• Non ci sono risultati.

Il testo di G. Luciano Petrin124, è una novità nel frammentato e frammentario panorama di

letteratura minore, della nostra zona, si tratta infatti di un testo per metà scritto in prosa, l’altra metà invece è composta da un glossario, da cui ho tratto una pagina come esempio, fatto di proverbi, soprannomi, modi di dire. Della parte in prosa, dedicata alle tradizioni, ho scelto una pagina tra quelle delle ‘Macete’in cui Petrin descrive i personaggi che con le loro stranezze sono rimasti nella storia della città. Se volessimo addentrarci a dare un giudizio strutturale sul tipo di testo, potremmo dire che si tratta di prosa, ma una prosa piena di incisi parlati e quindi vicina al testo drammaturgico, una prosa che è stata scritta per essere raccontata più che letta e che, ancora una volta, sottolinea la vocazione del dialetto a presentarsi più come lingua parlata e che tuttavia non deve essere considerato necessariamente un ostacolo alla scrittura o come qualcosa di potenzialmente minore, da relegare assolutamente all’orale (del resto numerose pagine di alta

letteratura sono state scritte in dialetto veneto)125. La questione non è nuova se è vero che

Ruzante, cinquecento anni fa, dibatteva, con quelli che con sarcasmo definiva gli ‘sletran’ del suo tempo, sulla medesima questione. Altri come Zanzotto, Calzavara, Pascutto, Cason, Pistorello, Cecchinel, per restare in zona, del dialetto avevano capito le potenzialità sonore ed espressive, affabulatorie e comunicative, pervenendo nei loro lavori a risultati poetici di assoluto rilievo.

Fatta questa considerazione, ritorno alla prosa di Petrin, cercando di entrare nel testo per sondarne le caratteristiche della lingua, comprenderò in questa analisi anche una pagina del glossario. L’apocope vocalica in sostantivi e alterati maschili, ha una alta estensione e accade dopo –n, -l, -r, -t, -s,-p, -f, -c126. I participi passati accordati col soggetto maschile singolare

possono avere apocope vocalica dopo verbi bisillabi e si contraggono in monosillabi, ndat, fat,

vist, let, scrit; ma può esserci apocope, anche con i verbi della seconda e terza coniugazione, con

l’uso della desinenza –est,-ist, moldest, sentist. I verbi della prima coniugazione hanno anche la forma contratta, parlà, imparà; che si estende a verbi della seconda e terza coniugazione, vegnù,

metù (alternativo mes, rare volte metest) o partì. Quando accorda, nel genere femminile,

maschile e plurali, si aggiunge sempre la marca morfologica. Altra nota va fatta su alcuni verbi della seconda coniugazione che vengono declinati come fossero della terza, tegnìr per esempio che declina tegnìvo, tegnìndo. In altre parti del suo testo è possibile individuare un altro tratto che cambia, rispetto a Caerano e Montebelluna, la desinenza della prima persona singolare dell’indicativo presente è –o invece che –e, quindi mi penso; dell’imperfetto può essere sia –o, 123 Appendice, p. 244 124 ibidem 125

Cfr. Alfredo Stussi, (2005), La letteratura in dialetto veneto, in Storia linguistica e storia letteraria, il mulino, Bologna pp. 64-106

126

67

sia –e, mi parlavo, mi parlave. Un tratto nuovo e interessante in Petrin è l’uso alla prima persona

plurale dell’indicativo presente parlen, gaven, sen127, con desinenza in –en, replicato anche al

furturo , faren128, tratto più simile ai dialetti di Feltre129, Valdobbiadene130, Vidor131 e Vittorio

Veneto132 in zona, anche se per Pellegrini è anche un tratto antico veneziano133, e sicuramente da

approfondire nell’analisi orale. Altra caratteristica verbale la riscontriamo nella terza persona singolare e plurale all’imperfetto indicativo del verbo ‘essere’ che, rispetto al più rustico jèra, presenta il più cittadinesco e venezianeggiante gèra, a sottolineare , ancora una volta, la storia veneziana di Asolo e la sua perenne vocazione di essere una città: popolarmente sottolineata con ironia dagli Asolani non di città, si dice da parte di questi infatti andar non a asol, asoe̯o, ma in

asol, asoe̯o con ‘in’ come una nota di distinzione, come si trattasse di andare in città.

