto di generale slancio entusiastico in cui le masse si mobilitano per il restauro degli immobili attraverso sottoscrizioni e lavoro volontario.