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III. Il “vero tema” tra irrappresentabilità e comparativismo

2. Tra percezione e immaginario: uno “sguardo in fuga”

3.2 Il non-luogo dell’ haiku

Per una corretta contestualizzazione della tematica spazio-temporale, bisogna tenere conto di un’esperienza quasi coeva a Fosfeni (1983), cioè la stesura degli

haiku, avvenuta tra la primavera e l’estate del 1984 e poi confluita nella raccolta Haiku for a season727, edita solo nel 2012. L’avvicinamento alla forma poetica

dell’haiku è testimoniato dall’introduzione che Zanzotto scrive per l’antologia

Cento haiku uscita nel 1982. Descritti come «lievi coaguli di versi»728, gli haiku destano l’attenzione del poeta per la loro capacità di condensare in uno spazio assai limitato (tre versi) un grande potenziale di energia: «energia balenante»729, si legge. Già il riferimento al “baleno” potrebbe bastare come indicatore temporale da associare ad una forma poetica che si dà con «fulmineità»730. L’haiku bene si presta allo sperimentalismo zanzottiano almeno in due direzioni: per la componente di «inutilità semantica» data dalle numerose «parole-pause» che conservano un «alone fatico», e per la dimensione “asoggettuale”, per cui ogni dato tende a collocarsi «su sfondo o inconscio grigio-argento»731. Come già dimostrato, anche in Fosfeni procedono di pari passo una temporalità cristallizzata (dimensione invernale) e la rappresentazione di una soggettività indebolita. A differenza della corposità dei testi di Fosfeni gli haiku «saettano come smussate freccioline che ci vengono da un mondo simile a quello di Alice»732. Dotati di una loro coerenza (intricata), accecanti e carezzevoli, essi vengono definiti, per il tramite di una metafora che unisce matematica e architettura, «cuspidi elastiche di qualcosa che deve restare sommerso»733. Si potrebbe dire che l’haiku si presenta

727

A. Zanzotto, Haiku for a season, Edited by Anna Secco and Patrick Barron, Chicago and London, The University of Chicago press, 2012.

728

Cento haiku, scelti e tradotti da Irene Iarocci, presentazione di Andrea Zanzotto, Milano, Longanesi, 1982. La presentazione di Zanzotto si trova, inoltre, nel volume Scritti sulla

letteratura. Fantasie di avvicinamento, p. 349. 729 Ibidem. 730 Ivi, p. 350. 731 Ivi, p. 349. 732 Ivi, p. 350. 733 Ibidem.

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agli occhi del poeta come possibilità concreta di “teatralizzare” quella verve ossimorica che investe buona parte della propria opera poetica: «accecante- carezzevole»; «cuspide elastica». L’elemento su cui insiste Zanzotto in questa introduzione così ricca di metafore è il tema del «risparmio verbale che crea tensioni aggregatrici». Con un lessico che condensa tutto l’immaginario di Fosfeni (residuo, cristallo, luce) Zanzotto parla di una «concentrazione» e di una «intensità che sembrano insieme del residuo e del diamante»734. In ogni caso, conclude dopo aver ammesso la possibilità di iscrivere il primo Ungaretti entro la tradizione dell’haiku, «quale miglior frammento dello haiku per indicare uno spazio tutto scisso e disseminato?»735. In linea con l’atmosfera di Fosfeni Zanzotto parla di un «percepire illuminante per fini contrasti cromatici e logici». E con una terminologia molto vicina a quella impiegata da Barthes quando parla di «biografema»736, il poeta parla di «primordiale bioritmo».