Prontamente dal centro si replicava a costoro con una espressione che voleva sottolineare la

rusticità del parlare non cittadinesco: [par lar kome o fabj ko]134. L’infinito dei verbi apocopa

sempre in tutte e tre le coniugazioni. Vi sono quindi tratti in continuità con la zona pedemontana e con il veneto settentrionale sono i suffissi -èr, èra, nei nomi di mestiere, alberi, luoghi della casa. I diminutivi e gli accrescitivi di solito apocopano al singolare prendendo o no (preferito) la marca morfologica al plurale. La ‘elle evanescente’ è presente e resa con la ‘l’scritta in

corsivo135. Ci sono pure le interdentali136 e la loro presenza viene problematizzata da Petrin rendendo graficamente la sorda con ‘zh’ con annotazione tuttavia, anche della versione più sonora, con ‘z’e aggiunge inoltre, una ulteriore diversa sfumatura facendo anche uso del grafema

‘ ’. Nel glossario137 rende l’altra interdentale sonora [ð] con ‘dh’, ‘dóch’ ‘dhóch’,(giogo) idem

per ‘dhermàn’, ‘dhàlmare’(cugino, zoccoli chiusi); da notare anche che la velare viene resa con ‘ch’ per differenziarla dall’affricata resa con ‘ce’ ‘ci’. Altre note finali risiedono nel glossario nell’uso dell’accento tonico nelle parole usato in modo appropriato, nella presenza di metatesi come pure qualche betacismo, che non sembrano avere tuttavia caratteri di distinzione.

127

Petrin, (2003), cit, p.45; cfr Marcato, Ursini, (1998), cit, p. 241 128

Illuminante dal punto di vista linguistico la leggenda a pagina 79 e in appendice in cui Petrin fa il punto su tutte le questioni linguistiche e grafiche dei suoi testi. A proposito della prima persona plurale scrive :” [...]l’italiano andiamo in te’l nostro Comune de Asol se nota che in Asol centro se dise ‘nden’, ‘ndeni, in periferia, ‘pena fora dele porte, ‘ndon, ndoni, ndonti’., Petrin, (2003), cit, p. 79

129 Cfr. Migliorini-Pellegrini, (1971), cit, p.xx 130

Cfr. Corrà, cit, p. 139 e 142, interessante la considerazione di tipo socioculturale che forse potrebbe attagliarsi anche per Asolo centro, che fa Tomasi, (1983), cit, p. 19, dove parla per Revine lago di desinenza in –on ritenuta ‘plebea’, rispetto a quella in –en e che Corrà riprende per Valdobbiadene laddove quest’ultima distinguerebbe la piazza dal resto del comune.

131 Cfr. Corrà, (1989), cit, p. 350 132

Cfr. Zanette, (1955),cit, pp. XLII-XLVI; Toffoli,( 2012), cit, p. 31 133

Ne parla Pellegrini attribuendone l’origine a Venezia, Migliorin- Pellegrini, (1971), cit, p.xx 134

L’informazione mi è pervenuta dalla mia gentile informatrice ‘cittadina’ asolana, Franca Franceschini, parlandomi delle espressioni di sua nonna rivolte ai non asolani.

135

Petrin nel libro citato dedica un’intera pagina, che si trova anche nell’antologia in appendice, alle modalità che ha seguito nella trascrizione dei suoni; Petrin, (2003), cit, p. 79

136

La presenza delle interdentali era stata annotata anche dal prof. Canello nella sua discussa versione della novella di Boccaccio. 137

68 San Zenone degli Ezzelini

Severino Artuso138

Nel caso del lavoro preso in esame139, si tratta di una traduzione dal dialetto trentino del lavoro

teatrale di Loredana Cont, ‘Amor e baticor’. Discorrendo con Severino, il traduttore, lui mi parlava della difficoltà che ha la sua compagnia teatrale a mettere insieme il dialetto di San Zenone Nord, più attratto dal bellunese trevigiano, con quello di San Zenone Sud, Ca’ Rainati, più attratto verso il vicentino padovano, e della sua difficoltà personale nell’opera di traduzione, essendo lui di Ca’ Rainati al confine con Bessica. Questa difficoltà, ma anche questo incrocio linguistico, è evidente non solo nel suo testo ma nel territorio di San Zenone diviso dalla strada statale 248 in una parte a Nord e una a Sud, con prestiti misti da una parte e dall’altra.

