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L’avanguardia e i rapporti con il LEF

3. La lingua dei giornal

Sul sesto numero del «Lef» Vinokur pubblicò La lingua del nostro giornale (Jazyk našej gazety), un’analisi rigorosa del discorso dei giornali come pratica scrittoria. È questo un tema caro allo studioso, che può trattare l’argomento con la competenza che gli poté derivare dall’esperienza diretta: ricordiamo che fino a pochi anni prima Vinokur era stato traduttore e redattore presso la TASS, dove aveva lavorato anche Majakovskij dal 1919 fino al 1922 (Ripellino 1959: 92).

Già nel volume La cultura della lingua (Kul’tura jazyka), e in particolare nel paragrafo Il titolo e la sua funzione semantica (Zagolovok – ego smyslovaja funkcija), nota che il carattere del contenuto comunicato, il suo tipo semantico, viene trasmesso proprio grazie alle forme spaziali del carattere. Analizzando titoli dei quotidiani, ne mostra poi la “funzione pubblicitaria” (reklamnaja funkcija) giungendo ad estenderla al linguaggio nel suo complesso. Osserva anche l’abuso dei caratteri cubitali da parte della stampa sovietica, soprattutto nei sottotitoli, e fa notare che il sottotitolo riveste un ruolo diverso da quello del titolo. Se la lingua scritta, rispetto a quella parlata, si caratterizza per un «orientamento eminentemente grammaticale (grammatičeskaja ustanovka) e non lessicale»,

nel linguaggio del quotidiano [...] questo orientamento verso i mezzi grammaticali della lingua diventa specificamente acuto e astratto. L’organizzazione grammaticale è qui eccezionalmente imperativa e incalzante. Perciò i limiti di tale

organizzazione sono oltremodo angusti, e la libertà creativa viene soffocata (Sini 2011: 94).

L’analisi di Vinokur si concentrava su tre caratteristiche correlate della lingua dei giornali: la prima era la sua estrema densità sintattica; la seconda era la sua meccanicità come un prodotto linguistico industriale bell’e pronto; e infine la terza il suo lessico, ovvero il cosiddetto “gergo incomprensibile” (cioè parole straniere e nomi abbreviati). La prima proposizione di Vinokur riguardo la super-saturazione grammaticale del giornale era basata sull’osservazione che il giornale è composto quasi esclusivamente di frasi prefabbricate e clichés, di stereotipi linguistici intrecciati.

I contenuti lessicali degli enunciati dei giornali sono completamente predeterminati dalla loro struttura grammaticale. Il giornale, che prende la sua struttura dal telegramma, privilegia gli assi sintattici della lingua su quelli lessicali. E poiché le sue costruzioni grammaticali dense e di impatto sarebbero troppo gravose per la trasmissione orale, la lingua del giornale può esistere soltanto in forma stampata. Essa è infatti un genere scritto, piuttosto che parlato; eppure è abbastanza diversa dalla prosa. Vinokur per questo motivo confronta le elaborate costruzioni sintattiche dei giornali con le sequenze sintagmatiche che sono caratteristiche della narrativa scritta:

Un’attenzione alla sintassi è manifestata nella distribuzione sistematica di particelle copulative e parole sull’intero segmento, e permette a un intero ammasso di fatti di inserirsi in una singola catena grammaticale. L’esposizione di questi fatti nel tipico discorso conversazionale – così come in tutti gli altri tipi di discorso scritto eccetto quello dei giornali – richiederebbe una forma narrativa completamente diversa fatta di varie frasi indipendenti. Se provassimo a suddividere in questo modo il testo di un telegramma, priveremmo la lingua del telegramma della sua principale caratteristica, e avremmo a che fare non più con un telegramma ma con qualche tipo di narrativa storica (Vinokur 1970a: 123).

Una delle principali differenze tra il giornale e la narrativa è il modo in cui questi organizzano l’informazione: come risultato della sua complessità sintattica, l’informazione contenuta nel telegramma e nel giornale può essere appresa quasi sincronicamente, mentre il lavoro narrativo dischiude i suoi contenuti in modo sequenziale attraverso una serie di trasformazioni temporali durante l’esposizione del testo. La lingua del giornale è al presente, istantanea ed effimera, e le sue rigorose costruzioni schematiche sono più suggestive dei più formalizzati generi lirici rispetto alle forme in prosa. E ancora il linguaggio tecnico del giornale è abbastanza diverso dal linguaggio appositamente elaborato della poesia. Vinokur sottolinea che a causa della prevalenza del linguaggio grammaticalmente stereotipato, è possibile trovare giuste analogie tra la produzione giornalistica e l’industria manifatturiera:

i tipi di enunciati maggiormente usati nei giornali (l’articolo di testa, il telegramma, l’intervista) sono costruiti utilizzando stereotipi già pronti: sono condizionati da un modello di discorso che è già stato creato nel corso della produzione dei giornali – da formule verbali precostruite e clichés linguistici (Ivi: 124).

