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Il location management si può definire come l’insieme delle operazioni finalizzate all’insediamento produttivo di un’impresa in un sito estero. Esso si compone di quattro

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attività principali: location strategy, decision, monitoring e migration, e coinvolge diversi livelli e funzioni dell’azienda, impegnando contemporaneamente reparti come il marketing, la finanza e controllo, la programmazione della produzione e delle vendite, la logistica e l’approvvigionamento. L’insieme delle attività e delle funzioni coinvolte denuncia la complessità di tale processo e la necessità di una gestione dedicata.

Il processo si compone di attività distinte, ma ognuna richiede l’apporto congiunto di diverse funzioni, e le questioni affrontate in una fase si ripropongono in un’altra in quanto tra loro interdipendenti. Il location management necessita di una cospicua attività di raccolta delle informazioni e della loro comunicazione, sia all’interno del team che si occupa del progetto di internazionalizzazione della produzione, che alle altre figure coinvolte nel project management.

L’importanza del location management deriva dall’ammontare dell’investimento ad esso legato, dove gli errori di valutazione possono portare l’impresa a essere in serie difficoltà, fino a comprometterne la performance economica e finanziaria. Le imprese di minori dimensioni possono affidarsi a degli specialisti, in modo da contenere i costi e le risorse impiegate.

L’integrazione dei compiti nel global location management

Fonte KPMG International. Studio del 2005 sul Global Location Management

La fase di location strategy si compone dell’osservazione del mercato e del suo sistema competitivo, della valutazione della domanda e dell’analisi delle condizioni del sito utili a capire in che modo influenzano la produzione.

Le operazioni che compongono la fase denominata location decision sono l’analisi dei diversi siti e la loro comparazione, la pianificazione dell’insediamento, l’inizio e lo

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sviluppo delle operazioni. Tale fase si attiva nel momento in cui l’impresa deve scegliere se seguire il suo cliente nello stesso Paese o in uno attiguo, confrontando le difficoltà e le opportunità che ogni singolo sito offre. Ad essere valutato non è solo lo stato attuale del mercato, ma anche le sue prospettive di crescita e di sviluppo. Si deve infatti considerare il modo in cui possono cambiare le condizioni per poter continuare a ritenere migliore un sito rispetto ad un altro per tutto l’arco di tempo prospettato (ad esempio la crescita dei salari registrata nei Paesi dell’Europa centro-orientale).

Il location decision necessita di essere gestito in modo tale da garantire il controllo dei costi ed evitare i ritardi. Le motivazioni che portano a tali problematiche sono operative o manageriali. Tra le difficoltà operative vi sono la raccolta insufficiente dei dati, la mancanza, o la non comunicazione, di chiari obiettivi strategici e della leadership del senior management, la sottostima della complessità dei compiti e delle tempistiche ed infine alcuni fattori esterni come le variazioni delle condizioni del mercato in cui ci si intende inserire.

Una corretta gestione del location management richiede che ogni sua fase venga monitorata in modo tale da rilevare i rischi ed evitare che questi provochino distorsioni o difficoltà maggiori. Il location monitoring si compone dello sviluppo di indicatori chiave, di una struttura di reporting e della valutazione della performance del sito estero. Le sue caratteristiche sono la capacità di far risparmiare risorse, essere efficiente, essere di facile comprensione ed amministrabilità e permettere di rilevare punti critici e possibilità di sviluppo. La valutazione è finalizzata a monitorarne l’efficienza, rilevare le problematiche ai primi stadi e individuare le best practice. Il controllo e la diffusione dei risultati è utile per comparare tra loro gli impianti localizzati all’estero e per conseguenza, creare competizione tra i diversi siti basata sul benchmarking. Ciò richiede che siano utilizzati gli stessi indicatori su tutti gli impianti, posta la possibilità di comparare produzioni e contesti diversi.

