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Nel documento Dell'ingegno poetico di Cicerone (pagine 80-85)

Si andavano, ai tem pi di Cicerone, meglio de­ term inando le due tendenze, g ià accennate ‘), nel cam po poetico : l ’una rap p resen tata da Livio A n ­ dronico, tra d u tto re dell’ Odissea in saturnii, verso il poema mitologico, l’a ltra da Nevio verso il poe­ m a o , m eglio, verso il racconto storico in versi. Cicerone che, come abbiam o detto, era appunto di quelli i quali volevano elevare la poesia alla d ig n ità di a rte utile allo Stato, come g ià nei suoi vari ge­ neri era d iv en u ta la prosa, ben doveva avere in pregio e preferire la poesia storica.

E dopo le favole della m itologia, che gli ave van dato argom ento a sp u n ta r le prim e arm i n ell’ a r­ ringo poetico, p arlav an alto, più tard i, alla sua fan tasia le gesta de’ g r a n d i, l ’ispiratrice religione delle memorie, l ’am ore al borgo n atio e l ’ard en te de­ siderio di gloria, che spingevalo a legare il suo nome a quello di un concittadino, a n c h ’esso homo novns, elevato, com ’egli bene sperava per sè, a ’ più alti g rad i ed onori; cantò, quindi, di M ario 2).

E ra questo u n soggetto, dice il R ibbek 3), degno di Ennio. D ip in g ere, in f a tt i , il rozzo colosso che abbandona la ru stica cap an n a delle m ontagne di A rpino per e n tra re nel cam m ino della gloria, mo­ strare sotto la vera luce le scene varie di quella esi-

‘) Parte Prima — I. Considerazioni preliminari. 2) Ad A tt. X II, 49, 1.

stenza, ricordare le av v en tu re m aravigliose del fa­ moso capoparte, descrivere la lo tta gigantesca da lui sostenuta coi b arb ari del nord, accennare alle m ol­ titu d in i e alla violenza de’ popoli nem ici, celebrare, in versi solenni, il m agnifico trionfo del terzo fon­ d atore della c ittà , lum eggiare i c a ra tte ri dei per­ sonaggi principali di quel periodo storico, far ri­ saltare, efficacemente, in mezzo a questi, la n a tu ra fiera dell’eroe, non era certam en te im presa mediocre.

Non possiamo dire se Cicerone sia riuscito pari all'argomento; però, il brano conservatoci del poema

ce ne fa, non a torto, dubitare.

Sono quindici versi in tu tto , di cui uno è nel de

legibus '), tredici nel de divinitate 2) e un altro in

*) de leg. I, I, I :

« Nuntia fulva Jovis miranda visa figura. » 2) de divin. 1, 47, 106:

« Hic Jovis altisoni subito pinnata satelles, Arboris e trunco serpentis saucia morsu,

Subigit ipsa feris transfingens unguibus anguem Semianimum et varia graviter cervice micantem. Quem se intorquentem lanians, rostroque cruentans, Jam satiata animum, iam duros ulta dolores, Abjicit efflantem, et laceratum affligit in unda, Seque obitu a solis nitidos convertit ad ortus. Hanc ubi praepetibus pinnis lapsuque volantem Conspexit Marius, divini numinis augur,

Faustaque signa suae laudis, reditusque notavit, Partibus intonuit coeli pater ipse sinistris: Sic aquilae clarum firmavit Juppiter omen. »

Isidoro '). In questi è descritto un vaticinio, e pare siano s ta ti isp irati a Cicerone d a ’ versi 200-207 del X I I dell’ Iliade 2).

