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Iona Heath MODI DI MORIRE

ed. orig. 2007, trad. dall'inglese di Maria Nadotti,

pp. 116, € 10,

Bollati Boringhieri, Torino 2008

A

dispetto del titolo, Modi

di morire è un libro che

parla della vita. Ricco di spun-ti di riflessione non solo sani-tarie, ma u m a n e ed esistenzia-li. Riflessioni sulla gestione della malattia e della morte e sulla eccessiva medicalizzazio-ne, ma anche sulla tecnicizzazio-ne della salute. Stimolante per professionisti delle relazioni di aiuto, ma anche per chi è incu-riosito dalle domande esistenzia-li: interessanti spunti letterari aprono scenari per

in-terrogarsi sulla pro-pria concezione della vita e delle relazioni.

"Se distogliamo gli occhi dalla morte, pre-giudichiamo anche la gioia di vivere. Meno avvertiamo la morte, meno viviamo" scrive in apertura Iona Heath. Medico di base, vive a lavora a Londra,

è presidente del College's Com-mittee e dell'Ethics Commitee del "British Medicai Journal".

Il compito della morte è co-stringere l'individuo all'essenzia-lità, la conclusione della vita aiuta a dare un senso globale allo scor-rere degli eventi. Una vita vissuta in profondità rende più facile mo-rire, come la perdita di un legame gratificante è più facile da elabo-rare, rispetto alla rottura di un le-game frustrante e insoddisfacente. Malgrado le dispendiose pretese della medicina, la morte resta l'i-nevitabile conclusione della vita, imprevedibile, arbitraria e spesso ingiusta. Inutile e pericoloso di-menticarlo. L'eccessiva e irreali-stica enfasi sugli stili di vita saluta-ri porta a dimenticare la preca-rietà dell'esistenza umana e scoto-mizzare l'idea che la morte è la na-turale conclusione della vita, non un incidente occasionale e

passi-bile di essere prevenuto ed evita-to. Quella che Heath definisce "l'arroganza della medicina scien-tifica" illude di poter evitare la morte e prolungare quasi all'infi-nito la vita biologica, a prezzo co-munque della qualità di vita e del-la ri-umanizzazione del morire. La medicina moderna collude con la tendenza umana, del tutto com-prensibile, a distogliere gli occhi dalla morte. " G piace credere che, se ci comportiamo bene, se mangiamo con moderazione i cibi giusti, se facciamo esercizio fisico con regolarità, e così via, avremo in premio una vita lunga e sana. Ma le cose non vanno necessaria-mente così".

L'irrealistica tenacia, tipica della società occidentale, nel procrasti-nare la morte a qualunque costo non è indolore: comporta una persistente colpevolizzazione di medico e paziente. In un'ottica efficientistica e salutistica, malattia e morte non sono più considerati inevitabili eventi naturali, ma evi-tabili insuccessi medici. Il morente viene indi-rettamente accusato di non essersi impegnato abbastanza, attraverso sport, diete sane e pre-venzione efficace e a tappeto, per evitare la sua fine. E punito per questo. Ragionamento che riecheggia l'anacronistica, ma profondamente consona all'emo-tività umana, tendenza a vedere la malattia come conseguenza di una qualche colpa. Un tempo la malat-tia era letta come punizione divi-na, ora come frutto di irresponsa-bilità individuale o medica. Sem-pre e comunque interviene il mec-canismo primitivo della ricerca del capro espiatorio per compen-sare il senso di precarietà umana e controbilanciarlo con l'illusione del controllo e dell'onnipotenza.

I processi che hanno portato a negare il valore della morte come conclusione della vita ed elimi-narla dal pensiero comune hanno trasformato il suicidio da "diritto umano a malattia evitabile". La proposta di ridare significato alla fine della vita, sostenuta da Heath, si abbina al recupero del

I processi che hanno portato a negare il valore della morte come conclusione della vita ed elimi-narla dal pensiero comune hanno trasformato il suicidio da "diritto umano a malattia evitabile". La proposta di ridare significato alla fine della vita, sostenuta da Heath, si abbina al recupero del

Una lezione che non è stata ade-guatamente compresa e applicata nei paesi subsahariani, dove ancora la malaria miete ogni anno milioni di vite umane, per la maggior parte bambini al di sot-to dei cinque anni.