Nel testo esaminato, l’apocope nei maschili singolari è limitata a –n, -r in alcuni infiniti dei verbi, ma non sempre, in -l in entrambe le versioni con e senza apocope ‘pol, poe’ funeral,

funerae’140. Vi sono tracce di contrazione nei participi passati dei verbi con accordo col soggetto

che suggeriscono forme apocopate. I verbi della prima infatti, come nel resto della zona, fanno

‘regalà’ ma anche nei verbi della seconda e terza, quando non vi sia o vi sia accordo col

soggetto, si ha contrazione, ‘vegnù’, ‘podù’, ‘compì’. Nei testi di Artuso le interdentali non sono più presenti e sono sostituite da ‘d’, ‘s’, ‘z’; la ‘elle evanescente’ è presente e scritta con ‘l’come in ‘morale’, oppure decade ‘fioa’. Vi è qualche traccia di metafonesi in altra parte del testo, non in antologia, ‘ i ze buni’. Nell’alternativa tra l’uso della semiconsonante palatale o dell’affricata

sonora, ad inizio parola, Artuso sceglie la sonora,‘

ʤero’‘ʤera’; per quanto limitata l’area

indagata, lo scritto mostra un suffisso in –aro, altri in –eto, -olo che appartengono più all’area bassa, di influsso veneto centrale; Artuso usa invece la doppia forma con i suffissi in –ale, -al,

sciale, funeral, funerae. Nella morfologia verbale le desinenze sono quelle dell’area Sud della

zona e quindi sempre non rivolti a Nord, ‘digo’ ‘disevo’, il tributo maggiore all’influenza da Nord Artuso lo paga comunque negli infiniti dei verbi quasi sempre apocopati. Queste note sullo scritto di Artuso confermano San Zenone come area di intersezione dei dialetti settentrionali e centrali in cui questi si confrontano e qualche volta si mescolano.

Luca Rossetti

La scarna poesiola di circostanza141, scritta nel 2012, in occasione del decennale della presenza

della direttrice del coro Montegrappa, dal sessantaduenne Luca Rossetti, non permette troppi approfondimenti, ma alcune utili osservazioni si possono comunque fare. Primo dato: la bassa incidenza dell’apocope (forse Rossetti è della parte Sud del comune di San Zenone) quasi sparita nella poesia, permane la contrazione sui participi passati (forse anche per ragioni di rima) nei 138 Appendice, p.247 139 ibidem 140 Cfr Zamboni, (1974), p. 25 141 Appendice, p.248

69

verbi della prima coniugazione; l’uso dell’affricata all’inizio di parola nella prima persona dell’imperfetto indicativo di avere; l’uso di desinenze in –emo, semo, ghemo, coerenti con la diminuzione dell’apocope. Pur nella povertà dei dati, qualche proiezione possiamo pure farla notando come si stia equilibrando (in questo caso tutto a favore della non apocope) il rapporto tra apocope vocalica nei maschili e mantenimento della vocale finale.

70 Loria

Albino Facchinello

Albino Facchinello, emigrante con la passione per il suo paese e la sua lingua materna, scrive espressamente per i suoi paesani all’estero. I testi analizzati sono due poesie e una pagina di glossario142.