Non pare, però, che possano ritenersi, come vuole il P a t i n 3), u n ’im itazione originale, perchè, oltre alla m aggiore sobrietà, v ’ h a in Omero qualcosa di ben p iù arcano che in Cicerone. N ell’ Ilia d e , l’aquila ap p are nell’aria col drago g uizzante e in sanguinato tra gli a rtig li ; la lo tta tr a le due fiere è tale da tenere sospeso l ’ intero cam po troiano, e la cad u ta del drago, non ancora morto, in mezzo alle turbe, accresce il terrore e la m arav ig lia de’ soldati. Nel fram m ento ciceroniano, in v e c e , il miracolo non è che n ell’ intenzione del poeta. Il serpente,

‘) Isid. Orig. X IX , 20 :

« Tunc se fluctigero [Hermann: fluctiseeo] tradit mandatque paroni. » cui qualche editore aggiunse quest’ altro :

« Parunculis ad litus ludit celeribus. » 2) Homeri Ilias. X II, 200-207 :

« “ O p v i ; y^ P a<? l v è h^ S te 7 c s p Y ] < r e ( * e v a i |a e</.x(5<7i v, A ì s t ò ? óijitTrsTvj;, £7i’api<TTspx X aòv l ipYw v,

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3) Patin. Etud.es sur la poesie latine. Tom. II, pag. 425.

nascosto in cim a a ll’albero, su cui si posa l’aquila, sbuca all’improvviso e la ferisce: l'uccello di Giove 1’ uccide, e lo fa cadere nelle onde. Il fatto è così poco sorprendente, che lo stesso poeta h a bisogno di dargli un’ ap p aren za p rodigiosa, u n a specie di conferma au tentica, che non lasci dubbio sul con­ te n u to soprannaturale del fenomeno. Q uesta fun­ zione, con u n ’a g g iu n ta t u t t ’altro che fortunata, Cicerone affida appunto al tuono, scoppiato im prov­ visamente dalla sinistra p arte del cielo, col quale, egli dice, Giove volle sanzionare l’augurio del suo messaggero.

Non possiamo neppure consentire col P a tin , che questi versi abbiano destato l’em ulazione di Vergilio. Il luogo dell’Eneide *), c itato dal critico francese, se­ condo noi, non h a nu lla da vedere co’ versi di Cicerone. I n Vergilio l ’aquila lo tta n te col. drago non è un pro­ digio, ma solo il secondo term ine d ’u n a sim ilitudine; e la descrizione è d eriv ata im m ediatam ente dalla om erica e da quella che lo stesso poeta m antovano fa de’ serpenti m an d ati da M inerva contro L aocoonte2).

*) Aeneid. X I, 751 :

Utque volans alte raptum cum fulva draconem Fert aquila, implicuitque pedes atque ungnibus haesit. Saucius a t serpens sinuosa volumina versat,

Arrectisque horret squamis e t sibilat ore

Arduus insurgens: illa haud minus u rg et adunco Luctantem rostro, simul aethera verberat alis. 2) Aeneid., Lib. II, 205-211.

I n tu tti i casi, però, il serpente rap presentato nei m irabili versi :

Saucius a t serpens sinuosa volumina versat, A rrectisque horret squam is e t sibilat ore A rduus insurgens....

si lascia indietro di m olto il ciceroniano

anguem semianimum et varia g rav iter cervice micantem.

L a d a ta d esu n ta dal de legibus l) è, per accer­ ta re l’ epoca della composizione del M a riu s, un

terminus ante quem ; p e rc h è , come abbiam d e tto ,

un verso di questo poema si tro v a c itato nel 1.° libro del tra tta to , ove A ttico e Q uinto pregano Cicerone di volere, in u n ’a ltra opera, tra d u rre i fa tti gloriosi di Rom a. E, siccome in quel poema, che celebrava le gesta del furente demagogo, Cicerone dovette, senza dubbio, far tacere le sue idee di aristocratico con­ vinto, sacrificandole alla glorificazione del natio borgo comune, la d a ta della composizione del Marius p ar sia, verisim ilm en te, da rip o rtare al tem po in cui, forse nutren d o le stesse prim e speranze del suo grande concittadino, Cicerone, homo novus anche lui, asp irav a agli onori politici.

Nel documento Dell'ingegno poetico di Cicerone (pagine 80-85)

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