(M.B.)

diritto alla morte, come possibi-lità di scelta individuale di fronte a situazioni ritenute soggettiva-mente insostenibili. Si apre a questo proposito una riflessione importante sulla concezione, ge-stione e trattamento delle fantasie e dei tentativi suicidati dei pa-zienti psichiatrici o di persone in crisi profonda. La tendenza ad al-lontanare la morte ed evitarla a ogni costo ha crocifìsso e conti-nua a crocifìggere generazioni di pazienti e i loro terapeuti. Spesso intenti, per ovvie e comprensibili ragioni etiche e giuridiche, a con-trollare il paziente e prevenirne gesti inconsulti, i terapeuti per-dono l'occasione di comprendere la disperazione di chi intravede nella morte l'unica via di libera-zione. All'atteggiamento prescrit-tivo di controllo sarebbe più utile sostituire un dialogo profondo e nutriente anche dal punto di vista esistenziale. Solo liberandosi, at-traverso un serio lavoro interiore, dall'ossessione della morte del paziente e ridandogli la sua li-bertà di scelta, lo si può accoglie-re globalmente con la sua uma-nità e la sua soggettiva costruzio-ne di significati e quindi accom-pagnarlo attraverso un percorso di terapia efficace.

Ma in una società efficientisti-ca, come la nostra, la morte è uno scandalo. Va tenuta lontano: si muore in luoghi appartati, si muore spesso soli, assistiti da mo-dernissime tecniche che sostitui-scono per un tempo prolungato le funzioni biologiche (ossigenazio-ne e alimentazio(ossigenazio-ne), ma senza il conforto e la vicinanza di altri

es-seri umani. Della morte non si può e non si deve parlare: non se ne pronuncia il nome se non at-traverso circonvoluzioni o eufe-mismi. La descrivono solo i reso-conti morbosi della cronaca nera: dovizia di particolari su aspetti scabrosi per raccontare morti vio-lente, e quindi non fisiologiche.

Quali alternative a silenzio e sensazionalismo? "H morire va vissuto, fa parte della vita non della morte": è l'appello dell'au-trice, che riesce a evitare il ri-schio, non infrequente in saggi del genere, di ima visione addol-cita e irrealistica della morte. Heath non nega che morire è dif-ficile, perché, sottolinea, di fron-te alla morfron-te spesso il fron-tempo del corpo e il tempo della mente si disconnettono. A volte la mente è pronta al trapasso, ha elabora-to la perdita della vita, ma il cor-po resiste; altre volte il corcor-po ce-de prima che la mente sia pronta: rabbia e dolore accompagnano questo scollamento. Racconta anche, attraverso riflessioni, cita-zioni letterarie e storie di pazien-ti, che morire bene è possibile. Malattia e vecchiaia possono es-sere potenti, per quanto doloro-se e impegnative, alleate nel pro-cesso di distacco dalla vita. Dolo-re e soffeDolo-renza possono aiutaDolo-re chi soffre a sintonizzare la mente all'idea della morte e riconciliar-si con essa. Non andrebbero eli-minate e ostracizzate come la cultura contemporanea tende a fare, ostacolando involontaria-mente il percorso individuale e collettivo di accettazione della propria finitudine.

Modi di morire si inserisce nel

filone di testi che rivalutano la municazione medipaziente co-me prestazione professionale, con un suo specifico potere terapeuti-co. E il dialogo con il morente ri-veste uno spazio privilegiato, non solo per il paziente, ma anche per l'operatore. Partecipare alla mor-te di una altro essere umano, in-crociare il suo sguardo quando è alle soglie del trapasso, accogliere le sue ultime parole è un'espe-rienza intima di avvicinamento al-l'essenza dell'umanità, che non può lasciare indifferenti. ??? Back e collaboratori ("Annals of Internai Medicine", 2005, n. 142) sottolineano come il curante che evita il dialogo con il morente perda un'opportunità di crescita e di arricchimento profondo. Me-dico e infermiere sono testimoni che permettono al paziente di condividere i significati della pro-pria vita e di ritrovare dentro di sé, attraverso la narrazione, il filo della propria esistenza: "D signifi-cato delle cose è comprensibile solo all'interno di una relazione".

Mani, occhi, cuore e parole gli strumenti necessari al medico per incontrare il paziente durante la sua malattia e comunicare con lui con un atteggiamento di empatia e autenticità Dialogo che dà sol-lievo al paziente solo se fondato su uno scambio da persona a per-sona: incontro io-tu tra esseri umani, pur nelle differenza di condizioni esistenziali e di ruoli.®

bobbio.ospedale.cuneo.it

M. Bobbio è direttore del reparto di cardiologia all'Ospedale di Cuneo

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