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Coment Karlo tenoit grant / Corte entre Paris.

383

Gran cort manten Karlo l’inperaor, 76rb

Entro Paris son palés major.

Ilec estoit mant filz de valvasor, 13480

E manti dux, prinçes, e contor, E le dux Naimes, so bon conseleor; Unqes el segle non estoit nul milor, Ne qe de foi tant amase son segnor,

Ne qe tanto durase e pena e dolor. 13485

Sor tot les autres estoit coreor, Unde da Deo el n’ave gran restor, Da Deo del celo, li maine Criator. Quatro filz oit de sa çentil uxor,

Qe fo di doçe pere e fo fin çostreor. 13490 En Roncival fo morti a dolor,

Quando fo morto Rolant li contor, Por li malvés Gaino li traitor, Quant li traì a li rois almansor,

A li rois Marsilio, dont pois n’ave desenor, 13495 Dont fo çuçé a modo de traitor.

r. 383

Coment Macario volse vergoger Karlo.

384

Gran cort manten Karlo Man l’inperer, De gran baron, de conti, e de prinçer; Mais sor toti fo dux Naimes de Baver,

Come Carlo tenne gran / Corte a Parigi.

383

Gran corte1 tiene Carlo l'imperatore, a Parigi nel suo palazzo maggiore.

C'eran là molti figli di valvassori, 13480

e molti duchi, principi e conti,

e il duca Namo2, suo buon consigliere;

mai al secolo ce ne fu uno migliore,

né che con fede tanto amasse il suo signore,

né che tanto sopportasse e pena e dolore. 13485

Fra tutti era il miglior esploratore, per cui da Dio ne ha gran ricompensa, dal Dio del cielo, il grande Creatore.

Quattro figli3 aveva dalla sua gentil mogliere,

che furon fra i dodici pari4 e fini giostratori. 13490

Moriron di dolore a Roncisvalle, quando fu ucciso il conte Rolando, dal malvagio Gano5 il traditore, quando lo tradì per il re almansore,

per il re Marsilio6, per cui poi n'ebbe disonore, 13495

per cui fu giudicato come traditore.

r. 383

Come Macario volle svergognare Carlo.

384

Tiene gran corte Carlo Magno l'imperatore, con gran baroni e con principi e conti; ma sopra tutti col duca Namo di Baviera,

e il Danese che si fa chiamare Ogier7. 13500

1 La convocazione della corte, con il riunirsi della migliore nobiltà alla presenza del sovrano, è un momento topico della narrazione, durante la quale accade un qualcosa che sarà alla base delle vicende successive; una cosa simile accade nell'Entrée d'Espagne (vv. 57-60) dove la corte, che è itinerante, viene convocata ad Aquisgrana: «Sa cort tient Carlemaine a Asie-la-Capelle; / Ses barons li avoit d'iloc trosqu'en Bordelle, / Bertons e Pitaïns; gent li avoit tro belle: / Grant honor lor a feit li rois qe les capdelle». Thomas 1913, p. 4. 2 Namo, duca di Baviera, è personaggio che si ritrova anche nella Chanson de Roland, sempre come fidato

consigliere di Carlo Magno (vv. 230-231): «Aprés iço i est Neimes venud / (Meillor vassal n'aveit en la curt nul)». Segre 1971, p. 39. Namo è presente anche nel Morgante, nell'Orlando innamorato e nel Furioso. 3 I quattro figli del Duca Namo sono Avino, Avolio, Otone e Berlingiero.

4 È il gruppo di dodici grandi feudatari, vassalli del sovrano, che avevano il diritto di essere giudicati solamente da una corte composta di pari.

5 Gano di Maganza è il patrigno di Rolando, avendone sposato la madre Berta, vedova di Milone e sorella di Carlo Magno; a seguito del suo tradimento, racconta la Chanson de Roland (vv. 3970-3974), sarà sventrato vivo: «Trestuit si nerf mult li sunt estendant / E tuit li membre de sun cors derumpant: / Sur l'erbe verte en espant li cler sanc. / Guenes est mort cume fel recreant. / † Hom ki traïst altre nen est dreiz qu'il s'en vant». Segre 1971 p. 670.

6 È il re pagano di Spagna della Chanson de Roland (vv. 7-8)«[...] ki Deu non aimet, / Mahumet sert e Apollin rcleimet». Segre 1971 p. 3.

