La fi losofi a d’una scienza pone pertanto in luce la scienza medesima, non considerata nei suoi risultati o nelle verità ch’essa può accertare, considerata invece nel processo per il quale la mente raggiunge tali verità, nei segni con cui le riconosce, e nel modo, col quale, coordinandole e sistemandole, mette capo ad una concezione più chiara e ad un vantaggio pratico più pieno ed immediato: in una parola: la logica della scienza. Comte è riuscito a compiere questo lavoro sulle prime cinque scienze fondamentali con tale risultato che non sarà mai eccessiva l’ammirazione
John Stuart Mill, Auguste Comte and Positivism [1865]
1. Evandro Agazzi e l’anima “positivista” di Geymonat
In quello che è stato espressamente presentato come «il primo [volume} dedicato tematicamente allo studio teoretico del pensiero di Geymonat nel suo complesso», fi gura un’articolata e impegnata Prefazione di Evandro Agazzi nella quale si afferma quanto segue:
Credo che egli [Geymonat, ndr] avrebbe volentieri accettato di essere con-siderato l’ultimo dei nostri positivisti e credo che, in prospettiva storica, sia legittimo riconoscere che, come la nostra cultura fi losofi ca ha il diritto di fre-giarsi di due notevoli rappresentanti dell’idealismo, come Croce e Gentile, o dell’esistenzialismo, come Abbagnano, o del marxismo, come Gramsci, così possa fregiarsi di un notevole rappresentante del positivismo in Ludovico Gey-monat, che ha saputo dilatare lo “spirito positivo” ad una ben più impegnativa indagine sulla “razionalità” e alla sua appassionata difesa1.
1 Evandro Agazzi, Prefazione a Fabio Minazzi, La passione della ragione. Studi sul pensiero di Ludovico Geymonat, Con una lettera inedita di Moritz Schlick a Ludovico Geymonat, Thélema Edizioni-Accademia di architettura, Università della Svizzera italiana, Milano-Mendrisio 2001, pp. 9-15, la cit. è tratta dalla p. 15, da cui sono peraltro tratte anche tutte quelle che la precedono o la seguono.
Ponendosi, in particolare, il problema di «qualifi care globalmente il pensiero di Geymonat», Agazzi inclina infatti a ritenere che
un modo abbastanza adeguato sia quello di defi nirlo come l’ultimo (e in un certo senso il più grande) dei nostri positivisti. Dei positivisti infatti condivise l’accettazione della scienza come modello del sapere, ne esaltò la funzione come molla del progresso intellettuale e materiale dell’umanità, ne propose e perseguì la conoscenza diretta e lo studio rifl esso come compito essenziale del-la fi losofi a. Anche in questo medesimo studio rifl esso deldel-la scienza egli vedeva sempre all’opera tecniche di analisi di tipo in senso lato scientifi co, cosicché in lui si sfocava, indubbiamente, il proprium della fi losofi a. Ma di questo egli non sembrava preoccuparsi: la “positività” della scienza era per lui un’evidenza primaria e ciò già giustifi cava il senso dell’impresa fi losofi ca come un umi-le, ma complesso, sforzo di comprendere, assai più che giustifi care, l’impresa scientifi ca. Questo sforzo, ai suoi occhi, dava già alla fi losofi a un ricco frutto: l’elaborazione di un modello di razionalità da utilizzare anche altrove. Certa-mente si può qualifi care scientista questo modo di pensare, e in certa misura lo è; ma nell’orizzonte intellettuale di Geymonat c’era spazio per altro, oltre la scienza, ossia per l’impegno civile e politico.
Tant’è vero che lo stesso Agazzi sottolinea anche come Geymonat abbia saputo dilatare «lo “spirito positivo” ad una ben più impegnativa indagine sulla “razionalità” e alla sua appassionata difesa», con la conseguenza che si potrebbe allora qualifi care Geymonat anche come
un grande “illuminista” del ventesimo secolo (in ciò egli supera certi limi-ti del posilimi-tivismo tradizionale, compreso il neoposilimi-tivismo, ma anche quelli dell’illuminismo tradizionale, cui sfuggiva tanto la dimensione storica della ragione, quanto quella della scienza).
