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Luisa Zinant Università di Udine

1. L’eterogeneità dei contesti educativi: il punto di vista degli insegnanti

Come sottolineato da Massimiliano Fiorucci “il nostro paese presenta una sto- ria intrinsecamente plurale sia con riferimento alle diversità culturali, sia con riferimento al multi e plurilinguismo sia, infine, con riferimento al pluralismo religioso. L’Italia è, quindi, da sempre un paese multiculturale, multireligioso, multilingue e plurilingue” (Fiorucci, 2015, p. 19). Questa eterogeneità è, con- seguentemente, insita anche ai contesti educativi che dunque non sono “diver- si” esclusivamente per la presenza di bambini e bambine con background mi- gratorio. Le diversità all’interno di una classe sono molteplici: diversità riferite ad aspetti sociali, familiari, culturali, linguistici, religiosi, ma anche di abilità, di stili di apprendimento, di interessi, ecc. Tuttavia, l’incremento di studenti con cittadinanza non italiana (nell’a.s. 1995/1996 lo 0,6%, nell’a.s. 2015/2016, il 9,23% del totale, cioè 814.851 alunni, 58,7% dei quali nati in Italia, Borrini, De Sanctis, 2017, p. 7; p. 16) ha fatto sì che numerosi ricerca- tori approfondissero le dinamiche connesse alle vite di questi alunni, alle loro relazioni con i pari nel tempo scolastico ed extrascolastico, così come all’acco- glienza e all’inclusione nei contesti educativi formali e non formali. Più di re- cente, si è cercato di tenere in considerazione anche le osservazioni, i bisogni, le proposte degli e delle insegnanti in servizio in contesti educativi multicul- turali ed eterogenei (Bolognesi, 2013; Colombo, dal Zotto, 2011; Catarci, 2013; Conti, Di Patrizio, Quattrociocchi, 2015; Felici, Pietropaolo, 2015; Granata, 2016; Milani, 2015; Reggio, 2014; Santagati, 2011; Tarozzi, 2014, 2015). Ed è proprio su alcuni di questi testi che verrà focalizzata l’attenzione in questo contributo1.

1 La ricerca bibliografica sottostante al presente contributo è stata analizzata durante l’asse- gno di ricerca: Modelli pedagogici e pratiche educative in scuole dell’infanzia e primarie social-

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2. Lo smarrimento iniziale di fronte le diversità

“Come è facile osservare le culture lontane quando si è in viaggio e come è com- plicato farlo quando sono vicine, abitano tra noi e rendono il gioco della com- prensione più complicato” (Granata, 2016, p. 29). Così afferma il maestro ‘im- maginario’, voce narrante del libro di Anna Granata, Pedagogia delle diversità. Come sopravvivere un anno in una classe interculturale (2016), a fronte della con- statazione della complessità che quotidianamente incontra nella sua classe di “diversi”, pensando al più (apparentemente) facile “sogno di somiglianza” (ivi, p. 16). Granata, attraverso la voce dell’ipotetico maestro di scuola primaria, che non nasconde le sue perplessità e preoccupazioni riguardanti alcuni aspetti di vita scolastica ordinaria (esclusione dalle feste di compleanno di alcuni studen- ti, inserimento in corso d’anno di alunni con cittadinanza non italiana, festività religiose, criteri di valutazione, ecc), ripercorre molti dei temi cardine della pe- dagogia interculturale, che divengono nel corso della trattazione interessanti occasioni di riflessione pedagogica e didattica. Gli spunti emersi da tale libro, lungi dall’essere astrazione, rappresentano al contrario uno spaccato di realtà che trova conferma anche nelle parole degli insegnanti coinvolte nella ricerca di Marta Milani, presentata nel testo Competenze interculturali a scuola (2015). Ivi, si può notare come qualche docente esprima una certa difficoltà nel gestire alcune situazioni. Si legge ad esempio: “Molto spesso ti trovi questi bambini – soprattutto quando sono appena arrivati – che il primo anno stanno completa- mente in silenzio. [...] Veramente sono di una chiusura...cioè si chiudono a ric- cio, ma per protezione, evidentemente. E lì bisogna lavorarci, avere tanta, tanta pazienza” (ivi, p. 99). Questa affermazione, come altre presenti nel testo, sem- bra far trapelare una sensazione di fatica nell’affrontare quotidianamente un contesto complesso, che, se protratta nel tempo, potrebbe portare gli insegnanti a smarrirsi, a non riuscire più ad orientarsi con e nella “mappa” da sempre uti- lizzata nel proprio lavoro. Tuttavia, il senso di disorientamento che può provare un docente non è necessariamente negativo, anzi, può divenire una possibilità di crescita professionale e personale. Come afferma Davide Zoletto “di questo casuale straniamento dovremmo fare forse, quasi paradossalmente, un approc- cio e un esercizio. E dovremmo, come insegnanti, chiederci un po’ più spesso: ‘Che ci faccio qui?’” (Zoletto, 2007, pp. 25-27).

mente e culturalmente eterogenee. M-PED/01, Responsabile Scientifico: Professor Davide

Zoletto, svoltosi presso l’Università degli Studi di Udine dal 16 aprile 2017 al 15 aprile 2018.