È necessario che l’azienda si ponga in modo proattivo rispetto al controllo, in modo da individuare le difficoltà, le relazioni di causa ed effetto e prevenire l’uso di correttivi che comportano elevati costi per l’azienda. Gli indicatori coinvolti in tale operazione hanno diversa natura, devono comprendere sia quelli finanziari che non-finanziari come, ad esempio, i tassi di turnover o di assenteismo del personale. È fondamentale che l’impresa utilizzi anche misurazioni di tipo qualitativo, di analisi di processo e per l’analisi delle risorse umane.

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All’interno del location monitoring le imprese possono trovarsi in uno dei quattro diversi scenari che sono il risultato dell’incrocio tra due fattori, il controllo decentralizzato e quello gestito dalla direzione centrale.

Il bilancio tra strutture di controllo centralizzate e decentralizzate

Fonte: KPMG International. Studio del 2005 sul Global Location Management

La situazione 1 coincide con una scarsa propensione al controllo, la quale si basa per lo più sull’analisi dei bilanci e interessa imprese di media grandezza, dotate di uno o più piccoli insediamenti all’estero che contano un massimo di cento lavoratori ciascuno. Le imprese appartenenti al secondo scenario presentano invece una buona decentralizzazione alle sedi estere, a cui si accompagna un alto grado di potere decisionale, mentre la direzione centrale si occupa di monitorare l’insieme dei siti produttivi esteri attraverso dati prettamente economici. La terza tipologia vede un forte controllo e ampi poteri decisionali da parte della direzione centrale dell’impresa, con il rischio di un sovraccarico di lavoro e la mancanza di consapevolezza da parte dei manager dei siti produttivi. L’ultimo campo vede infine l’impegno simultaneo di centro e periferia, tesi all’ottimizzazione della gestione degli impianti e l’identificazione delle best practice. Tale situazione richiede un ampio utilizzo di risorse ed è necessario relazionare i costi con i benefici per valutarne la convenienza.

Si collocano infine le operazioni di location migration riguardanti l’adeguazione della capacità produttiva degli impianti, il trasferimento della produzione o la chiusura dello stesso.

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Tra le motivazioni principali per la chiusura degli impianti, vi sono: lo spostamento verso mercati a minor costo di manodopera, soprattutto per quanto concerne le lavorazioni meno automatizzate, un eccesso di capacità produttiva, la progettazione di un impianto poco flessibile e quindi non in grado di rispondere alle nuove richieste dei clienti ed infine la duplicazione degli impianti nella stessa location, dovuta ai processi di fusione e acquisizione tra i fornitori.

Tale attività viene a volte ignorata nel momento in cui si studia un progetto di location management, nonostante il ciclo di vita degli impianti si attesti attorno ai nove anni e le imprese siano costrette a considerare i cambiamenti imposti dal contesto.

L’impresa deve procedere con lo studio del location migration fin dalle fasi di progettazione, in modo da rendere l’impianto meno vulnerabile di fronte ai cambiamenti del mercato e alle mosse dei suoi concorrenti. L’impianto può essere ad esempio dotato di macchinari il più possibile flessibili, in modo da poter convertire la produzione o rendere la struttura più vendibile in caso si decida per l’abbandono del sito. Sempre in fase di avvio, l’impresa deve accertarsi di stipulare accordi che presentano le minori penalità contrattuali, verificare i termini legati alla flessibilità della manodopera e anche degli incentivi statali. Nel caso in cui sia necessario chiudere il sito produttivo, bisogna aver chiaro l’insieme delle operazioni da svolgere, in modo da non dilungare i tempi ed i costi. Vanno considerati il timing e la comunicazione per l’annuncio della chiusura, le pratiche per il licenziamento e le negoziazioni con i sindacati, la sospensione delle forniture e la vendita del capitale immobile.

Si ritiene infatti che un atteggiamento proattivo e un costante controllo degli indicatori chiave possa limitare i costi ed i tempi del disimpegno dell’impresa, posto che il sito non sia convertibile ad altre produzioni o scopi.