Effettivamente il mio libro, che si è appunto potuto fregiare di questa importante e signifi cativa Prefazione di Agazzi, fi n dal suo titolo, La
pas-sione della ragione, voleva sottolineare soprattutto l’importanza e la
pro-fonda pervasività complessiva del razionalismo critico geymonatiano. Il suo era del resto un razionalismo che, come peraltro sempre accade per tutti i razionalismi critici, si alimentava, continuamente, al fuoco di una indomita passione. Non è infatti solo vero il saggio rilievo pascaliano – in base al quale un autentico razionalismo è proprio quello che conosce, e rifl ette, sui propri limiti – ma è altresì importante, e non meno appropriato, il noto rilievo, espresso da Rousseau, secondo il quale
checché ne dicano i moralisti, l’intelletto umano deve molto alle passioni, le quali, per comune consenso, a loro volta gli devono moltissimo: il nostro
intel-letto si perfeziona per opera della loro attività. Noi cerchiamo di conoscere sol-tanto perché desideriamo di godere, e non è possibile concepire per qual motivo chi non avesse né desideri né timori si prenderebbe la briga di ragionare. Le pas-sioni, a loro volta, derivano la loro origine dai bisogni e il loro progresso dalla conoscenza; infatti non si possono desiderare o temere le cose se non per le idee che se ne possono avere, oppure per opera del semplice impulso della natura2.
In Geymonat la coerente difesa del razionalismo si è sempre alimentata di una sua particolare e specifi ca “passionalità”, proprio perché l’epistemo-logo torinese ha sempre scelto di collocarsi, del tutto esplicitamente, entro l’orizzonte della pur composita e complessa tradizione del razionalismo occidentale. Geymonat, insomma, era e voleva sempre essere un raziona-lista e nelle sue opere non ha mai fatto mistero di questa sua precisa scelta pregiudiziale, in virtù della quale il suo peculiare “punto di vista fi losofi co” si alimentava continuamente e traeva sempre origine da questa sua opzione fondamentale. Ma esattamente entro questa sua scelta l’opzione del razio-nalismo costituiva l’autentico fi lo rosso della sua attività fi losofi ca e civile giacché, come ha rilevato John Stuart Mill
il dire che le convinzioni intellettuali degli uomini non determinano la loro condotta, è come dire che la nave è mossa dal vapore e non dal timoniere; il vapore imprime il movimento, il timoniere, da solo, non potrebbe far avanzare la nave d’un dito; tuttavia è la volontà e la scienza del timoniere che decide per quale direzione la nave si debba muovere e ove debba andare3.
D’altra parte non si può neppure dimenticare, come ancora puntual-mente ricorda Agazzi, che il presupposto di pressoché tutta la “battaglia culturale” che Geymonat ha inteso combattere nel corso della sua intera esistenza si radicava nella sua «convinzione che la scienza costituisce la forma più matura del conoscere umano e che essa deve pertanto diventare l’asse fondamentale di una cultura all’altezza dei tempi (cioè “moderna”)». Proprio per conseguire tale risultato occorreva allora esplicitare il preciso, pieno ed intrinseco valore culturale sia del sapere scientifi co, sia di quello tecnico. Da questo particolare punto di vista la “fi losofi a della scienza” di-fesa e praticata da Geymonat non ha mai costituito tanto un settore
discipli-2 Jean-Jacques Rousseau, Origine della disuguaglianza, traduzione e cura di Giulio Preti, Feltrinelli, Milano 19793, p. 49.
3 John Stuart Mill, Auguste Comte e il Positivismo, trad. it. di Amedeo Dardanelli, Introduzione di Arrigo Pacchi, Edizioni Unicopli, Milano 1986 (ma la prima ed., qui riprodotta in edizione anastatica, risale al 1903, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma), p. 122.
nare tecnico e rinchiuso nel proprio “orticello”, ma ha sempre rappresen-tato un punto nevralgico per l’intera cultura della modernità: il vero luogo privilegiato e strategicamente decisivo a partire dal quale si poteva – e, a suo avviso, si doveva! – operare un profondo rinnovamento della cultura e della stessa società civile. Questa convinzione di fondo permette così, per quanto paradossale possa forse apparire di primo acchito, di avvicinare la posizione di Geymonat – indipendentemente dalle differenti forme e dalle specifi che fasi fi losofi che che ha attraversato la sua sempre inquieta ricerca teorica – all’esito teorico più maturo manifestato da Kant in chiusura della
Critica della ragion pura, là dove il pensatore di Königsberg afferma che
tanto la metafi sica della natura quanto la metafi sica dei costumi – e soprat-tutto la critica preparatoria (propedeutica) di una ragione che si avventura sulle proprie ali – costituiscono da sole, propriamente, tutto ciò che possiamo chia-mare fi losofi a in senso autentico4.