X. Contesti educativi multiculturali ed eterogenei e insegnanti

3. “Cambio scuola o cambio la scuola2?”: alcuni spunti di riflessione

Ed è proprio sulla scia del “Che ci faccio qui?” che forse potrebbero sorgere ul- teriori spunti di riflessione: “Sono fatto davvero per questo mestiere?” (Grana- ta, 2016, p. 139) e ancora: “Capisci bene che tante volte questa situazione ti demotiva e demoralizza; ti vien da dire ‘Ma chi me lo fa fare!’ (Milani, 2015, p. 109). Tuttavia, come continua il maestro della Granata: “Forse queste do- mande [...] non sono prive di senso, anzi sono proprio il motore del cambia- mento” (Granata, 2016, p. 139).

Partendo da simili spunti, si potrebbe infatti iniziare a lavorare in maniera riflessiva (Schön, 1983, trad. it. 1993) e critica sulla propria pratica di inse- gnanti (Freire, 1996, trad. it. 2004, pp. 33-35), così come anche sui propri bi- sogni formativi (Da Silva Iddings, Combs, Moll, 2014; Fiorucci, 2015; Ho- ward, Milner IV, 2014; Tarozzi, 2014; 2015), perché “la crescita e il ben-essere delle persone [passano attraverso] una formazione permanente” (Ulivieri, 2012, p. XX) che vada auspicabilmente “in profondità” (Suchodolski, 2003). Così facendo, sarebbe possibile provare ad approfondire gli aspetti che creano nei docenti suddette preoccupazioni, al fine di riuscire, in un secondo mo- mento, ad individuare anche le potenzialità di situazioni e contesti percepiti per lo più come difficili. Questo è infatti il senso ultimo della lettera Don’t Let the Fear of What Is Difficult Paralyze You che Paulo Freire (2005, pp. 49-59) indirizza proprio agli insegnanti, così come del testo Le vie della complessità di Edgar Morin (1985, pp. 49-60), in cui l’autore afferma che proprio la com- plessità della contemporaneità potrebbe rappresentare un volano di nuove po- tenzialità, quali ad esempio la valorizzazione della diversità o la liberazione dalla trama delle abitudini.

Lo smarrimento del “Che ci faccio qui?” potrebbe quindi essere riletto e re- interpretato dagli insegnanti in chiave pedagogica, provando cioè ad immagi- nare e costruire un processo di cambiamento in ottica trasformativa, come pe- raltro proposto da Freire (1977, trad. it. 1979, p. 44; 1996, trad. it. 2004) e da Henry Giroux (1988).

In tale prospettiva, potrebbe emergere la figura di un insegnante che, di fronte l’eterogeneità sociale e culturale dei contesti in cui lavora, cerca di met- tere in discussione le proprie “mappe” e di trovarne, partendo dai bisogni dei propri alunni, di nuove: “Ho riflettuto: credo sia meglio lavorare ancora un po’ sulla corporeità, sulla percezione del proprio corpo e di quello altrui. Qui

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ci sono ancora troppi bambini che hanno difficoltà ad abbracciare il compa- gno o la compagna o che vengono esclusi dai giochi per via del colore della pelle o del modo di parlare” (Milani, 2015, p. 104). Un insegnante che po- trebbe essere in grado di re-agire di fronte la complessità quotidiana, senza la- sciarsi da essa sopraffare: “Sei stritolata in un’organizzazione che non ti per- mette [...] di attuare certe pratiche. Però è facile lamentarsi e dire [...] ‘manca- no le risorse’. Bisogna ingegnarsi e fare del proprio meglio con quello che si ha a disposizione” (ivi, p. 104). Un docente, quindi, che potrebbe essere in grado di modificare, anche attraverso “una serena ed implacabile esegesi del sé” (Al- barea, 2012, p. 71), il proprio stare a scuola, cercando così di cambiare la scuo- la stessa, dal di dentro, e di conseguenza anche la società.

4. L’eterogeneità come “occasione pedagogica”3di cambiamento

Per iniziare ad attuare questo processo di cambiamento, sarebbe infatti auspi- cabile provare ad interpretare l’eterogeneità come un’occasione per trasforma- re il proprio “essere” insegnanti, rendendo il processo di insegnamento/ap- prendimento maggiormente significativo e adeguato per gli alunni e le alunne con i quali si lavora.

Si potrebbe ad esempio cercare di sperimentare diverse metodologie didat- tiche (Fiorucci, 2008) e conseguentemente diverse modalità valutative, così come ampliare, contestualizzare e diversificare i contenuti, le richieste, le aspettative (Cohen, Lotan, 2004), lavorando quindi per creare una scuola di qualità, per tutti. Le diversità, viste non di rado come muri difficilmente vali- cabili, potrebbero essere invece interpretate, proprio per la flessibilità e l’ap- profondimento continuo che richiedono, come ponti verso nuovi scenari, ver- so nuovi modi di fare ed essere insegnanti. Il compito non è certo semplice ma potrebbe forse rappresentare, per i docenti, la via per riscoprire l’importanza cruciale del proprio lavoro all’interno della società; per gli alunni, un’oppor- tunità per vedere riconosciuti e valorizzati i propri bisogni, vissuti e compe- tenze. Così facendo, si riuscirebbero forse ad offrire agli studenti anche pari possibilità di crescita e di successo formativo nel compimento di una “educa- zione alla giustizia sociale” (Tarozzi, 2015, p. 12), passo questo che pare cru- ciale per ritenere prima e rendere poi, passo per provare a credere prima e a rendere poi l’educazione un’occasione concreta di cambiamento.

X. Contesti educativi multiculturali ed eterogenei e insegnanti

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