Ne L’impero dei segni Barthes parla dell’haiku come di una forma «breve e vuota»737che erroneamente gli occidentali definirebbero con i termini illuminazione, rivelazione o intuizione. Per Barthes l’haiku garantirebbe un

momento di riposo738 caratterizzato dall’arresto della «trottola verbale»739. Se Zanzotto parla di risparmio verbale, Barthes si riferisce ad una «parsimonia»740. Si badi bene, ammonisce Barthes, che la brevità dell’haiku non è formale. Esso non è un pensiero ricco ridotto ad una forma breve, ma, e veniamo ad affrontare più da vicino la tematica temporale, «un evento breve che trova tutt’a un tratto la sua forma esatta»741. È nella sezione intitolata L’incidente che Barthes approfondisce la questione: dopo aver richiamato la natura anti-descrittiva di questo genere poetico, afferma che l’haiku offre «un istante in cui la cosa […] si costituisce

734 Ibidem. 735 Ibidem. 736

Cfr. R. Barthes, Barthes di Roland Barthes, Torino, Einaudi, 1980.

737

R. Barthes, L’impero dei segni [1970], Torino, Einaudi, 1984, p.86. La sezione da cui è tratta la citazione è intitolata «L’effrazione del senso».

738

Impiego l’espressione usata da Zanzotto per descrivere la raccolta Idioma (1986).

739

R. Barthes, L’impero dei segni, cit., p. 87.

740

Ibidem.

741

192

come il ricordo di questo futuro, per ciò stesso anteriore. Perché nello haiku non è soltanto l’evento propriamente detto che prevale ma anche ciò che a noi sembrerebbe aver vocazione di scena dipinta»742. Di seguito uno degli haiku di Zanzotto in cui si accenna ad un evento remoto:

In reticent spring skies autumnal leaves, fragments of far future events

*

Nei reticenti cieli di primavera foglie autunnali, frammenti di remoti futuri eventi

743

.

Se Zanzotto si riferiva ad uno spazio scisso e disseminato, Barthes medita su «uno spazio di puri frammenti, una polvere di eventi, che nulla […] può né deve coagulare, comporre, dirigere, concludere»744. In una conclusione che si presta a fare da sintesi all’idea zanzottiana di una divisibilità infinita , Barthes scrive che la natura frammentaria dello haiku risponde alla volontà di dividere e classificare all’infinito il mondo. Ciò dipende dal fatto che «il tempo dello haiku è senza

742

Ivi, p. 89. Si tenga in considerazione un titolo come Futuri semplici-o anteriori?, in TTP, p. 677.

743

A. Zanzotto, Haiku for a season, cit., pp. 6-7. La versione italiana, come ricorda l’editore in nota, è stata composta da Zanzotto con intermittenza molti anni dopo la versione in inglese. Per questo motivo essa deve essere considerata un’operazione parallela, più che una traduzione fedele. L’editore, poi, ricorda la definizione che il poeta fornì per questo primo esperimento bilingue, cioè «pseudo-haiku», perché non seguono la forma tradizionale di diciassette sillabe divise in tre versi di 5-7-5 sillabe. Questi pseudo-haiku sono definiti «musings on humble, oftentimes ephemeral aspects of the landscape», oppure come «antics of vivid wild plants», o come «windows into emotive states». Rimando all’ «Editors’ Note», pp. VII-IX.

Come si legge nella nota dell’editore, le brevi liriche («short lyrics») sono state composte tra la primavera e l’estate del 1984.

744

R. Barthes, L’impero dei segni, cit., p. 92. Zanzotto parla di «lieve coagulo di versi», invertendo il senso inteso da Barthes.

193

soggetto: la lettura non ha altro io che la totalità degli altri haiku di cui quest’io, per infinite rifrazioni, non è mai altro che il luogo di lettura»745. Di seguito ritroviamo gli elementi principali dei cataloghi zanzottiani, radici e mondi, ma con un capovolgimento significativo: non sono i linguaggi a essere radice di mondi ma sono quest’ultimi ad essere radice di linguaggi:

Parallel worlds, roots

of vitreous deep languages— bubbles weep in throats *

Mondi paralleli, radici di vitrei profondi linguaggi— bolle piangono in gole

746

.

Attraverso le parole di Barthes è possibile affermare che la poesia zanzottiana ha finalmente raggiunto quella forma ideale che eradica la parola da un centro prima supposto come originario: «Così lo haiku ci fa rimemorare ciò che non ci è mai capitato; in esso noi riconosciamo una ripetizione senza origine, un evento senza causa, una memoria senza persona, una parola senza ormeggi»747:

Insight, if possible, into landscape which has not yet quiet faiths—

745

Ibidem.

