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LUCI ED OMBRE DELLA LEGGE 18/2009 (4)

Nel documento Intelligrazione (pagine 57-62)

Capitolo IV IL MODELLO RIACE (1)

IV.1 LUCI ED OMBRE DELLA LEGGE 18/2009 (4)

Sebbene sia ancora presto per poter dare una valutazione definitiva al modello Riace, visto che il programma di ripopolamento ha avuto inizio in via sperimentale nel 2001 ed è divenuto Legge Regionale nel 2009, la normativa e l’esempio del paesino calabro sembrano guardare all’immigrazione sotto un'altra prospettiva, riconoscendo il suo volto umano.

Non mancano certamente luci ed ombre nella legge 18/2009 della Regione Calabria, ma non si può negare comunque il suo carattere innovativo e propulsivo. Guardiamone alcuni aspetti da cui trarre alcune considerazioni. Bisogna intanto notare che l’art. 1 della legge 18/2009 effettua una selezione in merito ai migranti che possono usufruire di “interventi specifici

per l’accoglienza, la protezione legale e sociale e l’integrazione”

riservandoli ai richiedenti asilo, ai rifugiati e ai titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria presenti sul territorio regionale.

Questa limitazione dello specchio di migranti che può usufruire dei programmi di accoglienza è dovuto in primo luogo ad una politica di prudenza, attraverso il dettato dell’art. 1 la Regione Calabria si inserisce all’interno delle politiche nazionali ed Europee volte all’accoglienza dei richiedenti asilo. In secondo luogo senza sovvenzioni economiche non si

Riace è potuta maturare usufruendo di specifiche risorse finanziarie erogate in base a programmi di sostegno per i richiedenti asilo. In terzo luogo non è funzionale fare dei proclami politici di accoglienza verso tutti se poi non si hanno i mezzi economici per sostenere un progetto a così ampio raggio. Si può inoltre dire che, se il programma può essere accusato di rivolgersi ad un numero ristretto di migranti, esso sopperisce a questa mancanza con la profondità dell’impegno. La tutela del diritto di asilo infatti si esplica nella promozione di progetti specifici, che come afferma l’articolo 1.2 sono volti “all’inserimento socio- lavorativo dei rifugiati, richiedenti asilo e titolari di

misure di protezione sussidiaria o umanitaria.”

Nella legge, il lavoro assume un ruolo rilevante e svolge la funzione di interfaccia, di crocevia pragmatico e simbolico, di integrazione culturale. Esso non è come nella retorica economicistica un fine, l’elemento che qualifica e giustifica la presenza del migrante, ma il mezzo attraverso il quale supportare l’immigrazione ed i suoi costi dando un possibile futuro a quello che Ricca definisce l’intreccio interculturale dei vissuti.

A sostenere questa contrapposizione alla visione utilitaristica dell’immigrato viene in supporto anche l’art. 2.6 della Legge che dichiara: “

Gli interventi realizzati sono valutati sotto il profilo economico, culturale sanitario, socio-educativo e formativo al fine di verificare gli effetti derivanti dalla loro attuazione con particolare riguardo ai risultati ottenuti per favorire l’interazione dei cittadini stranieri con le comunità locali”.

Nella lettura dell’articolo si evince come il fine ultimo non sia quello di un risanamento dell’economia calabra bensì l’interazione dei cittadini stranieri con le comunità locali.

Per realizzare una corretta intelligrazione è necessario un coinvolgimento anche della popolazione locale. A tal fine l’art. 4.2 afferma. “la Regione

sostiene inoltre la produzione e la diffusione di eventi culturali volti a sensibilizzare l’opinione pubblica ad una cultura dell’accoglienza e ad una conoscenza del diritto d’asilo, anche allo scopo di prevenire e contrastare situazioni di intolleranza e razzismo, nonché sostiene programmi di formazione rivolti anche agli operatori della pubblica amministrazione nel campo del diritto d’asilo e del diritto all’immigrazione in generale”

In riferimento ai programmi di formazione e alla promozione di eventi sorge una certa perplessità dovuta alle caratteristiche dei paesi che sono i destinatari del programma di ripopolamento. Per rimanere al caso di Riace, dal testo di Ricca si evince che i suoi abitanti sono 1600, ma non si parla di classi di età o di età media. Essendo un paese di forte immigrazione, si è portati a pensare che l’età media sia elevata, e dunque chi dovrebbe seguire i corsi di cultura internzionale a cui la legge fa riferimento? Il progetto rischia di diventare etnocentrico per mancanza di destinatari autoctoni più che per volere delle istituzioni. Inoltre bisognerebbe capire cosa si intende

Certamente la vaghezza del testo è dovuta sia al carattere in itinere del progetto, sia al tentativo di giustificare agli occhi della gente perché siano stati selezionati alcuni immigrati e non altri, o perché si faccia tanto sforzo politico ed economico per gli stranieri e non per i locali, che in alcuni casi non si trovano in condizioni migliori.

Infine l’ultima considerazione è in merito al futuro del programma di ripopolamento: in che senso si riterrà realizzato il fenomeno di integrazione legato al ripopolamento? Domani i bambini inseriti in questo progetto ed educati in questo contesto, se veramente “naturalizzati” dovrebbero potersi sentire liberi di scegliere il loro futuro che potrà essere quello di lasciare l’artigianato calabrese, come hanno fatto in precedenza i “nativi”, e dedicarsi ad altro, sognare e perseguire altre vie. In questo senso il ripopolamento forse sarebbe fallito, ma l’intelligrazione avrebbe raggiunto lo scopo di creare dei nuovi italiani senza trattini di identità binaria.

Il modello sicuramente ha dei limiti e delle caratteristiche legate al luogo in cui si è sviluppato, ma ha comunque il pregio di considerare il migrante non come lavoratore o clandestino, ma come uomo portatore di diversità e come elemento di un progetto che, se anche i più scettici possono definire utilitarista, è pur sempre di rivalutazione del territorio e della vita sociale dei luoghi, è pur sempre fondato su un’idea di confine aperto che è l’unica via percorribile per un futuro di dialogo fra le culture piuttosto che di conflitto fra le civiltà.

Porre un elemento come il territorio, con la sua forte simbologia, come base comune per la realizzazione di un dialogo costruttivo, sembra l’unica via percorribile per il superamento di un’acculturazione assimilazionista sclerotizzata o di un relativismo agnostico.

Nel documento Intelligrazione (pagine 57-62)

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