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La logica riparativa applicata alle relazioni intramurarie: alcune riflession

redazione di Ristretti Orizzonti

In data 16 novembre 2016, nel più ampio contesto dei lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, di cui si parlerà più diffusamente in seguito, si è realizzato un incontro di dialogo e di riflessione tra alcuni rappresentanti del Tavolo 13 degli Stati Generali, quello che specificamente si è occupato della Giustizia Riparativa e delle sue prospettive future, e la redazione di Ristretti Orizzonti con la sua direttrice Ornella Favero. In particolare, oggetto di analisi è stata la proposta dei detenuti di Ristretti Orizzonti di avvalersi dello strumento della mediazione e, quindi, della logica riparativa che essa sottende nelle relazioni che quotidianamente si instaurano nelle carceri, coinvolgendo

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tanto i detenuti quanto la polizia penitenziaria ed il personale dell’area trattamentale.

Dalla discussione sono emersi, da un lato, dei punti che sicuramente incoraggiano una tale apertura all’utilizzo dello strumento mediativo nelle relazioni intramurarie; dall’altro, si sono stagliate alcune osservazioni che lasciano spazio a fondate perplessità circa l’efficienza di un simile schema operativo, almeno nella vita e nelle gerarchie carcerarie così come attualmente le si conosce.

In particolare, tra gli elementi addotti a sostegno dell’introduzione dello strumento mediativo nelle dinamiche relazionali interne al carcere, si citano letteralmente alcuni passaggi delle testimonianze rese dai detenuti di Ristretti Orizzonti24:

 non obbedienza ma responsabilizzazione; la realizzazione di questo proposito richiederebbe senza dubbio un cambiamento prospettico e culturale enorme, affermando una visione totalmente nuova del carcere, che autonomizza il detenuto, non più costretto su un sentiero di regole da seguire e subire passivamente, ma al quale si richiede una partecipazione attiva e responsabile alla vita detentiva;

 non solo ordine in carcere; si invoca qui un nuovo approccio ai conflitti che quotidianamente possono sorgere negli istituti penitenziari tra i soggetti che vi operano;

 divento pronto per; si vuole far notare con questa osservazione che le pratiche mediative adottate in questo contesto, ossia nei conflitti tra detenuti nella realtà carceraria o tra detenuti ed agenti o operatori, possano fungere come una sorta di palestra per i ben più delicati incontri di mediazione da effettuare invece con le vittime, rendendo chi vi

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partecipa più preparato al dialogo e più fiducioso anche nei confronti di una giustizia che ripara;

 la punizione non ti fa cambiare; infine si pone l’accento sul fatto che quest’approccio, qualora attuato, non implica un arretramento in termini di potere e di sicurezza per l’istituto penitenziario, ma si tratta di un qualcosa che si affianca al sistema sanzionatorio tradizionale con l’intento di alleggerire e prevenire le tensioni interne.

Allo stesso tempo devono essere richiamati alcuni punti che invece mettono in evidenza tutte le problematiche che l’utilizzo della giustizia riparativa nei rapporti interni al carcere può comportare:

 difficoltà di coinvolgimento del personale di polizia penitenziaria; la mediazione infatti, in quanto misura restorative richiede un certo

habitus mentale, il che può voler dire disponibilità ad uscire dal proprio

ruolo per incontrare l’altro, cosa che la polizia penitenziaria non può sempre essere chiamata a fare sia per carenza di competenze nel settore sia per la veste e l’autorità che ricopre, le quali non possono essere abbandonate nell’ambito delle strutture carcerarie attuali;

 serve un mediatore indipendente; per essere infatti pienamente rispondente allo schema classico della mediazione, che si cerca di portare all’interno del carcere, la figura del mediatore deve essere terzo ed imparziale rispetto alle parti, sia che si tratti dei detenuti sia che si tratti dell’amministrazione penitenziaria;

 mediazione consensuale e confidenziale; ancora una volta, se di mediazione in senso stretto si parla, da un lato l’adesione al programma richiederebbe la consensualità delle parti coinvolte e quindi la totale assenza di conseguenze negative o pregiudizievoli qualora tale consenso dovesse mancare, e dall’altro lato il contenuto degli incontri di mediazione dovrebbe essere coperto da riservatezza. Sono però

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entrambi questi aspetti di difficile realizzazione in una realtà quale quella degli istituti di pena;

 l’ufficio di mediazione non è un ufficio reclami, né un ufficio del

garante dei detenuti; infatti, l’ingresso in carcere di una misura di

questo genere non ha nulla a che vedere con eventuali violazioni di diritti specificamente riconosciuti ai detenuti, per la cui violazione saranno competenti altri soggetti.

In sostanza, i rappresentanti del Tavolo 13, in questa come in altre occasioni, si sono mostrati favorevoli alla giustizia riparativa ed allo strumento della mediazione in carcere tra detenuti e vittime, nei rapporti tra detenuti e tra agenti o operatori, così come si dicono favorevoli alla previsione di strumenti che favoriscano una partecipazione attiva e responsabile dei detenuti nel contesto della vita carceraria e ad un intervento riformatore sul ruolo ricoperto negli istituti di pena dalla polizia penitenziaria.

Tuttavia, per quanto specificamente riguarda la mediazione tra detenuti ed agenti di polizia o responsabili delle aree trattamentali le perplessità riscontrate sono numerose. Nello specifico, il timore consiste nel fatto che l’utilizzo di tali tecniche nei rapporti verticistici che si instaurano nelle carceri possano dar luogo ad una situazione di power imbalance, ossia di squilibrio di potere. Inoltre si rileva, probabilmente a ragione, che affidare la gestione di un conflitto, tra detenuti e chi sia ad essi gerarchicamente sovraordinato, a soggetti terzi ed esterni rispetto alla realtà carceraria, spiani la strada ad un carcere di tipo infantilizzante, al cui interno chi vi sia costretto debba necessariamente affidarsi alla conduzione di altri senza mai doversi misurare con un approccio di tipo relazionale vero e proprio, cosa questa che risulterebbe nociva sia per i detenuti, che per lo stesso personale di polizia e dell’amministrazione penitenziaria.

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Le misure che si suggeriscono e che sembrano poter sortire effetti positivi allo stadio attuale della cultura restorative pertanto rispondono a: conference group tra tutti i soggetti che vivono, a vario titolo, gli istituti di pena al fine di diffondere lo spirito della riparazione; uffici di mediazione preferibilmente collocati all’esterno del carcere, sul territorio limitrofo; mediatori imparziali ed indipendenti rispetto alle strutture penitenziarie ed infine, la complementarietà di tali strumenti rispetto al meccanismo delle sanzioni disciplinari.

8. L’approccio riparativo della Casa di Reclusione di Tempio Pausania