Con son avoir e besant e diner, Qe in la cort son amà e tenù çer, E con li rois vont a boir e a mançer.

E un li est de lor plu ançoner: 13505

Machario de Losane se fait apeler. Or entendés del traitor losençer, Como vose li rois onir e vergogner, E por forçe avoir sa muler.

Qe una festa del baron san Riçer, 13510

La çentil dame estoit en son verçer; Cun mante dame s’estoit a deporter,

Si se fasoit davanti soi violer, >

E una cançon e dir e çanter.

E Machario entrò in le verçer; 13515 Avec lui avoi manti çivaler.

E començò la dama a donoier:

“Dama,” fait il, “ben vos poés vanter; Sor tot dames qe se poust trover,

Plus bela dama hon non poust reçater. 13520

E ben estoit un gran peçé morter, Quant un tel home v’oit a governer. Se moi e vos s’aumes a conpagner, Plus bela conpagne non se poust trover,

Por gran amor e strençer e baser.” 13525

La dama l’olde, si le prist a guarder, 76va E en riando sì le prist a parler:

“Ai, sire Machario, vu sìʼ e pro e ber; Queste parole qe vos oldo conter,

Eʼ so ben qe le dites por mon cors asaçer.” 13530

Dist Machario: “El vos fala li penser; El no è, dama, de ça ni de là da mer Qe sovra nos è digni de vos amer.

con le sue ricchezze e bisanti e dinari, che nella corte son amati e tenuti cari, e con il re vanno a bere e a mangiare.

E uno è fra loro più tenuto in onore: 13505

Macario di Losanna si fa chiamare. Ora ascoltate del traditore sleale, come volle onire il re e svergognare, e per forza avere la sua mogliere.

Che alla festa del barone San Ricario8, 13510

la gentil dama era nel suo verziere9; con molte dame stava a diportarsi, e si faceva suonare la viola10,

e una canzone e intonare e cantare.11

E Macario entrò nel verziere; 13515

c'eran con lui molti cavalieri.

E cominciò con la dama a donneare: “Dama,” dice, “ben vi potete vantare; su tutte le dame che si possan trovare,

più bella dama non si può trovare. 13520

E ben sarebbe gran peccato mortale,

quando un tal uomo abbia a che fare con voi. Se io e voi ci dovessimo accompagnare,

più bella compagnia12 non si potrebbe trovare,

per grande amore e stringere e baciare.” 13525

La dama lo ode e lo prese a guardare, e ridendo così cominciò a parlargli: “Ah, sire Macario, voi prode e valoroso; queste parole che vi odo raccontare,

so ben che le dite per tentare il mio corpo.” 13530

Disse Macario: “Il pensiero v'inganna; dama, non c'è qua o di là del mare chi più di noi è degno di amarvi. Non c'è pena che possa soffrire,

8 Come nella migliore tradizione romanzesca la riunione della corte coincide con una festa religiosa, come ad ex. nello Chevalier au lyeon (vv. 1-6). «Artus, [...] / Tint cort di riche come rois / A cele feste qui tant coste, / Qu'an doit clamer la Pentecoste». Gambino 2011, p. 44. La festa di San Ricario (?-645) cade il 26 aprile. 9 Il verziere è il luogo topico dell'incontro erotico della tradizione occitana, spesso scenario degli amori delle

albas; qui, invece, è lo sfondo per le insidie amorose di Macario.

10 Non si tratta della viola moderna, ma della viella «uno strumento ad arco a fondo piatto già in uso nel sec. X, particolarmente diffuso nei secc. XII e XIII nelle corti europee e prediletto da giullari, trovatori e trovieri». En. Musica, 754b.

11 La dittologia dir e çanter si trova già in Jaufre Raudel «Non sap chantar qui so non di». Chiarini 2003, p. 56. Questo rimando, insieme al verçer del v. 13511 rende il testo più lirico che romanzesco, creando un effetto di contrasto tra la fin'amor del contesto e l'atteggiamento mellifluo di Macario. Dir è perfetto sinonimo di çanter, poiché «dire [si riferisce] al momento della recitazione cantata». Roncaglia 1968, p. 220.