Come risultato della rigida struttura combinatoria del linguaggio giornalistico, quasi tutti gli elementi dell’articolo di giornale sono determinati in anticipo, e la composizione degli articoli procede in modo rapido, anonimo e automatico. Strettamente circoscritto dal formato del giornale e dagli stereotipi verbali prefabbricati, le scelte del giornalista sono limitate all’estremo.

Gli annunci telegrafici pubblicati sulla stampa rappresentano esempi lampanti di questo stile, dove la compressione degli schemi grammaticali è condotta ai limiti estremi. Tale attitudine, per così dire, “grammaticalizzante” si spiega da una parte con la fondamentale esigenza

informativa e commentativa propria del quotidiano, ma anche con le specifiche condizioni sociali in cui si colloca la scrittura stampata e che ne definiscono il compito stilistico. Il quotidiano usa una lingua piuttosto stereotipata, dal momento che non svolge alcuna funzione artistico-poetica ma adempie a mansioni informative e si rivolge a un numero enorme di acquirenti-consumatori dalle competenze e consuetudini eterogenee. Ricordiamo fra l’altro che le tirature editoriali sovietiche raggiungevano già all’epoca cifre incommensurabili rispetto a quelle di altri paesi europei e se alle condizioni suddette si aggiunge il ritmo rapido dell’edizione – «che consente di costruire corrette analogie con la produzione industriale» – ci si rende conto di quanto tutti questi fattori portino inevitabilmente a una lingua meccanizzata. Per questo motivo

i tipi abituali e fondamentali dell’informazione del quotidiano (telegramma, intervista, cronaca, la maggior parte degli editoriali) sono costruiti su modelli già pronti, condizionati da stampini discorsivi già fatti nel processo della produzione del giornale, da formule coniate e già a disposizione, da clichés (Sini 2011: 94).

Ciò si manifesta, scrive Vinokur, soprattutto nel lessico, dove le parole diventano termini: «La lessicologia del giornale è una terminologia sui generis»:

Nella lingua del giornale manca proprio ciò che costituisce la base della poesia, la quale ci permette di sentire ogni parola di nuovo (oščutit’ každoe slovo zanovo), come se la ascoltassimo per la prima volta (Ibidem).

In altre parole, il vocabolario del giornale ha sempre un carattere «fraseologico», cioè è «la somma di locuzioni fisse, serializzate, il cui valore precisamente definito, meccanizzato, e il significato sono già conosciuti in anticipo» (Vinokur 1970a: 125).

Tra i vari aspetti del giornale, l’ultimo ad avere importanza è il contenuto, che passa in secondo piano rispetto alla sintassi. Il linguaggio del giornale, così automatico e stereotipato, è del tutto privo di significato. Vinokur scorge il pericolo di perdita espressiva, e soprattutto cognitiva, non solo nella ripetitività della lingua dei generi testuali a stampa ma anche nella lingua letteraria. Da studioso di poesia Vinokur è ben consapevole del fatto che la ripetizione è strutturale nel momento in cui si configura come schema metrico; da storico della letteratura sa inoltre bene che certi schemi ricorrenti sono il serbatoio della tradizione letteraria classica, di prosa, poesia ed eloquenza.

Ancora una volta le argomentazioni di Vinokur dimostrano le continue frequentazioni con l’avanguardia futurista e il formalismo, in cui a partire dalla percezione del nuovo si analizzano i fenomeni linguistici. La differenza però è che nel caso del quotidiano non vi è nulla da ridire se la lingua si compone di automatismi, poiché in questo caso si tratta una situazione in cui il parlante sa che sta parlando proprio in modo del tutto convenzionale e non presuppone alcuna forza espressiva. Insomma, pur trattandosi di stereotipi, di cui il parlante fa un uso cosciente, essi sono comunque funzionali alla produzione dei testi e alla loro ricezione (Cfr. Sini 2011: 95).