Certamente il rilievo kantiano si colloca esattamente entro il preciso orizzonte della trascendentalità sviluppato nella Critica, in virtù del quale per Kant, dopo aver delineato una rigorosa “critica della metafi sica” (anche perché la metafi sica si è sempre confi gurata, teoricamente e storicamente, come un campo di battaglie senza fi ne) si può infi ne passare ad un compito eminentemente più costruttivo, quello della “metafi sica critica”, il quale si articola, a sua volta, nell’ambito della fi losofi a della natura (attinente i problemi della conoscenza) e in quello della fi losofi a dei costumi (attinente l’ambito della morale e, più in generale, della vita civile). In fondo anche Geymonat, pur avendo sempre nutrito una scarsa sensibilità per la prospet-tiva trascendentale inaugurata da Kant, tuttavia nella sua fase più matura di rifl essione condivideva questa impostazione dicotomica, giacché a suo avviso la fi losofi a della scienza aveva appunto fi nito per inglobare, entro il proprio specifi co orizzonte concettuale, il campo della tradizionale fi lo-sofi a teoretica, a fi anco del quale poneva poi, con pari autonomia, quello della fi losofi a della politica o fi losofi a civile. Non per nulla Geymonat, nel 1985, di fronte alla precisa domanda «cosa consiglierebbe ad un giovane che voglia intraprendere oggi lo studio della fi losofi a?» ha così risposto:
Gli direi che ha due alternative: o studia la fi losofi a della scienza o stu-dia la fi losofi a della politica. Infatti la fi losofi a teoretica, la grande tradizione metafi sica, è ormai assorbita completamente dalla fi losofi a della scienza (con
4 I. Kant, Critica della ragione pura, Introduzione, traduzione e note di Giorgio Colli, Adelphi Edizioni, Milano 19763, p. 820.
l’eccezione di qualche metafi sica che sopravvive a se stessa); la fi losofi a della politica offre invece la possibilità di studiare i problemi connessi agli interessi individuali e alle scelte collettive, ai criteri di decisione razionale in campo sociale, ecc.5.
Ma se poi si guarda alla biografi a intellettuale di Geymonat non è poi dif-fi cile rendersi conto come l’epistemologo torinese abbia spesso e volentieri inseguito l’idea – o, se si preferisce, il sogno utopico – che proprio il profon-do rinnovamento favorito da una fi losofi a della scienza agguerrita, “seria” e “moderna”, in grado, cioè, di farci cogliere in tutta la sua portata teorica il pieno valore culturale della scienza e della tecnica, costituisse anche il mo-tore più riposto e valido per innestare un profondo cambiamento della cul-tura umana, tale da porre anche in essere le premesse, forse più consistenti e durature, onde favorire un più ampio cambiamento civile complessivo. Per Geymonat, infatti, un’adeguata consapevolezza critico-fi losofi ca costi-tuiva anche un prezioso orizzonte di riferimento imprescindibile per attua-re, in forma consapevole e critica, una conseguente azione pratico-civile.
In ogni caso, per condividere o meno il giudizio avanzato da Agazzi a proposito del “positivismo” di Geymonat, occorre allora chiedersi se il “po-sitivismo” possa effettivamente individuarsi – o meno – nella convinzione che la scienza costituisca la forma senz’altro più matura della conoscenza umana, l’autentico modello del sapere, nonché la molla più segreta del progresso – intellettuale e materiale – dell’umanità. Inoltre occorre anche interrogarsi su un altro problema, chiedendosi se l’eventuale “positivismo” di Geymonat sia rimasto tale e quale in tutte le diverse prese di posizioni fi losofi che che il Nostro ha assunto nel corso della sua intensa attività in-tellettuale e di pensiero. Tuttavia, prima ancora di rispondere a queste due questioni, diverse, ma intersecantesi, occorre anche tener presente qualche altra doverosa precisazione.