12 L'adulazione di Macario ricorda quella dei cavalieri delle pastorelle di trovatori e trovieri: dopo l'elogio della bellezza senza pari della donna segue l'invito alla compagne, momento dell'intimità erotica; v. ad ex. L'autrer jost'una sebissa di Marcabru vv. 15-21: «ʻBella,ʼ, fiz m'ieu, ʻdouc'e pia / destortz me soi de la via / per far ab vos compagnia, / c'anc aitals toza vilaina / no dec ses pareil-paria / gardar aitanta bestia / en aital terra

La dama l’olde q’el non dis por gaber, Ça oldirés como li responde arer:

“Machario,” dist ela, “tu non sai mon penser. Avanti me lairoie tot le menbre couper,

E en un fois e arder e bruser, 13540 E in apreso la polvere aventer,

Qe mais pensese mal de l’inperer. E se mais ver moi eʼ v’oldo sì parler, E dever moi tel rason conter,

A mon sire le dirò sença entarder. 13545 Malvasio hon, con l’olsas tu penser

De ton segnor tel parole parler? S’elo’l soit, no t’en poroit guarenter Toto l’avoir qe se poust trover,

Q’elo no te faist a dos fors apiçer. 13550 Tosto da moi vos deça desevrer;

E ben vos guardés de unchamais parler De ces paroles a moi derasner.” Machario l’olde, s’en pris a vergogner;

Da le se parte cun toto mal penser. 13555

r. 384

Coment la rayne retorne dal çardin. / E coment oyt gran dollo.

385

Blançiflor la raine fu arere torné, Sor son palés s’en fo reparié; De dol e d’ire oit son cor abusmé. E Machario se ne fo travalé,

S’el no la oit a soa volunté, 13560 De soa vita non cura un pelo pelé.

E die e noit par le stoit en pensé; Si se porpense por soa malvasité, Coment la poroit avoir ençegné.

U[n] nano estoit en la cort l’inperé; 13565 > Dal rois e da la raina estoit molto amé.

Machario ven a lui, si l’oit aderasné: “Nan,” fait il, “en bon ora fusi né; Tanti te donarò de diner moené,

L'ode la dama che non dice per gabbo, ora ascoltate come gli risponde indietro:

“Macario” lei disse, “tu non sai il mio pensiero, prima mi lascerei straziare ogni membro,

e ardere e bruciare in una volta, 13540

e appresso la polvere sperdere al vento, piuttosto che mal pensassi dell'imperatore. E se mai con me vi odo parlare così, e in mia presenza tal cose sostenere,

al mio sire le dirò senza tardare. 13545

Uomo malvagio, come osasti pensare di dire tali parole sul tuo signore? Se lui lo sa, non ti saranno difesa tutti gli averi che si posson trovare,

che lui ti farà a due forche impiccare. 13550

Tosto da me dovrete separarvi; E certo guardatevi dal parlare

di queste parole che a me avete detto.” L'ode Macario, incominciò a vergognarsi;

da lei si parte con tutti cattivi pensieri. 13555

r. 384

Come la regina ritorna dal giardino. / E come ebbe gran dolore.

385

Tornò indietro la regina Biancofiore, trovò riparo nel suo palazzo;

il suo cuore afflitto di dolore e di ira. E Macario ne fu addolorato,

se non ha lei a sua volontà, 13560

la sua vita non vale un fico secco. Per lei giorno e notte stava in pensiero; e pensa fra sé per sua cattiveria,

come potrebbe farle un inganno.

Un nano13 c'era nella corte imperiale; 13565

dal re e dalla regina molto era amato.14

Macario venne a lui e gli parlava: “Nano” fa lui, “nascesti in buon ora15; Tanto ti donerò in moneta sonante,

13 Il nan è personaggio caratteristico nelle narrazioni medioevali, spesso tratteggiato in modo negativo, quale simbolo di sventura (v. la descrizione del v. 354 del Lancelot: «Li nains cuiverz de pute orine». Beltrami 2004 p. 56). Membro della corte, solitamente occupa una posizione di fiducia nei confronti del re (cfr. qui v. 13566), qui ha il compito di ostacolare il protagonista, come il felon nain che cerca di cogliere sul fatto Tristano e Isotta.

14 Zarker Morgan nota che la versione del Macario del codice marciano V13 riporta che il nano è amato sia dal re che dalla moglie; altrove è amato dal re, anzi è il suo buffone («the king liked and was amused by him»), ma è odiato dalla regina; cfr. Zarker Morgan 2009 p. 1113.