Le osservazioni sui tratti ribadiscono il mantenimento della vocale finale che cade solo dopo la

-n, -r, esigenze di rima a parte; all’infinito si assiste al frequente mantenimento della vocale

finale. I participi passati dei verbi della prima coniugazione si contraggono, incarnà, sonà, assà; quelli della seconda e della terza , quando accordano, prendono sempre il suffisso morfologico, nei casi di invariabilità la forma è quella usata nell’accordo col maschile singolare e fanno patio,

batuo, vuo, sentio, tegnuo. Alla prime tre persone del presente indicativo, prima coniugazione,

le forme sono rispettivamente con desinenze in –o, -i, -a; per seconda e terza coniugazione -o, -i,

-e. La prima plurale delle tre coniugazioni ha invece la desinenza –emo (prima e seconda

coniugazione), –imo (terza). La senda plurale ha la forma in –è per la prima coniugazione , in –ì per le altre. All’imperfetto le forme per le tre coniugazioni possono essere in –o, -a, (prima singolare); in –i (la seconda), in –e (la terza). La terza è identica al singolare come al plurale e si presenta in due forme, con caduta o mantenimento della fricativa labiodentale sonora

intervocalica sulla ultima sillaba–ava –eva -iva, proava, leseva, sentiva, o ndea, metea, disea,

sentia, con inserimento nei verbi della prima coniugazione, come morfo distintivo del tempo, di

una ‘e’, forse per analogia con i verbi della seconda (fenomeno già osservato a Montebelluna), superando l’enpasse fonetica che si sarebbe creata pronunciando le due centrali vicine, l’ultima delle quali, prima o dopo, sarebbe caduta generando possibile confusione coll’omofono

participio passato, ndàa>ndà. La prima persona e seconda plurale terminano in –i. Si incontrano inoltre forme verbali all’imperfetto, di cui è utile prender nota, come il ‘tiramoi’ (tiravamo) sostituibile con ‘tiravimo’ in cui deve essere accaduto un fatto prima metatetico con spostamento di –vi a fine parola e successiva caduta della –v intervocalica ( ma il processo avrebbe anche potuto essere all’inverso prima caduta, poi metatesi) tiravimo> tiramovi>tiramoi tiravimo>

tiraimo>tiramoi; gavevimo, ghevimo> gavemovi> gavemoi o gavevimo> gaveimo>

gavemoi>ghemoi>ghimui) le due forme tiravimo, tiramoi, gavemoi gaveimo, ghevimo, gheimo,

ghiimo, ghemoi, ghimui, stavimo stamoi, favimo o fazevimo famoi, ndavimo ndamoi.143 In

morfologia verbale un’ultima nota è data dal gerundio che si presenta con sincope della sillaba centrale nel verbo fare, fando. In Facchinello le interdentali semplicemente scompaiono, nel caso della sorda sostituite da ‘s’ e ‘sz’ che mostrano tutta la difficoltà di rendere graficamente un suono che può avere più varianti foniche; in un altro caso incontriamo anche la fricativa

142

La poesia ‘El campanie de Loria’; una pagina, come esempio, del glossario, infine parte della poesia celebrativa ‘Tanto par ridere na sc’anta’ inedita, appendice, pp.249-252

143

71

labiodentale sorda ‘f’144 al posto della intedentale sorda, caso già visto nei soprannomi di Asolo;

la sonora o viene resa con ‘d’ (in questo caso a volte la pronuncia è alveodentale con [d] o anche interdentale [ ]) o graficamente resa con ‘z’ . Ci sono numerose tracce della ‘elle evanescente’, favorita nel mantenimento della vocale finale nei suffissi in –olo resi trascritti con –oeo. Altro tratto, rinvenibile in Facchinello, è il mantenimento, talora anche all’infinito, della vocale finale; presenta rari casi di betacismo o metatesi, ed il dato per me più interessante, è la presenza della metafonesi, segnale inequivocabile della vicinanza della provincia di Vicenza e del veneto centrale d’impronta vicentina. I suffissi maschili singolari dei nomi di mestiere, alberi, luoghi della casa, sono tutti in –aro e al femminile -ara. Si osserva nella morfologia, sia nominale che verbale, l’uso della semiconsonante anteriore palatale in luogo della affricata sonora, quindi,

jossa, jèma, jèra, jèro, jèrimo, jèri. Ultimo rilievo va fatto in campo lessicale poiché il glossario

annovera parecchi lemmi antichi e in disuso, di alcuni sarà possibile verificare la presenza nella stessa forma o in altre, in tutta la zona considerata.