2 Alcune brevi considerazioni preliminari
A mio avviso per affrontare in modo adeguato e complessivo il problema del “positivismo” di Geymonat occorre inoltre tener presente anche qualche altra considerazione che sintetizzerei perlomeno nei seguenti brevi rilievi:
5 Cfr. L. Geymonat, Scienza e storia. Contributi per uno storicismo scientifi co, a cura di Fabio Minazzi, Bertani Editore, Verona 1985, il testo dell’intervista gior-nalistica ricordata nel testo è edita alle pp. 187-96, mentre la cit. richiamata si trova alle pp. 195-6.
1. lo studio complessivo del pensiero di Geymonat, nel contesto della cultura italiana del Novecento, pone anche, al contempo, il problema dello studio della storia del neopositivismo in Italia, della sua progressiva cono-scenza, della sua diffusione e della sua, pur relativa, diffusione. Non si può infatti negare come Geymonat, in prima persona, con la sua opera, con i suoi studi, con le traduzioni che ha promosso (sue o di suoi collaboratori), con le sue stesse molteplici iniziative culturali (per esempio la fondazio-ne del «Centro di studi metodologici» di Torino) ed editoriali (basterebbe pensare alle varie collane che ha diretto o promosso presso la Feltrinelli, la Utet o la Mondadori) ha invero rappresentato un punto di riferimento fondamentale per la diffusione in Italia delle idee del neopositivismo. Nel compiere quest’opera di informazione e di largo aggiornamento Geymonat non fu certamente solo perché a fi anco del suo nome non si può tacere quello di Giulio Preti6. Tuttavia è anche vero che la modalità con la quale Geymonat contribuì, a partire dalla metà degli anni Trenta, ad una capil-lare e tenace diffusione delle idee neopositiviste nel nostro Paese fu non solo pionieristica, ma anche affatto singolare e, invero, oltremodo decisiva. Senza ora tener presente la specifi ca curvatura teorica, prevalentemente “convenzionalistica”, con la quale Geymonat guardò inizialmente alle idee neopositiviste del Wiener Kreis, occorre tuttavia ricordare come la sua let-tura del neopositivismo si sposò, ben presto, con la difesa di un punto di vista rigorosamente “metodologico”, in virtù del quale la stessa fi losofi a della scienza perdeva progressivamente ogni valenza intrinsecamente “fi -losofi ca” per slittare, consapevolmente, su un piano apparentemente neu-tro come quello della pura metodologia. In questo senso la sua lettura del neopositivismo seguì un’accentuazione assai diversa da quella fatta pro-pria per esempio da Preti il quale, semmai, accentuò invece gli elementi “empiristici” presenti nella lezione dei maestri viennesi. Ma, al contempo, non si può altresì dimenticare come nell’ambito della cultura fi losofi ca ita-liana il neopositivismo fu identifi cato, soprattutto nei primi anni della sua diffusione, con la logica matematica e percepito come un movimento deci-samente antimetafi sico. Se quest’ultima istanza non poteva non destare una reazione di “rigetto” complessivo da parte di una cultura ad alto tasso di metafi sicità, il primo elemento era, invece, del tutto arbitrario e invero as-sai fuorviante, anche perché faceva coincidere un determinato movimento fi losofi co addirittura con una disciplina del tutto autonoma e specifi ca.
6 Per la cui opera sia perlomeno lecito rinviare alle due seguenti monografi e dello scrivente: L’onesto mestiere del fi losofare, Franco Angeli, Milano 1994 e Il caco-démone neoilluminsita, ivi, 2004.