746

A. Zanzotto, Haiku for a season, cit., p. vi.

747

194 insight, sigh now, tomorrow blue lack

*

Acuto sguardo, se possibile, entro il paesaggio che non ha ancora fedi tranquille—

acuto sguardo, ora sospiro, domani vuoto blu

748

.

Come fa notare Carbone su “alfabeta2”, la poesia in Zanzotto può mantenersi nell’accoglienza e nell’ascolto del proprio “Lontano qui”, in un tragitto di liberazione dal tempo quantificato e, allo stesso tempo, dall’angoscia di ogni compimento»749. La prossimità alla cosa per il poeta «non è ritorno o nostalgia ma creazione di nuove immagini, nell’eterno movimento dal fantasma al reale, consustanziati nella loro reciproca tensione»750. Il riassorbimento del tempo negli

haiku non è determinato dall’eliminazione degli indicatori temporali, ma da un

processo di spazializzazione: «il vulcanello di nome luglio»751, «rosa-aprile»752, «aprilità»753, «inabitabile primavera»754.

Le associazioni superficiali che Krumm associa ad un deterioramento del rapporto tra percezione e memoria sono simbolizzate dai papaveri, che torneranno insistenti in Meteo (1996). Un fattore che accomuna gli haiku a tutta la produzione zanzottiana è l’identificazione della produttività linguistica con le forme vegetali. L’istantaneità della forma dell’haiku («haiku di un’alba

inattesa»755 è anche associata alla creazione linguistica, simbolizzata dallo sbocciare o dall’eruttare: «svagati sognolii sbocciano/o risvegli sbocciano/haiku

748

Ivi, p.49.

749

M. T. Carbone, il lontano qui, in “alfabeta2”, 28 aprile 2016. Versione online consultabile al sito: https://www.alfabeta2.it/2016/04/28/andrea-zanzotto-lontano/.

750

Ibidem.

751

A. Zanzotto, Haiku for a season, cit., p.87.

752 Ivi, p. 3. 753 Ivi, p. 7. 754 Ivi, p. 53. 755 Ivi, p.57.

195 all’alba, pappi invano inseguiti». Torna, nello scritto di presentazione a Cento haiku, la metafora del germoglio in una considerazione che, ripresentando il tema

del non-luogo, stabilisce l’impossibilità di situare la parola poetica : «la tenuità di germoglio dello haiku presenta come suo clou piuttosto un non-luogo, un vago mancamento, un sussulto dolcemente ritualizzato, il non-rumore del senso che si affaccia dentro il nonsenso della natura quasi a volerlo preservare»756. Si può concludere che la forma dello haiku, nel suo essere contemporaneamente germoglio e cristallo, palesa formalmente la rapidità della dispersione della parola. Questo fluttuare continuo delle intuizioni attraverso uno sciame757 di versi

garantisce in qualche modo la preservazione di un silenzio fondamentale. La molecola dell'haiku (scomponendosi, l’organismo lascia quindi il posto ai suoi elementi minori), nel suo «garantire la mutezza insondabile della natura», condensa in sé la mutezza confidente della pietra e la vivacità del germoglio, tanto che nel suo intervento Zanzotto inserirà nella stessa frase «fruttificazioni» e «cristallinità»758.

756

A. Zanzotto, Cento haiku, cit., p. 352. Barthes, in merito, parlava dell’impossibilità di afferrare un centro, un nucleo primario d’irradiazione. (L’impero dei segni, cit., p. 92).

757

Così Zanzotto: «ma il benefico trascorrere degli haiku, a sciami o isolati, nel nostro campo psichico, oggi più che mai dà segnali di libertà contro le fetide mostrificazioni e le anchilosi-della natura, dell'uomo nel suo stesso sentire e percepire- che sono tanta parte della realtà attuale», p. 353.

758

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