Damiano Porcellato

Viene esaminata una poesia celebrativa dedicata a Angin (Angelo) Zandonà di Damiano

Porcellato di Loria145, in morte dell’amico scomparso.

Non vi sono grandi aggiunte da fare rispetto all’analisi fatta sui testi di Facchinello,

sottolineando il basso numero di apocopi vocaliche, la maggior presenza di ‘elle evanescente’, l’assenza delle interdentali, la presenza della metafonesi, i suffissi in –aro.

La morfologia verbale catterizzata dalla desinenza in –o per presente e imperfetto indicativo, prima persona singolare, le forme in –emo –imo per la prima plurale dell’indicativo presente, e le forme in –i con frequente contrazione, ghevi, anche ghivi, o gavevi, o gavei , favi, fasevi o fei,

sentivi, sentii, alla seconda singolare e plurale; in –a alla terza singolare e plurale jèra, ghea, o gavea, o gaveva, vardava, vedea, vedeva , servia, serviva. Le solite note nel participio passato:

contrazione per i verbi della prima, e desinenza in –o per le forme che non accordano; per le altre forme che accordano suffisso morfologico, unica eccezione un sentuo forse trasformato per analogia, prendendo ad esempio vegnuo della seconda . Uso infine della semiconsonante anteriore palatale il luogo della affricata sonora nell’imperfetto di essere e ad inizio parola.

Sante Petrini

Nelle tre poesie da me prese in esame , ‘L’eredità’, ‘Na staéta’e ‘Vecio moraro’, di Sante Petrini146 i rilievi linguistici ripropongono gli stessi tratti già evidenziati in Facchinello e Porcellato. 144 Cfr. Tuttle, (1985), cit, pp. 7-44 145 Appendice, p. 253 146 id, p.254-256

72 Severino Artuso, Loria, Bessica

Severino Artuso, lo stesso autore già nominato per San Zenone, vive, come detto, al confine con Bessica, dove ha frequentato le prime scuole.

Il testo preso in esame è l’incipit da uno sketch inedito, ‘Ognuno gà e so misure’147, atto unico da

lui scritto espressamente, per ammissione propria, nel dialetto di Bessica, nel 2012. Nella sola lettura dello scritto tuttavia va perduta quella che è una delle caratteristiche distintive di Bessica frazione, in particolare rispetto a Loria capoluogo, dove si sente meno, si tratta dell’apertura o chiusura di due vocali toniche: la anteriore che nel resto dell’area considerata è medioalta

poareta, a Bessica è mediobassa poarèta , lo stesso accade anche per la posteriore signore nella

maggior parte dell’area studiata e signòre a Bessica ; questo tratto collega direttamente Bessica con la pronuncia dei limitrofi comuni della provincia di Vicenza ad Ovest e dell’Alta Padovana a Sud. In Artuso la caducità della vocale atona finale, nei maschili singolari, è limitata e avviene dopo-n –r, -l (in pochi casi), nei verbi pol, vol, e in sol. La contrazione si incontra nei participi passati dei verbi non accordati . Esistono le interdentali evolutesi in –s, -d, -z. Sono presenti la ‘elle evanescente’ e una traccia di metafonesi; nella scelta, soprattutto all’inizio di parola, tra l’affricata palatale sonora e la semiconsonante anteriore, Artuso propende per la prima, cioè come accade a San Zenone bassa. In questo breve atto unico poi vi sono alcune parole messe, ritengo a bella posta, per sottolineare l’apertura di ‘e’ e ‘o’ che, come detto, è un tratto tipico di Bessica. Altro segnale si ha nell’uso del verbo ‘avere’ nella forma contratta all’imperfetto sia indicativo, sia congiuntivo, gheva (gaveva), ghesse (gavesse). Artuso rivela in sintesi alcuni elementi della parlata di Bessica, pur in mezzo a quelli di San Zenone, tanto è vero che gli sfugge anche un’apocope dopo la –t, assolutamente assente da Bessica.