Se tu faràʼ la moia volunté.” E cil le dist: “Ora sì comandé

Ço qe vos plas; e son aparilé.” 76vb Dist Machario: “Ces voio qe vu façé:

Quando a la raina vu serés acosté, 13575 Vu le dirés de moia belté,

E s’ela faist la moia volunté,

Plu bela conpagnia non seroit trové.” Dist li nan: “Ora plu non parlé.

Quando cun le eo serò acosté, 13580 Meio le dirò qe no m’avés conté.”

Dist Machario: “In bona ora fust né; Tant avoir el te serà doné,

Richo faràʼ tuto to parenté.”

Dist li nan: “De nian vos doté.” 13585 Da lu se parte, tuto çoiant e lé;

E Machario fo a sa mason torné, Çoiant fo e baldo et alé.

Et a la cort fo li nan alé.

r. 385

Coment li nain parole. >

386

Or fu li nan retorneo arer; 13590 Tuto quel çorno non finé de penser,

Coment doit a la raina parler. E Machario, quando li pò trover, El non cesa de lui adester,

Coment deça quel plaʼ finer. 13595

E una festa del baron san Riçer, >

La raina estoit desor un so soler Con altre dame por son cor deporter, Si se fasoit davant soi violer,

E mant se fasoit baler e caroer. 13600 Le malvas nan si le vait aprosmer,

Apreso la raine si se vait acoster, >

E in apreso soto so mantel colçer. Como estoit uso, la pris a donoier;

se tu farai la mia volontà.”

E quello gli disse: “Ora sì comandate ciò che vi piace; io sono pronto.”

Disse Macario: “Voglio che ciò facciate:

quando alla regina vi sarete accostato, 13575

voi le direte della mia bellezza, e se lei facesse la mia volontà,

più bella compagnia non si potrebbe trovare.” Disse il nano: “Ora più non parlate.

Quando a lei mi sarò accostato, 13580

dirò meglio di quel che avete detto.” Disse Macario: “Nascesti in buon ora; tanti averi ti saranno donati,

ricco farà tutto il tuo parentado.”

Disse il nano: “Non dubitate di nulla.” 13585

Da lui si parte, tutto gioioso e allegro. E Macario ritorna alla sua magione, era gioioso e baldo e allegro. E alla corte il nano se n'era andato.

r. 385

Come parla il nano.

386

Ora il nano ritornò indietro; 13590

tutto quel giorno non cessò di pensare, come deve alla regina parlare.

E Macario, quando può trovarlo, non cessa di ammaestrarlo,

su come debba quel discorso filare. 13595

A una festa del baron san Ricario, la regina era sopra un solaio,

con altre dame per diportare il suo cuore, e si faceva suonare la viola,

e molte facevano e balli e caròle16. 13600

Il nano malvagio le si avvicina, si va accostare presso la regina, e poi sotto il suo mantello17 si corica; Com'era solito, la prese a lusingare;

16 La caròla è un'antica danza accompagnata dal canto di più persone che si tengono per mano.

17 Il verbo colçer all'interno della Geste Francor ha sempre una connotazione erotica, indicando il coricarsi a letto degli amanti (cfr. in particolare i vv. 822-880 di Berta da li pe grant); il riferimento al mantel è certo curioso, ma non si dimentichi che il mantello è sì «simbolo feudale di protezione» v. Pasero 1973 pp. 263-264, ma ha anche una valenza erotica (si pensi ai vv. 23-24 di Ab la dolchor di Guglielmo di Poitiers: «Enquer me lais Dieus viure tan / qu'aia mas mans soz son mantel!») già individuata da Roncaglia 1961 p. 254, dove fra i vari esempi di raffronto ci sono anche i vv. 3488-3489 del Tristan di Béroul: «Ja n'enbraz soz le mantel / Bele dame desoz cortine». Paradisi 2013, p. 320. È evidente quindi l'approccio più “pragmatico”

Si le prist belemant careçer. Et elo la prist malament parler:

“Dama,” fait il, “molto me poso merveler, Como vos poés Karlo Maino amer;

Por dame donoier el non val un diner. 13610 E vos estes tanto bele, e si avés le vis cler,

Qe vestra belté no se poroit esmer. Se vu volés a mon conseil ovrer, Eʼ vos farò a tel homo acoster,

Plus bel çivaler no se poroit trover; 13615 E questo si è Macario, li ardì e li fer.