2. In secondo luogo non si può dimenticare come il pensiero di Gey-monat – comunque lo si voglia poi giudicare e valutare – ha attraversato, nel corso di vari decenni, dagli anni Trenta fi no alla scomparsa del Nostro nel 1991, fasi e forme profondamente diversifi cate, giacché l’epistemologo torinese ha costantemente avvertito l’esigenza di rifl ettere criticamente sui risultati che ha via via raggiunto nel corso della sua intensa attività. Da un’iniziale adesione alle tesi del positivismo di Comte, che si colloca nella prima metà degli anni Trenta, Geymonat è infatti passato ad un’adesione critica alla lezione del neopositivismo, maturata soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Trenta fi no alla prima metà degli anni Quaranta, per poi approdare, nel corso degli anni Cinquanta, ad un’interessante con-divisione creativa delle tesi del neoilluminismo italiano (da lui prospettato come una forma di un fecondo neorazionalismo, particolarmente fl essibile e aperto alla lezione della storia del pensiero fi losofi co e scientifi co) che lo ha infi ne indotto, nel corso degli anni Sessanta, a meglio considerare sia le tesi dello storicismo, sia la dinamica intrinseca delle teorie scientifi che, secondo una interessante prospettiva teorica che lo ha anche convinto della necessità di sviluppare, negli ultimi decenni della sua attività intellettuale, una sua specifi ca fi losofi a generale che ha appunto confi gurato, a partire dagli anni Settanta, come un “materialismo dialettico” coincidente, nelle sue espressioni più mature, con un suo specifi co “storicismo scientifi co”, assai fl essibile ed articolato. D’altra parte nel dipanare questo suo com-plesso iter fi losofi co in Geymonat sono anche convissute differenti anime – quella dell’epistemologo, quella dello storico del pensiero scientifi co e fi losofi co, quella del logico-matematico, quella dell’organizzatore di cul-tura, quella del divulgatore, quella dell’intellettuale civilmente impegna-to, quella dell’accademico, etc., etc. – che si sono variamente intrecciate anche con le sue molteplici prese di posizioni (fi losofi che e civili). Con la conseguenza che ora per indagare tutte le complesse movenze del suo pensiero e della sua opera intellettuale occorre sempre tener presenti que-ste differenti “anime” del suo impegno, i loro “incroci” specifi ci, le loro “sovrapposizioni” e anche tutti i problemi che hanno generato nella sua stessa evoluzione spirituale. Né basta, perché la diffi coltà cui oggi ci si trova di fronte nello studiare il pensiero e l’opera di Geymonat si radica anche nel fatto che questo pensatore è stato in grado di infl uenzare a tal punto la storia effettiva della cultura fi losofi ca italiana che la sua opera, in molti casi, fa tutt’uno con questa stessa storia che ha appunto contribuito, in modo spesso assai rilevante, a modifi care e trasformare (su molteplici piani: culturalmente, editorialmente ed istituzionalmente). Conseguente-mente non è davvero agevole poter valutare, con la dovuta serenità critica,
un tale intenso ed espansivo percorso intellettuale del quale si deve ap-punto parlare essendo peraltro vissuti direttamente dalla sua azione e dalla sua opera. Personalmente ho cercato di dipanare questa intricata selva di problemi nelle due monografi e che ho espressamente consacrato all’opera e al pensiero di Geymonat, La passione della ragione, apparsa nel 2001, e
Contestare e creare7, apparsa nel 2004, volumi con i quali ho appunto cer-cato di studiare analiticamente il pensiero di Geymonat, cogliendo peraltro anche l’occasione per “fare i conti” diretti con la sua stessa complessa ri-fl essione, onde mettermi, appunto, nella condizione di poter metabolizzare criticamente il suo pensiero. In ogni caso, non può tacersi come la profonda inquietudine della rifl essione di Geymonat – che pure si colloca anche en-tro uno specifi co “fi lo rosso” con il quale si può guardare unitariamente (e sia pur articolatamente) all’insieme della sua produzione fi losofi ca – non è naturalmente priva di rifl essi, più o meno diretti, anche sulla questione del suo stesso ed eventuale “positivismo”.
3. Conseguentemente nel presente, parziale, contributo non si potranno inseguire tutte le differenti e pur contrastanti “anime” della complessa pro-duzione fi losofi ca (e storiografi ca) di Geymonat. Dovendo pertanto opera-re, di necessità, una scelta, in questa sede preferisco, dunque, concentrarmi sul modo specifi co con il quale Geymonat ha letto e interpretato, a parti-re dalla sua monumentale e fondamentale Storia del pensiero fi losofi co e
scientifi co il positivismo, per poi valutare teoricamente la natura stessa
del-la sua anima “positivista”, rinviando peraltro ai miei due libri già ricordati la considerazione e la discussione più puntuale di tutte le altre movenze