147

73 Castello di Godego

Tiziano Beltrame148

Beltrame, nel suo ponderoso e prezioso glossario149, mette in evidenza alcuni tratti della parlata

godigese che ovviamente riguardano aspetto fonetico e la morfologia nominale: l’assenza di apocope, limitata al maschile singolare ed alla vocale dopo la –n; la presenza di ‘elle

evanescente’, parecchi casi di metafonesi. Beltrame poi problematizza la trascrizione delle interdentali annotandole e risolvendosi di trascriverle in vario modo, ‘th’, ‘dh’, o direttamente ‘s’ o ‘d’. Egli stesso analizzando i vari tratti presenti nel glossario e la loro resa grafica, nella

prefazione scrive :

“- ç si usa quasi sempre davanti alle vocali e, i, e suona come la esse sorda di sole Es.: "çento" = sento" = cento; "çeriòea" =" seriòea" = cerinola

- j semiconsonante che suona come ié, dove la e non si pronuncia; sostituisce la lettera g dolce davanti alle vocali i, e, e il gruppo gli all'interno della paroia, ad esempio:

"jostra" = giostra

"jémo" = "gémo" = gomitolo "formàjo" = formaggio "fója" = foglia

“méjo="miglio "mèjo" = meglio, ecc,

- l premesso che i suggerimenti che seguono valgono per il centro del territorio di Castello di Godego perché l'uso di questa lettera varia da luogo a luogo e addirittura da contrada a contrada,

essa non si pronuncia quasi mai; si usa solo nei casi dove non è possibile eliderla o sostituirla in altro modo e cioé:

- generalmente all'inizio della parola,es.:" lipa" = ingordo;" lissia" = bucato;" latìn" = latino, ecc.

- quando precede o segue una consonante es.: "moldare"= mungere;" paltàn" = fango; "slèpa" =

schiaffo; "slavajare" = diluviare, "desligare" = slegare ecc.

In tutti gli altri casi o viene eliminata del tutto (es.: "squèa" = "squèla" = scodella;"téa" = tela; "bocàe" = boccale) oppure, se si trova tra due vocali, si sostituisce con la lettera e formando un dittongo con la vocale che la segue che si fonde in un unico suono, dove la e viene appena sfumata

148

Appendice, p. 260-261 149

74 calcando la voce sulla vocale seguente es.: "bòcoeo" = bocciolo; "bavaróeo"= bavaglino;" bàea"= palla. Questi dittonghi sono stati sottolineati nel testo per simboleggiarne l'unico suono e facilitarne la lettura

- s ha diverse sfumature di pronuncia tra la s sorda (come sole) e quella sonora (come rosa) - per ottenere il suono della s sorda all'interno della parola, si scrive la doppia s, ma si pronuncia senza far sentire la doppia; es.: "musso"; "issía"; ecc"

- lo stesso suono si può ottenere con la lettera ç davanti alle vocali e, i (vedi es. lettera ç).

- th: negli arcaismi e termini rustici la s sorda e la doppia s vengono sostituiti dal gruppo th, che suona come il th del theta greco (dentale, tra la s e la t)

es:" thuni" = "suni " = birilli; "thuca" = " suca" = zucca; " thùcaro" ="sùcaro"= "xùcaro" = "sùcaro" = zucchero

- z ha molte sfumature di pronuncia tra la z,la x, e la s sonora, per esempio:

"zìzole"= "xìsole" = giuggiole; "zechìn" = "xechìn" = zecchino-", zogàre" ="xogàre" = volare, ecc. Negli arcaismi e termini rustici viene sostituita ancora dai gruppo th oppure dalla lettera d semplice o abbinata alla lettera h nel gruppo dh ( suono dentale tra la s e la d pronunciato come il termine inglese this); es.:" zàeo"= "dàeo= " dhàeo"=giallo;"zugàre"= "dugàre"=

"dhugàre=giocare[...]”150.

Ho preferito riportare integralmente le osservazioni di Beltrame perché, mi pare, chiariscano

Documenti correlati