Se vu e lu ve poisi aconter, Uncha de lui no ve porisi saoler, E ben vos porisi entro vos vanter,

Del plu bel dru qe se poust trover.” 13620 La dama l’olde, si’l prist a guarder: 77ra “Tasi, mato,” fait ela, “no me usar ste parler,

Qe tosto le porisi cerament conprer.” “Dama,” fait il, “lasa ster quel penser;

Se so un baso Machario v’avese doner, 13625 Por nul homo no l’averisi cançer.”

Tanto le dise li nan e davan e darer, Qe a la dama le prist sì noier,

Q’ela pois le prist contra le son voler,

Q’elo no se pote da le defenser. 13630 Çoso de quel soler ela le fa verser;

Si le fa malament trabuçer,

Qe la testa li fa in plusor lois froser. “Vane,” dist la raina, “malvasio liçer,

E no cre qe un altra fois me vegni quest nonçer!” 13635 Quant le nan fo trabuçé çoso de li soler,

Machario fo de sota, qʼera de mal penser,

Le nan el prist, si se neʼl féʼ porter; >

Por mires mandò, si le foit liger.

Plus de octo jorni stete, ne se pote lever; 13640

Donde la cort s’avoit a merveler; >

lo prese bellamente ad accarezzare.

E lui cominciò malamente a parlarle18:

“Dama”, fa lui, “molto mi posso meravigliare, di come potete amare Carlo Magno;

non vale un soldo a brigar con le dame. 13610

E tanto siete voi bella e dal viso chiaro, che stimare non si può la vostra beltà. Se voi volete seguire il mio consiglio, io vi farò a un tal uomo accostare,

più bel cavaliere non si potrebbe trovare; 13615

e questo è Macario, il fiero e l'ardito. Se voi e lui vi potreste incontrare, mai di lui non vi potreste saziare, e ben vi potreste fra voi vantare,

del più bel drudo19 che si possa trovare.” 13620

La dama l'ascolta e cominciò a guardarlo:

“Taci matto,” fa lei, “non usarmi questo parlare20, che tosto lo potresti a caro prezzo comprare.” “Dama,” fa lui, “lascia star quei pensieri;

se solo un bacio Macario v'avesse a donare, 13625

con nessun altro uomo lo vorreste cambiare.” Tanto le dice il nano in ogni momento, che a la dama cominciò a venire a noia, che ella lo prese contro il suo volere,

che lui difendere da lei non si può. 13630

Giù da quel solaio lo fa gettare; tanto lo fa malamente cadere, che la testa gli ferisce in più punti. “Vanne,” disse la regina, “brigante,

e ancora non credere di venire a dirmi questo!” 13635

Quando il nano giù cadde dal solaio, Macario era sotto, che era crucciato, il nano egli prese, e se lo fece portare; andò per medico, e lo fece legare.

Stette più di otto giorni, non si può alzare; 13640

donde la corte ne aveva meraviglia; il re stesso lo faceva richiedere.

18 Interessante il parallelismo retorico dei vv. 13606-13607 che definisce il carattere dei personaggi: da un lato la regina dotata di una nobiltà d'animo che sfiora quasi l'ingenuità nel suo gesto di porgere belemant una carezza; dall'altro il nano infingardo che comincia a parlare melement, ponendosi come un luzenjador («malalingua»), il cortigiano pettegolo che turba la serenità degli amori di trovatori e trovieri: il nano non è più solo una presenza folclorica, ma occupa una posizione sociale ben precisa, ossia quella di membro della corte capace di muoversi nei suoi ambienti per tessere insidie.

19 Altra tessera linguistica presa dal contesto provenzale: il dru è l'amante, che ha rapporti carnali, a differenza del fin amant.

20 Da notare che la risposta della regina al nano è ben diversa da quella data al cavaliere Macario ai vv. 13538 e sgg., in questo caso si ha una forte presenza di parole veneto-italiane, che successivamente scendono quasi al triviale (v. il mato del v. 13622 è hapax all'interno del RIALFrI). La deformazione del francese ha quindi

Qe caù ert a costé d’un piler;

Le çevo oit frosé ma tosto averà lever, 13645 Qe a la cort proà reparier.

r. 386

Coment li nan fu durés.

387

Segnur, or entendés e siés certan,

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